L’approdo della motobarca al Casale: un altro errore da registrare nella storia del nostro porto

Certamente questa volta il nuovo e clamoroso errore tecnico commesso dagli ingegneri nel porto di Brindisi, non meriterà di passare alla storia, sia per la sua piccolezza e sia per la sua risibilità. Un errore piccolo e risibile che, anche se pertanto non trapasserà l’ambito della cronaca cittadina, è comunque sufficiente a stimolare qualche considerazione e riflessione.
Niente di comparabile, infatti, con il ben più grave e famoso errore tecnico commesso quasi duecento cinquanta anni fa dall’ingegnere Andrea Pigonati nel suo “riaprimento” del canale di comunicazione tra il porto interno e quello esterno.
Difatti, sto facendo riferimento alla storica fermata della motobarca ai piedi della scalinata del Casale che, dopo essere stata chiusa più di due lunghi anni per dare luogo alla realizzazione di alcuni lavori di riparazione e riqualifica della banchina, è stata finalmente riaperta da qualche mese ma non è ancora agibile, semplicemente ed incredibilmente perché, sia le bitte troppo basse e sia i moderni e costosi distanziatori protettori in gomma collocati sul bordo della banchina d’attracco, sono del tutto incompatibili con le operazioni della motobarca.
Ma lo si può credere? Ma come è possibile che ciò sia accaduto, nonostante una formale progettazione e dopo una così prolungata realizzazione dei lavori? Quanti ingegneri: progettisti, revisori, supervisori, direttori dei lavori, etc. hanno lavorato -ed immagino che abbiano anche riscosso- su quest’opera, per poi commettere un così banale e risibile errore, senza neanche accorgersene in tempo utile a risparmiare questa figuraccia?
Andrea Pigonati, per l’epoca il più rinomato ingegnere idraulico del regno, nel 1775 fu incaricato dal re di Napoli Ferdinando IV, poi Iº delle Due Sicilie, di risolvere il gravissimo e pluricentenario problema dell’occlusione del canale del porto, ostruito nel 1449 in seguito alla scellerata decisione del principe di Taranto e signore di Brindisi, Giovanni Orsini Del Balzo:
«… Là dove l´imboccatura del canale era attraversata da una catena assicurata lateralmente alle torrette site sulle due sponde, fa affondare un bastimento carico di pietre, ed ottura siffattamente il canale da permetterne il passaggio solo alle piccole barche. Non l´avesse mai fatto! Di qui l´interramento del porto, causa grave della malaria e della mortalità negli abitanti. Meglio forse, e senza forse, sarebbe stato se alcuno dei temuti occupatori si fosse impadronito di Brindisi, prima che il principe avesse potuto mandare ad effetto il malaugurato disegno. Fu facile e poco costoso sommergere un bastimento carico di pietre e i posteri solo conobbero la fatica e il denaro che abbisognò per estrarlo e render libero nuovamente il canale. Più dannosa ai cittadini fu questa precauzione del principe, che temeva di perdere un brano del suo stato, che non tutte le antecedenti e seguenti devastazioni. L´opera inconsulta del principe fu naturalmente malveduta dalla città, la quale prevedeva le tristi conseguenze. Ma il fatto era compiuto…» -Ferrando Ascoli-
Ebbene, l’ingegnere Pigonati, siciliano di Catania e tenente colonnello del genio, si recò a Brindisi, fece diligentemente tutti gli studi del caso e presentò il suo progetto al re Ferdinando il quale, nonostante il costo molto impegnativo preventivato per la realizzazione del progetto, ne approvò l’esecuzione, mostrando di essere un lungimirante amministratore della cosa pubblica, nonché di nutrire una grande considerazione per la città di Brindisi e per il suo celeberrimo porto.
Il Pigonati quindi, eseguì tutte le opere del suo progetto, efficientemente e puntualmente, in meno tempo dei tre anni stabiliti e senza superare i costi preventivati: il “riaprimento” si inaugurò il 30 dicembre del 1778. Purtroppo però, Pigonati commise un grossolano e gravissimo errore tecnico nello stabilire l’orientamento dell’imboccatura del canale: un errore che invalidò quasi completamente l’opera.
