Brindisi, non solo accoglienza: polo anticrimine dell’Adriatico

A partire dagli anni Settanta le sigarette di contrabbando, dopo essere state sfrattate dalla Grecia, presero a viaggiare sulla rotta Valona-Brindisi: i traffici avvenivano ovviamente con il benestare del regime totalitario albanese. Quando all’inizio degli anni Novanta da Valona e Durazzo cominciarono a partire le navi con migliaia di profughi che fuggivano dal regime comunista, la rotta da percorrere era identica: il porto più vicino restava quello di Brindisi. L’affollamento provocato dalla presenza dei barconi e delle unità della Marina militare (impegnate nell’operazione Pellicano) spinse i contrabbandieri a spostarsi più a nord, andando a colonizzare le coste del Montenegro, in particolare il porto di Bar e le Bocche di Cattaro. In quel periodo la Jugoslavia era devastata dalla guerra civile e i trafficanti brindisini, capaci di spostare miliardi di lire grazie ai proventi del contrabbando, crearono una proficua collaborazione con i massimi esponenti del governo montenegrino. Una alleanza che sfiorò spesso, come documentato dalle sentenze penali emesse dal Tribunale di Bari, un vero e proprio assoggettamento da parte dei ministri montenegrini ai mafiosi brindisini.
Per anni sia l’Albania che il Montenegro hanno rappresentato un rifugio sicuro per la criminalità organizzata brindisina e pugliese più in generale in quanto con i due governi non erano validi gli accordi di sicurezza internazionale e dunque l’Interpol non poteva intervenire, così come le forze dell’ordine. Erano una sorta di isola felice in cui i latitanti, anche quelli colpiti da ordinanze d’arresto per reati gravissimi, vivevano liberamente.
Ecco perché vedere i ministri dell’Interno, e i responsabili della pubblica sicurezza, di Albania e Montenegro nella sala della stazione marittima di Brindisi, laddove arrivarono decine di migliaia di profughi e dove venivano ormeggiati i motoscafi contrabbandieri intercettati, compreso quello con il cadavere a bordo dello scafista Vito Ferrarese, è stata la testimonianza di una svolta storica per la sicurezza e la lotta alla criminalità nel nostro Paese. E che il vertice internazionale per coordinare l’attività di contrasto alle mafie transnazionali e al terrorismo islamico sia stato voluto dal ministero dell’Interno italiano, e dal capo della Polizia, qui a Brindisi assume un significato enorme per il ruolo di questa città. Un significato che forse non è stato colto appieno.
Finora Brindisi ha ricoperto il compito, ricco di attestazioni e di medaglie, di “città dell’accoglienza”, in ciò quasi ad assecondare la sua conformazione naturale, con i due seni del porto che sembrano distesi in un abbraccio urbi et orbi. I vertici più importanti che vi hanno avuto luogo sono stati appunto finalizzati a garantire le massime condizioni di sicurezza per chi vi giungeva, quasi sempre in fuga dal Paese d’origine.
Ma negli ultimi mesi, accanto alla propensione all’accoglienza, Brindisi ha sviluppato attraverso gli uffici di polizia dedicati, un ruolo di primissimo piano nella selezione di chi può essere accolto e chi no, di chi ha diritto a trovare una nuova speranza di vita in Europa e chi invece vi giunge con finalità criminali o terroristiche e dunque deve essere respinto.
In tutto questo il lavoro della questura di Brindisi, in particolare degli uffici Digos e Stranieri, è stato fondamentale a livello nazionale perché ha consentito di ridurre notevolmente il rischio di infiltrazioni terroristiche: sono stati più di cento gli extracomunitari considerati a rischio per quali è stato disposta l’espulsione immediata. Di questi quindici erano già radicalizzati in ambienti islamici.
Questo lavoro di “sentinella” d’Oriente ha consentito di far acquisire a Brindisi lo status di porto principale dell’Adriatico nella lotta alla criminalità e individuare come quartier generale per il vertice internazionale contro il crimine organizzato e il terrorismo: una città in grado di accogliere, ma anche di essere volano della sicurezza nell’Adriatico.
Al fianco di quegli stessi Paesi che un tempo erano alleati sì con Brindisi, ma con la sua versione «Marlboro City».