“Micio” Cardinali, il cuore dell’ex capitano resta brindisino


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di Luca Di Napoli per IL7 Magazine

Micio” si emoziona ancora quando ricorda la scena. Antonio Corlianò abbracciato dal figlio Gianluigi che gli dice: “Ora sei diventato un presidente di serie A”. Tra qualche giorno saranno otto anni da quella magica promozione con la maglia della New Basket mentre ne sono trascorsi meno di tre dalla scomparsa del presidente più vincente della storia del basket brindisino. Michele Cardinali, ha vestito quella canotta (prima marchiata Prefabbricati Pugliesi e poi Enel) dal 2007 al 2010. Per tutti è da allora semplicemente “Micio”. Diventato capitano nella stagione 2009/10, pesarese, ha lasciato il suo cuore qui a Brindisi. Per tutta la carriera dal 2007 in poi la sua priorità è stata restare in maglia biancazzurra dove in tre stagioni ha conquistato due promozioni, dalla B1 alla A2 nel 2008 e da questa all’A1 nel 2010.
Cardinali ha deciso di trascorrere questi giorni di festività pasquali proprio a Brindisi, dove non solo ha lasciato un bellissimo ricordo dal punto di vista tecnico ma anche molti amici che lo accolgono sempre a braccia aperte. Oggi è padre di un figlio di due anni e tre mesi e sua moglie è in attesa del secondogenito. Prima dell’ultima gara interna della New Basket, sabato scorso, è tornato sul parquet di contrada Masseriola con il bimbo in braccio per prendersi l’applauso dei tifosi che non lo hanno mai smesso di amare.
Nel 2007 arriva l’ingaggio di Michele Cardinali firmato patron Massimo Ferrarese e presidente Antonio Corlianò che stavano lavorando alla formazione di una squadra per continuare la risalita fino ai vertici del basket italiano. Cosa ricorda maggiormente del suo passaggio a Brindisi?
“Il passaggio da Forlì a Brindisi è stato abbastanza strano. Sono io che ho scelto Brindisi quando in realtà avevo un altro anno di contratto a Forlì, ma cercavo un progetto che mi garantisse maggiormente la possibilità di vincere. In quell’anno il direttore sportivo di Brindisi era Carlo Rinaldi, che allo stesso tempo era mio agente, così gli chiesi di aiutarmi per il trasferimento in Puglia dove stavano allestendo una squadra formata da giocatori esperti e vincenti. Io volevo vincere, così Carlo mi propose a coach Moretti ed è andato tutto bene”.
Era un gruppo di forte personalità oltre che di grande tecnica nella stagione 2007/08, era comunque uno spogliatoio unito?
“La squadra era sicuramente una delle più forti di quel campionato, infatti abbiamo vinto il campionato ai playoff dopo aver perso la prima finale contro Venezia, una squadra troppo forte per la B1, e vincendo poi la famosa finale contro Trapani. Era una squadra composta alla perfezione, c’erano molti giocatori che avevano già vinto campionati nazionali. Eravamo assai uniti, purtroppo abbiamo perso i contatti, fatta eccezione per Picchio Feliciangeli con cui mi sento ancora”.
Nella scalata del campionato di B1 è stato decisivo il cambiamento da coach Moretti allo “sceriffo” Giovanni Perdichizzi?
“Con Paolo Moretti purtroppo le cose non sono andate bene sin da subito, era un allenatore inesperto perché allenava da pochissimo tempo. C’erano personalità molto forti all’interno del gruppo e probabilmente ha sbagliato a gestire qualcuno; Perdichizzi cambiò le sorti della squadra, iniziò a ruotare tutto come doveva, dentro e fuori dal campo, infatti arrivarono dodici vittorie nelle prime dodici partite della sua gestione, fino alla prima finale con Venezia che era probabilmente la più forte di tutto il girone. La partita di andata a Trapani ricordo che la perdemmo di tre punti con due palle perse clamorose negli ultimi possessi, al ritorno la ribaltammo vincendo di cinque con la palla rubata da Daniele Parente su Virgilio a pochi secondi dal suono della sirena”.
Cosa ricorda maggiormente di quella calda serata al Pala Pentassuglia del giugno 2008 nella gara di ritorno contro Trapani?
