Di Alessandro Caiulo per il numero 411 de Il7 Magazine
La recente disgrazia al quartiere Prenestino di Roma, dove un deposito di GPL – acronimo di Gas di Petrolio Liquefatto, un mix di Butano e Propano utilizzato nel settore industriale, per il riscaldamento domestico e come combustibile per automobili – è esploso seminando feriti e distruzione e che probabilmente non ha avuto conseguenze più letali per l’intercessione di Santa Barbara (la protettrice invocata contro incendi, esplosioni, fulmini ed altre calamità legate al fuoco, tant’è che è la patrona dei Vigili del Fuoco), ha dato il via a molte riflessioni fra cui quella, molto condivisibile, esternata dall’avv. Roberto Fusco, Consigliere Comunale di minoranza, persona equilibrata e pervasa da uno spirito ambientalista scevro da estremismi: “Ogni volta che ci sono delle esplosioni come quelle di Roma, tutte le Autorità Competenti che hanno rilasciato le autorizzazioni dichiarano che sono eventi rari che purtroppo capitano come se fossero sventure che possono accadere ed alle quali non c’è rimedio. Ignorano la Direttiva europea Seveso che impone dal 1982 che tutti gli impianti ad alto rischio di incidente rilevante devono essere realizzati a distanza uno dall’altro e lontano da centri abitati residenziali o lavorativi. A Brindisi – evidenzia ancora l’avv. Fusco, senza tema di smentita – è stato autorizzato a Costa Morena Est il deposito gas GNL (Gas Naturale Liquefatto) di Edison senza tener conto dell’esistente impianto GPL della ex IPEM e autorizzando, sempre nelle vicinanze e sempre senza Valutazione di Impatto Ambientale, anche un deposito di prodotti petroliferi della società Brundisium”.
Come dire: è vero che le disgrazie possono accadere, ma a volte sembra che ce le cerchiamo! L’effetto a catena che si scatenerebbe in caso di incidente rilevante ad uno dei tanti impianti pericolosi posti fra Costa Morena e l’area industriale o generata dall’esplosione nella stiva di una nave gasiera, ridurrebbe in pochi secondi Brindisi e i brindisini a un cumulo di macerie fumiganti.
Fusco ha argutamente suggerito a tutte le Autorità, di scaricare dal web il testo della Direttiva Seveso, pur essendo evidente, proprio per la chirurgica precisione con cui viene aggirata, che dietro le quinte vi sia un grosso studio, sia pure votato al male, in materia di diritto ambientale.
Trattasi della normativa europea emanata dopo il terrificante incidente dalle conseguenze terribili (centinaia di persone ammalatesi per l’esposizione alla diossina, piantagioni distrutte e animali contaminati abbattuti) che colpì nel 1976 un impianto industriale dell’ICMESA a Seveso, contaminando una vasta zona e che mira alla prevenzione e al controllo dei rischi di incidenti rilevanti, connessi alla presenza di alcune sostanze pericolose, comprendendo sia la loro presenza reale che la possibilità che si generino in caso di perdita di controllo di un processo industriale. Ai fini dell’applicazione della direttiva sono considerate le sostanze classificate come tossiche, comburenti (cioè che agevolano la combustione come, ad esempio, l’ossigeno), esplosive, infiammabili, pericolose per l’ambiente.
L’area industriale di Brindisi è uno dei siti europei, per la Direttiva Seveso, a rischio di incidenti rilevanti, per cui non si sarebbe più dovuta autorizzare alcuna attività che avesse avuto a che fare con le predette sostanze pericolose ma, invece, ci si comporta come se nulla fosse. Aver autorizzato, a ridosso della Città e dell’Area Portuale, la costruzione di tal genere di impianti, senza nemmeno sottoporli alla Valutazione di Impatto Ambientale, pur sapendo che per la normativa in vigore non si potrebbero realizzare in quei luoghi, è un qualcosa che grida vendetta non solo al cospetto degli uomini – per cui si invoca l’intervento della giustizia umana, cioè della Magistratura – ma anche al cospetto di Dio. Più volte, nei mesi e negli anni scorsi, abbiamo cercato, nel nostro piccolo, riportando non solo la gran congerie di norme violate ma anche le attente riflessioni di Papa Benedetto XVI e le invocazioni di Papa Francesco, seguite dalle parole dell’Arcivescovo di Brindisi mons.Giovanni Intini, di bacchettare potentati economici e governanti per il palese disprezzo con trattano l’ambiente. Quasi che la tutela del Creato sia non la ricerca del bene comune, ma solo un ostacolo da superare per raggiungere la ricchezza e consolidare il potere.
Ma non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire e ogni appello a un comportamento più rispettoso dell’ambiente è rimasto inascoltato e sbeffeggiato come nostalgia bucolica fuori dal tempo.
