di Gianmarco Di Napoli per il7 Magazine
Nicholas aveva da pochi mesi una stanzetta tutta sua, in una casa vera. Il 29 settembre era stato il suo compleanno, 19 anni, e i genitori lo avevano festeggiato con i fuochi d’artificio che aveva guardato sorridente dal balcone. Già, anche un balcone al primo piano di una palazzina senza pretese è qualcosa di speciale per un ragazzo che è un terrazzino non ce l’ha mai avuto e neanche una scala con l’ascensore, e neanche una porta con lo spioncino e il campanello e il nome di papà e mamma scritto sopra. Nicholas Di Mola era nato nelle baracche di Parco Bove, catapecchie sgarrupate tenute in piedi soltanto dalla dignità delle famiglie che hanno tirato a campare per decenni sperando di avere una casa, tra promesse e illusioni. E quella casa l’hanno finalmente avuta pochi mesi fa e hanno traslocato a 100 metri di distanza, la famiglia di Nicholas al primo piano di una palazzina grigia che si affaccia su piazza Pertini, di fronte ai supermercati. Via della Torretta è il cordone ombelicale che lega ancora le nuove case alla baraccopoli che non c’è più perché finalmente l’hanno rasa al suolo.
E queste palazzine sono troppo nuove per essere riempite già di manifesti da morto che non c’è un centimetro libero sui muri davanti al portone, su quelli laterali che girano sotto i portici di queste case senza garage. E li hanno incollati anche all’interno del palazzo perché fuori non c’è più spazio. Ognuna delle famiglie di Parco Bove, che hanno visto nascere e crescere Nicholas nella piazza su cui si affacciavano le baracche, tra fili per stendere i panni, barche parcheggiate tra le auto, ognuna di loro ha voluto scrivere un proprio manifesto. Le baracche non erano un condominio, ma un’unica famiglia con cognomi diversi.
Le palazzine sono buie in piazza Pertini. Il lutto è anche nelle luci spente delle finestre, dei balconi, dei primi addobbi di Natale. Davanti al portone è parcheggiato uno scooter con la foto di Nicholas incollata sul parabrezza. Sulla ringhiera di fronte uno striscione con la scritta “Buon viaggio, angelo nostro” e i palloncini a forma di cuore. Centinaia di ragazzi si muovono come fantasmi, al buio e in silenzio. Prima no, quando il carro funebre lo ha riportato a casa c’è stato un corteo che è partito dall’ospedale, con gli amici in moto che suonavano i clacson, e poi le auto della famiglia. Arrivati al Paradiso l’auto grigia ha sfilato per le vie del quartiere, i commercianti hanno abbassato le saracinesche in segno di lutto, il rombo delle moto che sgasavano lo sentivi nel cervello.
La moto era per Nicholas qualcosa più di una passione. Era la compagna inseparabile, l’hobby preferito, l’unica vera follia. Perché lavorava sodo: nel cantiere navale di un cugino nei pressi del porticciolo. E quando non c’erano barche da sistemare faceva l’operaio in un’autocarrozzeria. Non aveva dato mai preoccupazioni al papà Marcello, che fa il pescatore, e alla mamma Sandra. Era legatissimo a Jacopo, il fratello più piccolo.
La moto è stata anche l’ultima cosa che ha visto, lunedì sera. Aveva accompagnato il papà Marcello a un appuntamento tra la Commenda e il rione San’Angelo. Nel frattempo ha pensato di andare a trovare un’amica. Il padre lo ha aspettato per un’ora in strada, poi qualcuno lo ha avvisato al telefono. Dello scooter Tmax restava quasi nulla, all’incrocio tra viale Commenda e via Marche. Più avanti c’era una Fiat 500 X con lo sportello del passeggero sfondato. Era stato quello il punto dell’impatto. Pare che la ragazza che guidava l’auto, proveniente dal lato opposto di viale Commenda, avesse svoltato all’improvviso tagliandogli la strada. Ma questo lo stabilirà la polizia stradale.
Nicholas non si è mai svegliato, non ha mai ripreso conoscienza. Quelli del 118 gli hanno tolto il casco e hanno provato a rianimarlo. Poi la corsa in ospedale, i medici che hanno fatto di tutto per salvarlo. E lui ha lottato per quasi due giorni, quando non c’era più alcuna speranza. Fuori dal reparto decine di amici a darsi il cambio, il padre che non mi muoveva e urlava tutta la sua disperazione su Facebook: svegliati a papà. Un cugino ha fatto un video con uno scooter nuovo di zecca, sgasando con l’acceleratore: “Ti stiamo aspettando leone nostro, vedi che regalo ti ha fatto tuo cugino. Mena frate’ che dobbiamo tornare insieme”.
Ma Nicholas non si è svegliato.
E quelle preghiere cariche di speranza, che hanno invaso le pagine dei social, si sono subito trasformate in lacrime di dolore e di incredulità stampate sui manifesti, abbozzate con lo spray sugli striscioni o affidate ancora una volta alla piazza di Facebook. “Era un ragazzo speciale, un po’ il figlio di tutti noi”, racconta Marcello Mastrogiacomo con gli occhi che brillano di lacrime e angoscia, sopra la mascherina. Gli amici sono qui per sbrigare tutte le pratiche, per organizzare il funerale. Nella casa al primo piano non si riesce ad entrare, tanta è la gente che vuole far sentire il suo affetto. Anche Marcello si è affidato a Facebook: “Ti ho preso in braccio quando sei nato, ti ho preso la mano quando hai mosso i primi passi, ti ho rincorso perché mi rubavi le patatine fritte, ti sei rubato anche il nostro cuore. Ti amerò per sempre, Nicholas”.