Un viaggio chiamato Amore – Sibilla & Dino (prima parte)

Ancora una storia…d’amore e letteratura…d’amore e poesia…d’amore e di delirio.
Dino Campana e Sibilla Aleramo.

Chiudo il tuo libro,
snodo le mie trecce,
o cuor selvaggio,
musico cuore…
 
con la tua vita intera
sei nei miei canti
come un addio a me.
 
Smarrivamo gli occhi negli stessi cieli,
meravigliati e violenti con stesso ritmo andavamo,
 
liberi singhiozzando, senza mai vederci,
né mai saperci, con notturni occhi.
 
Or nei tuoi canti
la tua vita intera
è come un addio a me.
 
Cuor selvaggio,
musico cuore,
chiudo il tuo libro,
le mie trecce snodo.
 
Sibilla Aleramo a Dino Campana, Mugello, 25-7-1916
 
Nell’estate del 1916, torrida per la temperatura, ma soprattutto per il primo conflitto mondiale, all’unisono con le granate, esplose la passione di Dino Campana per Sibilla Aleramo.
“Un viaggio chiamato amore”: questo il titolo che l’editore Feltrinelli, parafrasando un verso dello stesso Campana, ha dato al carteggio, tumultuoso, intenso e tormentato, tra i due poeti.
Una passione vorticosa li vinse, in quell’estate del 1916, una follia testimoniata dalle numerose Lettere che si scambiarono, pubblicate la prima volta nel 1958.
Lui, Dino Campana, era il “poeta maledetto” autore dei Canti Orfici, pubblicati nel 1914.
La Aleramo, aveva esordito nel 1906 con il romanzo “Una donna”, testimonianza chiaramente autobiografica del ruolo di subalternità della donna nella famiglia e nella società, un vibrante appello femminista contro la prevaricazione maschile.
 
Lui aveva 31 anni, lei 40.
 
In un momento
Sono sfiorite le rose
I petali caduti
Perché io non potevo dimenticare le rose
Le cercavamo insieme
Abbiamo trovato delle rose
Erano le sue rose erano le mie rose
Questo viaggio chiamavamo amore
Col nostro sangue e colle nostre lagrime facevamo le rose
Che brillavano un momento al sole del mattino
Le abbiamo sfiorite sotto il sole tra i rovi
Le rose che non erano le nostre rose
Le mie rose le sue rose.
 
Dino Campana a Sibilla Aleramo, 1917

Segnato fin dall’adolescenza dai sintomi di una nevrosi che l’avrebbe condotto alla pazzia, Dino Campana aveva cominciato a dedicarsi alla poesia nel 1912, ma un anno dopo si verificò un episodio che avrebbe avuto forti ripercussioni proprio sul suo equilibrio mentale.
Aveva infatti affidato agli amici letterati Giovanni Papini  e Ardengo Soffici, il manoscritto dei “Canti orfici”: i due poeti smarrirono l’opera e Campana, dopo uno scatto feroce d’ira, si dovette risolvere a riscrivere tutta l’opera a memoria e a pubblicarla poi, a proprie spese, nel 1914.
La vita di Sibilla Aleramo (pseudonimo di Rina Faccio) era stata segnata da due episodi, di una tale gravità che non riuscì mai a rimuoverli: il tentativo di suicidio della madre e la violenza che subì all’età di 16 anni.
Le convenzioni sociali influirono fin da subito sulle sue scelte: fu costretta, infatti a sposare proprio l’uomo che aveva abusato di lei e a subire l’ulteriore violenza di un matrimonio insostenibile.
Cercò e trovò l’occasione per abbandonare il tetto coniugale, e a causa di questo atto “intollerabile”, le fu impedito per sempre di avere la custodia del figlio.
(continua…)

Giusy Gatti Perlangeli