Per una strana coincidenza guidata dalla Provvidenza, in concomitanza con l’esplosione a Roma il Santo Padre Leone XIV ha reso noto il suo messaggio per la Giornata Mondiale di Preghiera per la Cura del Creato, del prossimo uno settembre, che darà il via al “Tempo del Creato” durante il quale tutte le diocesi, fino al 4 ottobre, giorno in cui si celebra la festa di san Francesco, promuoveranno iniziative ecumeniche sul tema “Semi di Pace e di Speranza”.
C’era molta attesa per conoscere il pensiero del nuovo Pontefice riguardo le tematiche ambientali e il fatto che abbia sposato appieno il tema già scelto dal suo predecessore lascia intendere che anche Papa Leone ha molto a cuore la cura del Creato e considera la natura come un dono di Dio in cui l’uomo è chiamato a svolgere le funzioni di custode e non di padrone, affinché anche le generazioni future possano goderne.
Ancor prima di Papa Francesco e della sua enciclica “Laudato sì” del 2015, è stato Benedetto XVI il pontefice che più di ogni altro ha parlato di ambiente ed ecologia, tanto da guadagnarsi l’appellativo di “Papa verde”, e non si trattava di discorsi estemporanei od omelie pronunciate qua e là, ma di una continua riflessione, profonda e coerente che cominciò ad esternare non appena eletto quando invitò i fedeli a prendersi cura del creato ed il mondo intero a rivedere i propri modi di fare: “i deserti esterni nel mondo stanno crescendo, perché i deserti interni sono diventati così vasti. Pertanto, i tesori della terra non servono più a costruire il giardino di Dio in cui tutti possono vivere, ma per servire i poteri di sfruttamento e distruzione”. In occasione della Giornata Mondiale della Pace del 2008 definì il Creato la “nostra casa comune”; termine che Papa Francesco utilizzerà come sottotitolo della Laudato Si’. Ma il capolavoro di Ratzinger è datato 1 gennaio 2010, quando, in occasione della Giornata Mondiale della Pace affermò in maniera ferma e decisa che se si vuol coltivare la pace è necessario custodire il creato: “Lo sviluppo umano integrale è strettamente collegato ai doveri del rapporto dell’uomo con l’ambiente naturale, il cui uso comporta una comune responsabilità verso l’umanità intera e specialmente i poveri e le generazioni future. Lo esige lo stato di salute ecologica del pianeta; lo richiede anche e soprattutto la crisi culturale e morale dell’uomo, i cui sintomi sono da tempo evidenti in ogni parte del mondo. L’umanità – continua Papa Benedetto – ha bisogno di un profondo rinnovamento culturale. Ha bisogno di riscoprire quei valori che costituiscono il solido fondamento su cui costruire un futuro migliore per tutti. Le situazioni di crisi, che attualmente sta attraversando – siano esse di carattere economico, alimentare, ambientale o sociale – sono, in fondo, anche crisi morali collegate tra di loro. Non è difficile costatare che il degrado ambientale è spesso il risultato della mancanza di progetti politici lungimiranti o del perseguimento di miopi interessi economici, che si trasformano, purtroppo, in una seria minaccia per il creato”. E non usa mezzi termini nel riconoscere la responsabilità storica dei Paesi industrializzati nella crisi ecologica mondiale, invitando tutti a cambiare il proprio stile di vita e di consumo, improntandolo a maggiore sobrietà. Anche la Chiesa è chiamata a fare la sua parte perché ha una responsabilità per il creato e deve esercitarla, anche in ambito pubblico, per difendere la terra, l’acqua e l’aria, doni di Dio Creatore per tutti, e per proteggere l’uomo dal pericolo della distruzione di sé stesso. Il degrado della natura è strettamente connesso alla cultura che oggi permea la convivenza umana; quando l’ecologia umana è rispettata all’interno della società, anche l’ecologia ambientale ne trae beneficio”.
Sono principi che Papa Francesco ha approfondito nell’Enciclica “Laudato Si” e ha sublimato il 4 ottobre 2023 nell’esortazione apostolica “Laudate Deum”, quando nel prendere atto dell’aggravamento della crisi climatica in un mondo devastato dalle guerre e governato da tecnocrati che pretendono di sostituirsi a Dio e in cui la politica dimostra tutti i suoi limiti, si è rivolto non solo ai cristiani ma a tutti gli uomini di buona volontà, affinché si torni a lodare Dio, perché chi pretende di sostituirsi a Dio diventa il peggior pericolo per sé stesso. Custodire l’ambiente è non solo rispettare la natura ma anche prendersi cura fattivamente di tutte le creature viventi, uomini piante o animali che siano. Non semplici idee. ma strade concrete da seguire e, infatti, hanno trovato precisa applicazione nella recente riforma dell’art.9 della Costituzione, che ha inserito la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi nell’interesse delle future generazioni, tra i principi fondamentali della Repubblica, e dell’art.41 che ha precisato che l’iniziativa economica privata non può svolgersi in modo da recare danno alla salute, all’ambiente e alla dignità umana, e che la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata siano indirizzate e coordinate a fini sociali e ambientali.
