
Il porto di Bari avrà un terminal passeggeri ultramoderno con terrazza sul mare che costerà cinque milioni di euro: la struttura si estenderà su due piani, avrà una hall con dieci desk destinati all’accoglienza e alla registrazione dei passeggeri e un foyer per eventi, conferenze e incontri aperti alla città. Il progetto è dell’Autorità portuale del mare Adriatico meridionale, la stessa che gestisce anche il porto di Brindisi.
A Brindisi era prevista la realizzazione di un avveniristico terminal, chiamato “Le vele”, che doveva costare quasi dodici milioni di euro. Dopo l’apertura di un’inchiesta giudiziaria che non ha portato ad alcun processo, i lavori (misteriosamente) non sono mai partiti e il cantiere è tuttora deserto. Nel frattempo i viaggiatori in transito vengono accolti in una struttura vergognosa, gelida d’inverno e torrida d’estate, chiamata “falegnameria”, che ricorda le stazioni portuali albanesi degli anni Settanta. Perché nel frattempo la situazione si è ribaltata: provate ad andare nel porto di Valona e vi renderete conto di quanto (come raccontiamo in un reportage realizzato in questo numero da Lucia Portolano) Brindisi sia diventata il porto con le peggiori infrastrutture dell’Adriatico.
Dopo due decenni di gestione dissennata dell’Autorità portuale di Brindisi, i cui strascichi si sono concretizzati nelle vicende giudiziarie innescate dalla guardia di finanza nell’ultimo anno, l’annessione al maxi contenitore pugliese che fa capo a Bari ha di fatto messo la parola fine a qualsiasi ambizione di sviluppo. Anzi, il porto di Brindisi, dove l’Authority continua a incassare fior di quattrini con le decine di migliaia di tonnellate di carbone e altri combustibili che transitano sulle nostre banchine, resta la cenerentola perché gli investimenti reali, quelli che servono a creare strutture e attrarre passeggeri, vengono fatti a Bari.
A Brindisi resta la coda lunga del disinteresse totale che è sintetizzata dagli interminabili lavori, ampiamente oltre il tempo massimo, effettuati sulla banchina di piazza Vittorio Emanuele e che si concretizza negli orrori della recinzione che ha per sempre segnato esteticamente via del Mare. Oltre allo scandaloso disinteresse con cui è stata affrontata la vicenda di Sant’Apollinare e di villa Monticelli.
Brindisi è ormai come un cinema di seconda visione collocato nei pressi di una multisala.
Una situazione identica è quella dell’aeroporto dove sono stati annunciati il passaggio da due a quattro voli settimanali per Atene e due voli alla settimana per Bordeaux, Budapest, Cracovia, Praga, Belino e Parigi. Tutto da Bari. Da Brindisi nulla.
Naturalmente la colpa non è dell’intraprendenza dei baresi, perché loro fanno benissimo a prendersi tutto ciò che possono, visto che nessuno glielo impedisce. No, la responsabilità dell’assoluta incapacità di assumere un ruolo e di capitalizzare le risorse enormi che questa città e questo territorio possiedono, risiede in una classe politica brindisina priva di spessore e di una vera visione imprenditoriale. Una classe politica brindisina che da un lato vive una patologica sindrome di dipendenza e subordinazione allo strapotere barese, dall’altro si accontenta di vivere in uno stato di preoccupante provincialismo dovuto all’assenza di personalità che possano avere interlocuzioni importanti a Bari o a Roma.
Nel giro di tre giorni il sindaco di Brindisi ha pubblicato sulla sua pagina ufficiale due post in cui raccontava trionfalmente che erano stati multati cittadini che non avevano raccolto le feci del loro cane.
Ecco, è il momento di alzare il livello del dibattito e delle ambizioni di questa città in cui la politica sembra adeguarsi a quanto sta avvenendo nel porto negli ultimi mesi: qui, sempre più frequentemente, vengono intercettati e sequestrati migliaia di capi d’abbigliamento e scarpe contraffatti spediti dalla Grecia. Anche di Brindisi ormai viene utilizzato solo il brand, ma il prodotto sembra solo un’imitazione dell’originale, realizzato con materiali di scarto e svenduto a prezzo da mercato rionale. Made in Bari.