Coralli? Ci sono anche nei fondali di Brindisi. Ma non sono da gioielleria

La notizia, apparsa alcuni giorni orsono su tutti i mezzi di informazione italiani, e non solo, ed anche su molte riviste scientifiche e divulgative, salvo essere parzialmente ridimensionata quando gli stessi autori della “scoperta” si sono resi conto della portata internazionale del tamtam mediatico, può essere così riassunta: “Una barriera corallina è stata scoperta poco al largo di Monopoli. L’eccezionale rinvenimento è opera di un gruppo di ricercatori del dipartimento di Biologia dell’Università di Bari, guidati dal direttore Giuseppe Corriero, effettuate a due miglia dalla costa, tra i 40 e i 55 metri di profondità. Una barriera corallina del genere, in Italia non si era mai vista, simile a quelle che si possono vedere alle Maldive a Sharm el Sheikh, nel Mar Rosso. I ricercatori hanno stimato che la lunghezza della barriera scoperta sia di almeno 135 km (in pratica da Polignano ad Otranto)”.

Essendo nota la mia passione per il mare e le immersioni, in special modo lungo tutta la penisola salentina, sono state decine gli amici – fra cui anche il direttore di questa rivista – ed i conoscenti a rimproverarmi per non saper nulla o per il non aver documentato fotograficamente nulla di questo incredibile tesoro naturalistico e scientifico che abbiamo sotto il nostro naso.
Conoscendo a menadito nostri fondali, anche quelli della fascia profonda fra i 30 ed i 50 metri, limite massimo che è imposto alle immersioni ricreative, ovviamente se abilitati con idoneo brevetto “deep”, e conservando ancora fresco il ricordo di un lontano viaggio ai tropici, sulla vera barriera corallina, ho immediatamente, quanto istintivamente, sulla base della mia esperienza e delle mie conoscenze e dopo aver dato un’occhiata al filmato divulgato sul web, bollato di “boutade” questa notizia.

Come è mio costume, però ho cercato di approfondire la questione, con l’ausilio di persone esperte, anche per cercare di capire come è possibile che degli scienziati si spingano tanto oltre nel pubblicizzare i loro studi e le loro scoperte fino a dilatarne a dismisura la reale portata sicchè, probabilmente sfuggita di mano agli stessi autori – complice la rete e qualche foto equivoca, scattata ai tropici con tutto un contorno di pesci dalle livree sgargianti, ma allegata agli articoli come se fossero relative alla scoperta fatta in Basso Adriatico – ha fatto rapidamente il giro del mondo ed è ritornata al mittente tacciata, da più parti, come fake news.
Diversi gruppi ed associazioni di subacquei, dal Nord Barese fino al Basso Salento Adriatico hanno evidenziato di avere anche loro delle “barriere coralline” e nella eccitazione del momento, sono state pubblicate, a dimostrazione della veridicità della notizia, come fossero foto di coralli addirittura degli spirografi, che altro non sono che vermi marini, o delle spugne, definite corallifere, che ovviamente con il corallo hanno ben poco a che vedere; palese è anche la confusione che si è ingenerata fra le tante secche presenti nei nostri mari, con cappelli a 15-20 metri di profondità, e le barriere che, in quanto tali, devono quanto meno sfiorare la superficie.
Una situazione davvero imbarazzante per chi cerca un minimo di approccio scientifico nella propria passione per la natura, tale da convincermi a fare un po’ di chiarezza in materia.

Confrontando le immagini della barriera corallina monopolitana con tante foto da me scattate, da ultimo nello scorso fine settimana, ai piedi della secca di Bocche di Puglia, mezzo miglio al largo della Diga vecchia, sul litorale nord di Brindisi, dove il fondale degrada a -35 metri, non può che notarsi l’affinità con le specie immortalate al largo di Monopoli in quella che, più che barriera corallina, appare essere una semplice scogliera sottomarina ricoperta di formazioni coralligene come ce ne sono dappertutto nel “Mare Nostrum”.
Per meglio comprendere, anche dal punto di vista scientifico, con cosa abbiamo che fare, ho chiesto aiuto alla dott.ssa Rossella Baldacconi, tarantina, laureata in scienze ambientali con indirizzo marino, ha lavorato anni addietro come ricercatrice proprio al Dipartimento di Biologia dell’Università di Bari, conseguendo il Dottorato di Ricerca, subacquea provetta ed autrice, oltre che di numerose pubblicazioni scientifiche pubblicate su varie riviste anche internazionali, anche di vari libri di carattere più divulgativo – in cui sono contenute molte foto scattate negli abissi dalla stessa autrice – fra cui, con Egidio Trainito, del famoso “Atlante di Flora e Fauna del Mediterraneo”, che è l’opera basilare per tutti quanti vogliano cominciare ad approfondire gli argomenti legati alla vita presente nel nostro mare ed anche quelli più specifici, ma che riguardano più da vicino il nostro argomento odierno: “Spugne del Mediterraneo” e “Coralli del Mediterraneo“.