“Ho avuto la fortuna di rivederla proprio tre giorni fa su Facebook, dove era registrata l’intera finale. Molte cose non me le ricordavo, mi è rimasto in mente il fatto che durante gli ultimi possessi difensivi dovevo stare faccia a faccia con Marco Caprari per impedirgli in tutti i modi il tiro da tre; poi ho nel cuore l’immagine di Daniele che ruba palla a Virgilio e da lì non ho capito più niente perché c’è stata l’invasione di campo, così Alejandro Muro che si arrampicò sul canestro e staccò la retina, emozioni che mi resteranno per sempre nel cuore”.
La sua seconda stagione a Brindisi, 2009/10, è stata complicata anche per la gestione di due americani, Hatten e Killingsworth?
“Il primo anno in A2 non può mai essere una passeggiata, ci sono molti stranieri e la loro gestione non è facile perché provengono da culture cestistiche differenti dalle nostre. Nonostante questo abbiamo trovato il nostro assetto e infatti abbiamo raggiunto la salvezza; non solo, se fosse stato annullato il canestro a Varese nell’ultima giornata, come era giusto che accadesse, avremmo fatto i playoff per la promozione. Riguardo questo episodio ricordo il giornale ‘Superbasket’ che aveva messo la foto del canestro di Varese a tempo scaduto clamorosamente visibile a occhio nudo; purtroppo non c’era ancora l’istant-replay e siamo stati vittime di una clamorosa ingiustizia”.
E’ stata la sua prima stagione con americani in squadra?
“A livello professionistico Hatten e Killingsworth sono stati i miei primi compagni americani, anche se ho fatto parte delle giovanili della Scavolini Pesaro e qui ne sono passati tanti. Quell’anno, a stagione in corso, arrivò anche Raymond Tutt che aveva passaporto italiano, ma che di fatto era americano. Quella stagione è coincisa anche con molte mie difficoltà a livello personale, ero stato messo addirittura fuori squadra, per un periodo mi allenavo e basta. Il motivo di questa scelta sinceramente ancora non la capisco, ma essendo testardo ho continuato ad allenarmi bene e credevo nelle mie potenzialità, infatti ben presto volevo diventare un giocatore importante per quella squadra. Così dopo l’infortunio di Davide Virgilio rientrai nei dodici e dopo poco tempo entrai addirittura in quintetto arrivando a 15 punti di media a gara; quel fine campionato mi ha permesso di essere riconfermato come capitano la stagione dopo”.
Nell’ultima partita casalinga della stagione 2008/09 un tifoso uscì lo striscione con scritto “Salvi, ora tutti via”. Lei fu il primo a metterci la faccia e discuterne vivamente, perché rimase così infastidito?
“Lo ricordo ancora, era la partita contro Pavia in casa e vincemmo garantendoci la permanenza in A2. Quando ho visto lo striscione non ci ho visto più, come detto avevo superato un periodo cestistico difficile durante il quale a casa mia erano già pronte valigie e scatoloni per lasciare Brindisi, alcuni sostenevano anche che la mia situazione comprometteva la serenità dello spogliatoio; per cui dopo esser riuscito a riconquistare tutto ripartendo da zero, in un periodo in cui ho subito molte critiche e le ho ascoltate in silenzio, quella frase mi turbò molto e mi arrabbiai a tal punto da andare a discutere faccia a faccia con il tifoso”.
La stagione dopo la musica era completamente diversa, Ferrarese e Corlianò costruirono una grande squadra con lei capitano dell’Enel Brindisi.
“Il roster della stagione 2009/10 aveva tutte le componenti per vincere il campionato: un play americano, Joe Crispin, con tantissimi punti nelle mani, un americano fortissimo, Omar Thomas, che poteva svolgere tre ruoli, un giocatore esperto come Radulovic, Luca Infante in panchina, che in A2 giocava sia a 4 che a 5, Giuliano Maresca. Il pivot era il domenicano Sylvere Brian, che aveva passaporto italiano perché sposato con una ragazza italiana e questo consentì di avere in pratica tre americani con Crispin e Thomas. Per cui il blocco di stranieri completava al meglio quello italiano. Ricordo anche Miha Zupan, un giocatore sloveno che arrivò a stagione praticamente finita perché non avevamo la certezza di arrivare primi e quindi salire direttamente evitando i playoff; alla fine non fu tesserato perché non c’è stato bisogno, ma era fortissimo, infatti tornato nel massimo campionato greco fu eletto “mvp”. Era sordo, non sentiva, gli parlavamo in inglese e c’era una persona che gli traduceva, aveva un atletismo eccezionale e poteva essere ala grande e pivot”.
Coach Perdichizzi come ha gestito quella rosa di campioni?
