di GIANMARCO DI NAPOLI per IL7 Magazine
L’arcivescovo di Brindisi, Domenico Caliandro, ha comunicato ufficialmente che dal prossimo anno la processione del Cavallo Parato è cancellata. I motivi ufficiali della sua decisione, resa nota al termine della tradizionale processione dell’Assunta conclusasi con una messa nel cimitero comunale, sono legati al fatto che la presenza del cavallo distrarrebbe i fedeli dall’elemento centrale della cerimonia che è la venerazione del Santissimo Sacramento. Monsignor Caliandro ha spiegato di aver interpretato come “un segnale dal cielo” la sua caduta dal cavallo nel corso dell’ultima processione. Una caduta che gli ha provocato dolorose fratture alle costole e un lungo periodo di convalescenza.
Si potrebbe confutare la scelta del capo della Chiesa brindisina sostenendo che in questo modo si cancella la più antica tradizione popolare della nostra città, una cerimonia che attira ogni anno visitatori provenienti da tutta la Puglia e che è un forte momento di aggregazione, uno dei pochi ancora esistenti.
Ma tali motivazioni non avrebbero alcuna valenza liturgica perché – osserverebbe giustamente la Curia – le cerimonie religiose non possono essere subordinate ad esigenze laiche e anzi avvalorerebbero il timore espresso da monsignor Caliandro che la processione del Cavallo Parato concentri di più l’attenzione dei presenti sull’equino piuttosto che sulla solennità del passaggio del Santissimo corpo e sangue di Cristo.
La verità è che invece la processione del Cavallo Parato non può essere cancellata e solo per questioni esclusivamente religiose, come IL7 Magazine è in grado di dimostrare grazie a documenti d’epoca rintracciati negli archivi e allo studio pubblicato negli anni Settanta da un insigne appassionato di storia brindisina, Giuseppe Roma.
Nel corso dei secoli (il Cavallo Parato viene celebrato a Brindisi dal XIII) più volte la processione ha rischiato di essere cancellata. L’episodio più recente e clamoroso risale al 1964, sulla scia dei cambiamenti decisi durante il Concilio Vaticano II, quando venne stabilito che tutte le “consuetudini locali” dovessero essere sottoposte in Vaticano al vaglio della Sacra Congregazione dei Riti. L’arcivescovo dell’epoca, monsignor Nicola Margiotta, chiese alla Sacra Congregazione se la processione eucaristica nel giorno del Corpus Domini, nella città di Brindisi, potesse continuare a svolgersi nella forma tradizionale, ossia con il vescovo a cavallo. Il 16 aprile 1964 il Vaticano si pronunciò negativamente. Così il Cavallo Parato venne sospeso per la prima volta dopo 713 anni e la processione venne uniformata a quelle che si svolgevano nel resto dell’Italia nello stesso giorno. Ossia, a piedi.
In quel periodo la linea della Congregazione era quella di eliminare tutte le celebrazioni che si discostassero troppo dalla tradizione e che non fossero meritevoli di essere conservate perché non “immemorabili”. L’Italia era tutta un pullulare, ancor più di oggi, di statue di stoffa, cartapesta, quadri, immagini, effigi portati in processione per le vie delle città, dei paesi o in campagna. Ma il Cavallo Parato non era uno di questi. Chi passa per le vie di Brindisi non è un’immagine miracolosa ma quello che per i credenti è il Corpo di Cristo. Nessun rischio d’ortodossia, dunque, anche se quel simbolo di fede viene trasportato su un cavallo.
Solo che l’arcivescovo Margiotta non si era preoccupato di documentarlo nel momento in cui la richiesta di autorizzazione era stata inviata a Roma nel 1964. E non spettava certo agli indaffaratissimi membri approfondire le loro conosscenze.
In virtù di quel divieto, alla fine degli anni Sessanta, il Cavallo Parato nel giorno del Corpus Domini non attraversava più le vie della città e le cronache dell’epoca raccontano di come ne fossero afflitti i brindisini. Giunse a Brindisi, come nuovo arcivescovo, monsignor Orazio Semeraro, nato a Veglie ma ostunese d’adozione e che conosceva molto bene la diocesi avendo ricoperto per anni il ruolo di vicario generale. Poco dopo il suo insediamento, Semeraro ricevette una lettera da parte del Capitolo metropolitano, sulla proibizione del Cavallo Parato. C’era scritto tra l’altro: “Quella decisione ha suscitato nel popolo una mal contenuta irritazione e un forte e acre spirito di protesta che durano tuttora. Mai questo Capitolo si è rassegnato al fatto compiuto. Speriamo vivamente in un suo intervento che valga a ottenere la revoca di un provvedimento del tutto ingiustificato”.
Monsignor Semeraro, ben conoscendo quale fosse il valore storico-religioso e pastorale della soppressa tradizione, non ebbe esitazioni sul da farsi. E cioè che la questione dovesse essere sottoposta nuovamente alla Sacra Congregazione dei Riti, ma questa volta con il supporto di ogni possibile documentazione. E il 26 aprile 1969 così si espresse la Sacra Congregazione Romana: “L’arcivescovo Semeraro ha esposto alla Sacra Congregazione la antichissima e per cero sette volte secolare tradizione, mai interrotta sino al 1964, per la quale ogni anno, nella ricorrenza del Corpus Domini, il Santissimo Sacramento dell’Eucarestia viene portato in solennissima processione per le vie della città di Brindisi dall’Arcivescovo vestito degli abiti sacerdotali con piviale, cavalcando un bianco e mansueto cavallo riccamente paludato. Per vero, or non è molto, in data 16 aprile 1964 la Sacra Congregazione interruppe questa consuetudine. Lo stesso mons. Semeraro, facendo anche presente i voti espressi con voce universale, unanime e concorde, dal Capitolo metropolitano, dal clero tutto e dai fedeli della città di Brindisi, ha rivolto vivissima istanza alla Sacra Congregazione perché la detta antichissima consuetudine, anche per il suo contenuto pastorale, sia col corrente anno ripristinata. E la Sacra congregazione dei Riti, dopo aver attentamente vagliato i nuovi argomenti addotti, e dopo maturo e meditato riesame della cosa, ha emesso la seguente decisione: autorizzarsi l’eccellentissimo postulante di provvedere nel modo che egli riterrà migliore, e la sua decisione si abbia per ratificata”.
