Di Marina Poci per Il7 Magazine
Il suo ultimo film ha voluto chiamarlo Cani randagi, Alessandro Zizzo, regista e sceneggiatore 44enne di Francavilla Fontana, perché fosse chiaro già dal titolo che racconta la storia di uomini che, come i cani randagi, diventano aggressivi in branco e vivono come animali vagabondi, peregrinando senza meta alla ricerca di briciole, perché hanno smesso di sognare. Quei cani che se la cavano aggredendo a morsi la vita, cercando di prendere dagli altri quello che possono, senza guardare in faccia nessuno, sono esponenti della quarta mafia, storicamente la meno rappresentata al cinema e in televisione, quella di cui da sempre si parla meno sui giornali e nei dibattiti televisivi, come se fosse priva di quella potenzialità narrativa in grado di sedurre gli audiovisivi e di accendere le discussioni (“sono scelte degli autori e dei produttori, non saprei indicare bene quale sia il motivo: forse la mafia e la camorra, più conosciute come organizzazioni criminali, sono più attrattive”).
Invece, della Sacra Corona Unita di ieri e di quella di oggi ha scelto di parlare nella sua ultima opera Zizzo, che all’attività di regista e sceneggiatore affianca quella di docente di italiano e storia in un istituto tecnico di Manduria e, anche dalla sua prospettiva di insegnante, lavora per avvicinare i ragazzi al cinema con laboratori e seminari. La speranza che coltiva, nemmeno troppo velatamente, è che qualcuno dei suoi giovani studenti resti folgorato dalla settima arte come ne fu folgorato lui quando, ad appena undici anni, vide Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore e capì che della sua vita i film avrebbero sempre fatto parte (“è stato allora che ho iniziato a scrivere storie, poi ho frequentato la Scuola Nazionale di Cinema a Roma, dove ho avuto come maestri Monicelli, Camilleri, Purgatori, Dacia Maraini”).
Cani randagi, quarto lungometraggio del francavillese (autore anche di una trentina di corti), girato tra Francavilla (contrada Bax Capece) e Campomarino, è stato presentato in anteprima il 12 dicembre proprio nella città degli Imperiali, al Cinema Teatro Italia, dov’era presente l’intero cast e un foltissimo pubblico. Sarà riproiettato in altre sale cinematografiche della zona tra fine dicembre e inizio gennaio; dopodiché, con ogni probabilità alla fine di gennaio, sarà distribuito sulle piattaforme, (sicuramente su Prime Video) dalla società di produzione e distribuzione cinematografica indipendente romana Minerva Pictures.
“L’idea è nata da una riflessione, condivisa con il mio co-sceneggiatore Barabba Merlin, su alcuni lati oscuri, e forse irrisolti, della nostra terra. Abbiamo pensato che il modo migliore per rendere sullo schermo questi aspetti fosse raccontare una storia che parte dal passato e arriva al presente, legando questi due tempi attraverso un personaggio. Rispetto al prima di cui abbiamo raccontato nel film, oggi la malavita è meno visibile, le dinamiche sono più striscianti, ma nei criminali resta radicata la stessa mentalità. Ecco, ci interessava portare sullo schermo questa differenza che è soltanto apparente, tra l’organizzazione di trent’anni fa e quella di oggi. È il motivo per cui ci sono due storie, lontane nel tempo, che si intrecciano: una risalente al periodo di picco massimo dell’organizzazione e una ambientata poco prima che arrivasse la pandemia da Covid-19. A intrecciarle è un giornalista di origini pugliesi trapiantato a Milano, Andrea Riccardi, che torna nella sua terra per scrivere un saggio sulla SCU”, spiega Zizzo a proposito della genesi del film.
Da laureato in Lettere quale è, nel film compie scelte linguistiche precise e mai banali (anche coraggiose, se si pensa che l’obiettivo è una distribuzione su scala nazionale). Quasi tutti i personaggi, infatti, parlano il dialetto salentino e si esprimono in un italiano basico, inelegante, infarcito di turpiloquio, spoglio del congiuntivo e del condizionale: “Sono uomini e donne con un livello di istruzione molto basso, non ci si può aspettare che parlino come una persona che invece ha studiato. Per come lo intendo io, il cinema è essenzialmente realtà, per cui la macchina da presa si limita a osservare la vita delle persone, non la può modificare. Sono un maniaco dei dialoghi: le confesso che, se vado a vedere un film in cui due operai parlano in maniera forbita, mi alzo ed esco dalla sala”, scherza (ma non troppo) Zizzo.
Va orgoglioso degli attori scelti, dei professionisti come degli esordienti, che in Cani randagi hanno offerto quelle che definisce “interpretazioni strepitose, emozionanti, di grande effetto”: “Sarà perché hanno recitato nel nostro dialetto, ma davvero tutti hanno tirato fuori la parte più vera di sé. E voglio citarli, perché è giusto che i loro nomi siano conosciuti: Giuseppe Ciciriello, Altea Chionna, Giulio Neglia, Giorgio Consoli, Angelo Argentina, Eleonora Siro, Giulia Vittoria Cavallo. Sono attori del brindisino, ma anche delle zone di Lecce e Taranto. E poi vorrei anche fare i nomi di due debuttanti che hanno lasciato il segno e dei quali, sono certo, sentiremo molto parlare: Giulia Lippolis e Fabio Saponaro”.
Cani randagi non è il primo film di Zizzo a prendere la strada delle piattaforme: La sabbia negli occhi, con Valentina Corti, Adelmo Togliani, e Giorgio Consoli, e L’ultimo giorno del toro, con Michele Morrone sono andati molto bene e hanno ricevuto ottime recensioni da parte degli addetti ai lavori, oltre che il favore del pubblico. La stessa cosa il regista francavillese si augura per i suoi antieroi dei clan rivali Scarano e Basile, uomini e donne che allora come adesso si sbranano senza concedere e concedersi sconti, personaggi di fantasia con profili criminali fin troppo reali, cani randagi di un territorio piagato che si illude di essersi redento.
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