Leone XIV si è inserito alla perfezione nel solco tracciato dai suoi predecessori quando ha affermato che siamo semi di pace e di speranza ed ha citato il profeta Isaia:“lo Spirito di Dio è in grado di trasformare il deserto, arido e riarso, in un giardino, luogo di riposo e serenità: «In noi sarà infuso uno spirito dall’alto; allora il deserto diventerà un giardino e il giardino sarà considerato una selva. Nel deserto prenderà dimora il diritto e la giustizia regnerà nel giardino. Praticare la giustizia darà pace, onorare la giustizia darà tranquillità e sicurezza per sempre. Il mio popolo abiterà in una dimora di pace, in abitazioni tranquille, in luoghi sicuri». Sono le parole profetiche che segneranno il “Tempo del Creato”, per cui, insieme alla preghiera, sono necessarie la volontà e le azioni per rendere visibile questa “carezza di Dio” sul mondo. La giustizia e il diritto sembrano rimediare all’inospitalità del deserto è un annuncio di straordinaria attualità su cui, qui a Brindisi, abbiamo molto da riflettere. In diverse parti del mondo – continua Leone XIV – è evidente che la nostra terra sta cadendo in rovina. Ovunque l’ingiustizia, la violazione del diritto internazionale e dei diritti dei popoli, le diseguaglianze e l’avidità da cui scaturiscono, producono deforestazione, inquinamento, perdita di biodiversità. Aumentano in intensità e frequenza fenomeni naturali estremi causati dal cambiamento climatico indotto da attività antropiche, senza considerare gli effetti a medio e lungo termine della devastazione umana ed ecologica portata dai conflitti armati. Manca la consapevolezza che distruggere la natura non colpisce tutti allo stesso modo: calpestare la giustizia e la pace colpisce maggiormente i poveri, gli emarginati e gli esclusi. La natura stessa talvolta diventa strumento di scambio, un bene da negoziare per ottenere vantaggi economici o politici. In queste dinamiche, il creato viene trasformato in un campo di battaglia per il controllo delle risorse vitali, come testimoniano le zone agricole e le foreste divenute pericolose a causa delle mine, la politica della terra bruciata, i conflitti che scoppiano attorno alle fonti d’acqua, la distribuzione iniqua delle materie prime che penalizzando le popolazioni più deboli minano la stabilità sociale. Queste diverse ferite sono dovute al peccato. Di certo non è quello che aveva in mente Dio quando affidò la Terra all’uomo creato a Sua immagine. La Bibbia non promuove «il dominio dispotico dell’essere umano sul creato». È «importante leggere i testi biblici nel loro contesto e ricordare che essi ci invitano a “coltivare e custodire” il giardino del mondo. Mentre coltivare significa arare o lavorare un terreno, custodire vuol dire proteggere, curare, preservare, conservare, vigilare. Ciò implica una relazione di reciprocità responsabile tra uomo e natura» La giustizia ambientale non è più un concetto astratto o un obiettivo lontano, ma rappresenta una necessità urgente, che va oltre la semplice tutela dell’ambiente. Si tratta di una questione di giustizia sociale, economica e antropologica. Per i credenti è anche un’esigenza teologica, che per i cristiani ha il volto di Cristo, nel quale tutto è stato creato e redento. In un mondo dove i più fragili sono i primi a subire gli effetti devastanti del cambiamento climatico, della deforestazione, e dell’inquinamento, la cura del creato diventa una questione di fede e umanità. È ormai il tempo di far seguire alle parole i fatti. «Vivere la vocazione di essere custodi dell’opera di Dio è parte essenziale di un’esistenza virtuosa, non costituisce qualcosa di opzionale e nemmeno un aspetto secondario dell’esperienza cristiana». Lavorando con dedizione e tenerezza si possono far germogliare molti semi di giustizia e contribuire così alla pace e alla speranza. A volte ci vogliono anni prima che l’albero dia i primi frutti, anni che coinvolgono un intero ecosistema nella continuità, nella fedeltà, nella collaborazione e nell’amore che diventa specchio dell’Amore incondizionato di Dio e non può che portare abbondanti frutti di pace e disperanza.
Spetta ora all’Arcivescovo Giovanni Intini, in occasione della prossima Giornata Diocesana per la Custodia del Creato, calare, con la concretezza che lo contraddistingue, i concetti dell’educazione alla buona ecologia alla nostra Città, consapevole come è che la comunità affidata alla sua cura pastorale è, dal punto di vista ambientale, fra le più disastrate d’Italia.