“Giovanni organizzò un campionato perfetto. Arrivavamo alle partite consapevoli del nostro potenziale e sapendo ciò che le squadre avversarie avrebbero messo in campo, eravamo pronti a tutto e per questo abbiamo dominato quel campionato”.
Cosa ricorda della serata in cui arrivò la certezza matematica della promozione nel massimo campionato italiano?
“Eravamo in trasferta a Scafati, nella sala dell’hotel a vedere Veroli-Sassari sapendo quasi per certo che stavamo per festeggiare la promozione. Ricordo le lacrime del presidente Corlianò – qui Michele si commuove ricordando lo storico presidente brindisino – quando il figlio gli disse ‘Papà sei presidente di A1’, è stato tutto bello anche il giorno dopo, quando andammo al palazzetto di Scafati ed erano presenti circa 2500 brindisini; nello spogliatoio eravamo tesi ed emozionati prima di entrare in campo perché sapevamo di essere protagonisti di una festa incredibile. E’ stato un anno bellissimo”.
Con tutto ciò lei è entrato nella storia del basket brindisino, ma le sarebbe piaciuto continuarla anche in serie A?
“Mi sarebbe piaciuto molto. Purtroppo la società ha fatto delle scelte nonostante avessi comunque un altro anno di contratto, probabilmente ero diventato scomodo a qualcuno all’interno della società. Penso che mi ero guadagnato di giocarmi una chance in A1, però loro hanno cambiato molto e questo li ha portati a perdere quasi tutte le partite e purtroppo retrocedere subito. Sassari per esempio ha mantenuto il gruppo storico di italiani ed è arrivata a vincere il Campionato Italiano partendo dalla B2 come Brindisi”.
Dove è stato dopo le tre stagioni a Brindisi?
“L’anno dopo la promozione restai in A2 a Barcellona, con me c’era Crispin e perdemmo nella semifinale dei playoff. Joe nei quarti di finali si ruppe il ginocchio e finì così la stagione, io ho avuto vari problemi alla schiena, per cui non riuscimmo a raggiungere la finale. L’anno dopo ho iniziato a cercare di avvicinarmi a casa il più possibile, ho fatto il precampionato a Roma con l’idea di restare lì, ma purtroppo le cose non sono andate come mi aspettavo. Così Perdichizzi mi ha voluto a Capo D’Orlando per la stagione 2011/12; dopo di che sono rimasto un anno fermo e ho concluso la carriera a Recanati in A Silver nel 2014, ma diciamo che la mia carriera era già finita”.
E’ stato difficile smettere?
“Sinceramente negli ultimi tempi avevo voglia di smettere perché non riuscivo più a fare quello in cui riuscivo meglio prima, non avevo neanche più la voglia di allenarmi intensamente come in tutta la mia carriera, per cui era il mio fisico che mi diceva che era ormai arrivato il momento di dire addio al basket. Inoltre la pallacanestro italiana era già cambiata, stava già peggiorando, infatti parlando di oggi il livello in serie A è precipitato. Nella giornata di sabato ad esempio ho assistito alla partita Brindisi-Sassari di serie A e alla palla a due in campo erano presenti nove stranieri e uno italiano, questo fa capire che questo campionato ha perso proprio il suo senso”.
Non segue più Brindisi e Pesaro in serie A?
“Ogni tanto guardo Brindisi e so che è sopra Pesaro anche se a oggi non ci vuole molto. Sono andato a vedere anche qualche partita di Pesaro dal vivo ma purtroppo il livello è basso, proprio a livello generale è ora che si intervenga perché la situazione può solo migliorare. La squadra del patron Ferrarese dell’anno della promozione in A1 di cui facevo parte con anche un solo rinforzo oggi farebbe i playoff di serie A”.
A cosa si dedica oggi?
“Dopo tanto tempo sono tornato a Pesaro, vive mia moglie che è incinta, abbiamo già un bambino di due anni e tre mesi. Lei ha una società di ginnastica ritmica molto grande a Pesaro e quindi cerco di darle una mano a gestirla. Faccio il cuoco che è sempre stata la mia seconda passione ovviamente dopo la pallacanestro e soprattutto faccio il papà. Non ho mai più giocato a basket dal mio ritiro, gioco a calcetto in un campionato della provincia di Pesaro e siamo primi in campionato giusto per non farmi mancare il primo posto”.
Spera che suo figlio intraprenderà la sua stessa carriera da cestista?
“Forse lo spera più mia moglie di me, io sono abbastanza tranquillo. Quando sarà il momento deciderà lui quale sport praticare, per me l’importante è che lo farà con tanta passione e amore”.