Il canale, infatti, si ri-ostruì in pochissimi anni, il porto fu nuovamente abbandonato e la città tutta ricadde in condizioni pietose. Furono poi necessari molti altri lunghi anni e tanti altri grandi lavori per correggere quel clamoroso errore. Dopo soli 10 anni da quella riapertura, nel 1789, il viaggiatore svizzero Carl Ulysses von Salis visitò Brindisi e così la descrisse:
«…A misura che ci avvicinavamo alla città si presentavano regioni di miseria e di desolazione, che fa pena vedere lì incolta una campagna benedetta dal suolo fertile e dal clima più propizio. Larghe strade con case rovinate, cortili ricoperti di erbe, miserabili tuguri appoggiati a vecchie mura. Poche sono le case abitate e le persone che vi dimorano sono giornalmente esposte ai lenti ma inevitabili effetti della febbre malarica. L’abbandono totale in cui è stato lasciato il porto, ha dato vita a paludi estesissime che circondano la città e riempiono l’aria di esalazioni pestilenziali, per cui non esiste più un volto roseo in Brindisi. La febbre malarica regna durante tutto l’anno e sono pochi quelli che tirano innanzi la loro miserabile vita sino all’età di sessant’anni…».
Certamente anche gli ingegneri ci possiamo sbagliare, può succedere a tutti, ma bisogna segnalare che quello del Pigonati non fu un semplice, e magari perdonabile, errore di calcolo: il Pigonati, infatti, oltre che di una certa ignoranza tecnica, fu succube di una imperdonabile dose di arroganza: i pescatori e i marinai brindisini, infatti, accortisi dell’errore di progettazione, tentarono vanamente di farlo capire al Pigonati, indicandogli quali erano i reali flussi delle maree. Ma un “dottore in fisica e massimo esperto idraulico” non poteva dar certo retta a un gruppo di poveri pescatori brindisini, analfabeti ed ignoranti!
E torniamo quindi alla enormemente più semplice vicenda dell’errore attuale e, quasi per scherzo, proviamo a fare qualche confronto:
Anche i recenti lavori per il ripristino della banchina del Casale si sono eseguiti nei tempi stabiliti e senza neanche superare di un solo centesimo il preventivo? Ma manco a parlarne! Anche l’errore relativo ai distanziatori è la conseguenza, oltre di una indubbia ignoranza tecnica, di una certa dose di arroganza? Non mi consta e non lo credo! Ma allora qual è tutta la ragione di quanto accaduto?
Come si spiega che a nessuno degli ingegneri coinvolti nella progettazione sia venuto in mente di documentarsi sulle specifiche tecniche della motobarca già in servizio da decine e decine di anni? Come spiegare che a nessuno degli ingegneri coinvolti nella costruzione e nella relativa direzione lavori sia venuto in mente di osservare la motobarca e curiosare su di essa, o di farsi una passeggiatina di un centinaio di metri fino all’attuale attracco della motobarca o, giusto di rimpetto, fino alla fermata Montenegro? L’averlo fatto con un minimo d’interesse, credo che sarebbe stato più che sufficiente ad evitare quel grossolano errore.
Ma, appunto, ci voleva però “quel minimo d’interesse” …nel proprio lavoro e nella propria città. E già, forse di questi tempi è proprio chieder troppo: “mostrare interesse nel proprio lavoro e nella propria città” sembra che ormai succeda troppo spesso con troppa poca frequenza! Magari mi sbaglio. Anzi, voglio sperare di starmi sbagliando e spero quindi che non si tratti, come temo, di semplice “menefreghismo” ed invece esista una qualche altra buona ragione che possa giustificare questo imperdonabile ed apparentemente inspiegabile errore.
E a questo punto spero anche, e soprattutto, che per porre il necessario rimedio non debbano ancora trascorrere molti altri mesi o anni, tra la ricerca e il rimpallo di responsabilità e di responsabili. Sembra che in tanti secoli di pubblico servizio, non fosse ancora accaduto che si fosse dovuto sospendere quella fermata per un così lungo periodo di tempo.
E sì, si tratta, infatti, di secoli: da quando, con la fondazione nel 1734 del regno borbonico di Napoli indipendente da quello di Spagna, il nuovo re Carlo di Borbone rinnovò all’allora arcivescovo Andrea Maddalena il diritto relativo allo ‘jus prohibendi’ per la barca del Casale, denominata di “Santa Maria”. Una concessione da cui l’arcivescovo di Brindisi otteneva allora, affittandone il diritto, da 60 a 70 ducati l’anno e che perdurò fino all’annessione del regno delle Due Sicilie a quello d’Italia, nel 1861, quando il servizio pubblico tra le due sponde del seno di ponente, passò definitivamente sotto il controllo dell’amministrazione comunale.

Gianfranco Perri