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Foggia: lutto cittadino per il femminicidio di Hayat, fermato l’ex compagno

I Carabinieri lo hanno rintracciato e fermato a Roma, al termine di un inseguimento in Piazza della Croce Rossa dopo l’alert della Polfer: aveva i vestiti ancora imbrattati di sangue, con ogni probabilità quello della ex compagna, Tariq El Mefedel, il 47enne marocchino con regolare permesso di soggiorno sul territorio nazionale ma senza fissa dimora, ritenuto dalla Procura della Repubblica di Foggia il responsabile del femminicidio di Fatimi Hayat, 46 anni, sua connazionale, accoltellata a morte nella notte del 7 agosto scorso davanti alla sua abitazione, nel centro storico del capoluogo dauno.
Dopo la denuncia della vittima, seguita dal centro antiviolenza Telefono Donna, l’uomo era destinatario di un divieto di avvicinamento con applicazione del braccialetto elettronico (applicazione non avvenuta per non meglio specificati problemi tecnici), misura poi aggravata il 23 luglio dal magistrato con un provvedimento di custodia cautelare in carcere (anch’esso mai eseguito a causa dell’irreperibilità del 47enne).
El Mefedel ha sorpreso la vittima mentre tornava a casa in bicicletta, al rientro dal ristorante in cui lavorava come cuoca: vedendolo, la donna ha immediatamente chiamato la Polizia, ma quando gli agenti sono arrivati l’omicidio si era già consumato.
Nei prossimi giorni sul corpo di Hayat Fatimi sarà effettuata l’autopsia, mentre l’amministrazione comunale di Foggia ha proclamato il lutto cittadino per il giorno in cui saranno celebrati i funerali.
Durissimo l’intervento di Franca Dente, presidente dell’associazione Impegno Donna, cui fa capo il CAV a cui si era rivolta la vittima, che ha apertamente stigmatizzato l’inadeguatezza della risposta istituzionale: “Hayat Fatimi ha lavorato insieme al CAV per capire come prendere le distanze dal maltrattante e ha presentato denuncia. Il suo sforzo avrebbe dovuto trovare un canale di risposta tempestiva, pertinente, adeguata al caso e senza stereotipi con provvedimenti immediati e adeguati, magari con l’allontanamento del maltrattante. Cosa possiamo fare di più? Non ce la possiamo fare da sole. Abbiamo bisogno di una stretta sinergia in tempi brevissimi con le forze dell’ordine e la magistratura. Abbiamo fatto e facciamo i passi giusti nei giusti tempi ma non basta. Questa è una sconfitta enorme per le donne, per noi e per la rete di protezione. Chiediamo con forza a chi ha responsabilità istituzionali politiche e sociali di fare scelte concrete e il coraggio di cambiare sistema”.
Marina Poci