Aldo Moro, la scorta uccisa e dimenticata

di Giancarlo Sacrestano per IL7 Magazine

Mario Fani aveva 24 anni nel 1869 quando morì a seguito di un infezione polmonare dopo aver tratto in salvo dal mare un bagnante che stava annegando, ma aveva fatto in tempo a fondare la “Gioventù Cattolica Italiana e non credeva di aver fatto nulla di eroico o importante da ricevere dai posteri la titolazione una via al centro di Roma.
Francesco Zizzi, brindisino di Fasano, aveva 40 anni nel 1978 quando morì in Via Mario Fani a Roma colpito a morte dalle mitragliate dei terroristi delle Brigate Rosse, l’organizzazione terroristica che insieme a lui, vice brigadiere di Pubblica Sicurezza alle 9,05 di quel giorno, trucidava altri due agenti della polizia, Giulio Rivera e Raffaele Iozzino. Quel tragico giorno di 40 anni fa, a bordo della loro alfetta bianca scortavano la Fiat 130 del presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro. Il maresciallo dei Carabinieri Oreste Leonardi e l’appuntato dell’arma Domenico Ricci, autista dell’auto del leader democristiano furono trucidati pure loro. Il presidente Moro veniva invece trasbordato su un’altra auto per essere condotto in un covo e rimanere sequestrato per 55 giorni. Il corpo del leader politico, ucciso il mattino del 9 maggio, fu fatto ritrovare nel bagagliaio di una renault rossa in Via Caetani, sempre a Roma.
E’ un giorno importante quel 16 marzo, uno di quelli da segnare in grassetto sul calendario della storia d’Italia. Il suo epilogo, il successivo 9 maggio è spartiacque tra un prima ed un dopo che ancora reclama approfondimenti e chiarimenti.
Se dei protagonisti si sa quasi tutto, è sugli uomini di scorta che l’oblìo, la dimenticanza di stato è scesa a stendere una coltre granitica di silenzio. Sono morti facendo il loro mestiere. Solo di recente giornalisti e storici stanno cercando testimonianze per capire le storie personali di quei cinque servitori dello Stato, farli riemergere dall’oscurità con le loro piccole storie che avevano la sola pretesa di contribuire, così come sancito dalla costituzione alla crescita della Repubblica.
I loro funerali, furono sostanzialmente una pratica burocratica da chiudere in fretta, lasciando le famiglie e gli affetti ben lontani da un necessario ascolto.
A pochi minuti dall’agguato l’intero Paese fu scosso nell’intimo e le vie e le piazze si affollarono di lavoratori, studenti, persone che incrociavano sensazioni, emozioni, congetture, pensieri. Quella mattina di quarant’anni fa, moriva una stagione per aprire l’Italia alla consapevolezza che tutto è precario e che Totem e tabù sono fatti per essere demoliti, anche con la violenza.
Francesco Zizzi, nato a Fasano in provincia di Brindisi, poliziotto per necessità, come tanti suoi conterranei quel maledetto 16 marzo, non ci sarebbe dovuto neppure essere in via Fani. Quel giorno, infatti, il suo primo nel servizio di scorta a Moro, sostituì all’ultimo un collega malato. Francesco Zizzi fu l’unico degli uomini della scorta a non morire sul colpo. Fu estratto vivo dall’Alfetta e trasportato al vicino policlinico Gemelli dove, però, morì alle 12.30.
Francesco amava cantare e suonare la chitarra, si arruola nella polizia nel 1972, “così per provare” come ha ricordato poi la madre. Dopo il corso di formazione, è assegnato al Raggruppamento di Roma. Quell’iniziale scommessa piace a Francesco che decide di partecipare quattro anni dopo al concorso per sottufficiali che vince.
L’11 gennaio 1977, con il grado di vice brigadiere, è assegnato alla questura di Parma, ma la cittadina emiliana è lontana da Latina dove vive la sua fidanzata, Valeria, che vuole al più presto sposare. Per questo chiede il trasferimento per Roma, al Reparto autonomo del ministero dell’Interno. Il trasferimento arriva il 30 gennaio 1978.
La terra brindisina è lontana, ma i brindisini sanno che un pezzo di pane te lo devi cercare lontano e Francesco questo lo sa.
Il 18 marzo si tennero i funerali solenni degli uomini della scorta del Presidente Moro, Oreste, Domenico, Francesco, Giulio e Raffaele, cinque nomi, cinque storie, cinque vite spezzate per sempre. 5 opportunità mancate al futuro del Paese. A loro sono stati riconosciute vie, larghi e caserme, cristallizzati in un ruolo per cui non erano vissuti. Francesco Zizzi, come gli altri, era un lavoratore, proletario, come definiva PierPaolo Pasolini quelli come lui, che si contrapponevano fisicamente, o poco più, al dilagare della deriva criminale e terroristica. Forse a loro è invece mancato, come ad ognuno di noi, il sogno di una vita normale, di un futuro normale da vivere in un Paese normale.