Insomma il Vaticano riconosceva la “antichissima tradizione” e il “contenuto pastorale” del Cavallo Parato.
Poco tempo dopo Semeraro ne diede notizia al clero e alla città: “In virtù della facoltà discrezionale ricevuta dalla Santa Sede, con il presente decreto stabiliamo di ripristinare la secolare tradizione del cosiddetto Cavallo Parato, interrotta nel 1964. Il presente decreto entrerà in vigore nella festa del Corpus Domini del prossimo anno 1970, dopo conveniente e tempestiva preparazione catechistica, in modo che il popolo fedele vi partecipi con profonda devozione, come si conviene a una sacra Cerimonia, ricca di storia e di fede”.
Ma con quali argomenti monsignor Semeraro aveva documentato il valore religioso e imprescindibile della processione a Cavallo? Non certo questioni turistiche o di tradizione laica. L’arcivescovo di Brindisi aveva affermato: 1) la processione aveva il requisito della “immemorabilità” perché andava oltre i 700 anni di storia, tutti perfettamente documentabili. 2) Aveva una certa e buona origine religiosa e cattolica e vantava un’origine che è sempre stata quella di commemorare un avvenimento di insigne contenuto religioso e cattolico: l’arrivo a Brindisi del Santissimo Sacramento portato da un santo della Chiesa di culto universale, quale San Luigi IX. 3) Il requisito pastorale in quanto il Cavallo parato aveva sempre raccolto intorno al Santissimo sacramento “folle di popolo commosse e devote”. 4) Il fatto era anche storicamente provato, com’è il caso dello sbarco di San Ludovico sullo scoglio brindisino.
Inoltre non esisteva alcun pericolo alla ortodossia della fede per il fatto che il sacramento fosse condotto a cavallo. Nel 1671 il celebre predicatore generale Padre Bernardino Selvaggi, a proposito della tradizione brindisina del Cavallo Parato, scriveva. “Ma, o privilegiata più, o felice più, o fortunata più di quanti regni e province, città mia famosissima Brindisi… ché solo a te si concede che il Sacramento proceda a Cavallo; per solo in te apparire così trionfante… essendo proprio di chi cavalca la Maestà e la pompa. Vedendosi per tutte le città del Christianesimo il Sacramento Iddio girare a piedi, e solo in questa città di Brindisi a Cavallo, ciò fa per dimostrarsi qui veramente Re maestoso…”
Nel corso della storia, e vi rimando ai puntuali servizi nelle pagine che seguono a cura di Gianfranco Perri e Giovanni Membola, più volte il Cavallo Parato ha superato indenne gli sbarramenti che la Chiesa ha posto per fermare riti religiosi ritenuti poco consoni alla tradizione cattolica: durante il Concilio di Trento, nel XIV secolo, furono fissati principi molto rigorosi per cui venne deciso di conservare solo riti e cerimonie meritevoli di essere tramandati. Il Cavallo Parato, per volere del papa Paolo IV, che era stato vescovo di Brindisi, continuò ad essere celebrato.
Nel 1600 papa Clemente VIII promulgò un cerimoniale per i vescovi al fine di evitare abusi e difformità locali nelle celebrazioni: era evidente che il Cavallo Parato era manifestatamente e vistosamente difforme dal normale cerimoniale del Corpus Domini. Quando nel 1605 giunse a Brindisi dalla Spagna il nuovo vescovo, rigorosissimo e intransigente, avanzò alcune obiezioni sul Cavallo Parato. Ma il Capitolo della cattedrale di Brindisi si appellò alla Congregazione dei riti, proprio come sarebbe successo 350 anni dopo. E la Congregazione rispose che “Il Cerimoniale dei vescovi non sopprime le immemorabili e lodevoli tradizioni della Chiesa brindisina”.
E il Cavallo parato superò ancora le revisioni imposte da papa Paolo V e quella ordinata da Benedetto XIV nel 1752.
Insomma la processione con l’arcivescovo a cavallo ha superato trasversalmente secoli di storia della Chiesa, radicandosi nella cultura religiosa e nella tradizione brindisina. La drammatica caduta dal cavallo dell’anziano vescovo brindisino lo ha comprensibilmente indotto a temere un reale rischio per la sua incolumità se dovesse rimontare in sella nelle prossime edizioni della processione. Ma questo non può segnare la fine di una tradizione religiosa che si perde nei secoli. E’ opportuno valutare una soluzione di compromesso che mantenga il cavallo parato: si ipotizzava qualche settimana fa l’utilizzo di un piccolo calesse, o che sul cavallo montasse un vicario. Potrebbero essere ipotesi percorribili. In modo da lasciare poi all’arcivescovo che subentrerà tra qualche anno la possibilità di scegliere se rimontare a cavallo. Senza assumersi la responsabilità di cancellare la storia per una caduta. E senza magari coinvolgere nuovamente la Congregazione dei riti del Vaticano.
Ha collaborato Raffaele Mauro