Approfitto della circostanza per ricordarla come autrice, insieme al mio amico fotosub Giacinto Ribezzo, di una bella e snella pubblicazione sulla biodiversità presente nei mari di Taranto, intitolata, appunto “I Mari di Taranto”.
A lei, che è la donna di scienza che, a mio avviso, ha la massima competenza in materia, ho chiesto come sia possibile che quella che è apparsa a tutti i frequentatori degli abissi marini come una “non notizia” abbia fatto così rapidamente il giro del mondo, generando una falsa rappresentazione della realtà che, pur partendo da uno studio di carattere scientifico, appare quasi una operazione di marketing territoriale, tant’è che, addirittura l’Assessore all’Ambiente della Regione Puglia Giovanni Stea che, preso dall’enfasi del momento ha dichiarato che dopo la scoperta della barriera corallina al largo della costa pugliese, la Giunta regionale sta pensando di avviare l’iter per creare un’area marina protetta al largo di Monopoli.

“Sulla questione “barriera corallina” scoperta in Adriatico, davanti Monopoli, su fondali tra 30 e 50 metri – esordisce la dott.ssa Baldacconi – è meglio fare un po’ di chiarezza. Innanzitutto non è una barriera ma una formazione madreporica di profondità. L’affinità con le barriere coralline tropicali è negli animali che creano queste meravigliose costruzioni: le madrepore, esacoralli dal rigido scheletro di carbonato di calcio. La sovrapposizione degli scheletri crea nel lento scorrere del tempo biocostruzioni complesse e articolate popolate da un gran numero di organismi. Chiaramente le madrepore mediterranee sono diverse dalle tropicali, e nel caso in esame non possiedono le microalghe simbionti che invece caratterizzano le madrepore tropicali. Di sicuro la formazione madreporica scoperta non è l’unica del Mediterraneo. Molti, poi, hanno confuso la biocostruzione madreporica scoperta a largo di Monopoli con il coralligeno che è però creato da alghe rosse coralline. Le alghe come le madrepore sovrappongono i loro talli rigidi di carbonato di calcio fino a formare le biocostruzioni coralligene (un tempo colonizzate dall’ormai raro e prezioso corallo rosso, octocorallo ben diverso dalle madrepore). Insomma, la scoperta è sicuramente importante ma è stata enfatizzata dagli autori in modo errato”.

Dello stesso parere, ed anzi calca decisamente ancor di più la mano mettendo quasi all’indice non lo ricerca scientifica, di cui sminuisce comunque la portata, ma il metodo utilizzato per attirare l’attenzione mediatica su questa ricerca, il dott. Ferdinando Boero, Professore di Zoologia all’Università del Salento, Associato all’Istituto di Scienze Marine del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Presidente del Consiglio Scientifico della Stazione Zoologica “Anton Dohrn”, di Napoli.
Questo luminare nel campo delle scienze marine ha immediatamente fatto conoscere il suo parere, basato sulle solide conoscenze scientifiche e che, cioè, la famosa scoperta pubblicizzata come barriera corallina di Monopoli non ha nulla a che vedere con quelle che sono le barriere coralline tropicali, che sono presenti solo a basse profondità dal momento che i coralli che le formano vivono in stretta simbiosi con alghe unicellulari che li trasformano in animali foto sintetici, mentre quello trovato lungo la costa pugliese altro non è che una rimarchevole espressione del ben noto coralligeno, noto e studiato sin dagli anni Cinquanta e che si chiama così in quanto, prima che i prelievi massivi ed indiscriminati ne depauperassero le popolazioni, quell’ambiente generava il corallo rosso, ben noto in gioielleria. Mentre i coralli segnalati in Puglia sono madrepore, e non hanno nulla a che vedere con il corallo rosso, anche se entrambi appartengono alla stessa classe di organismi: gli antozoi. Purtroppo, continua il prof. Boero nello sfogo affidato alla stampa, può capitare che per richiamare l’attenzione sulla vita marina si sia costretti a gonfiare le notizie e a renderle sensazionali, sperando di attirare un pò d’attenzione da parte di chi decide come investire i fondi per la ricerca.

Alla resa dei conti, insomma, la conclusione più vicina alla realtà appare essere che la notizia della esistenza di una barriera corallina al largo di Monopoli, che potrebbe estendersi per 135 chilometri, passando per Brindisi ed arrivando, giù, fino ad Otranto, se proprio non è una “bufala marina”, poco ci manca ed è sicuramente posta in maniera equivoca ed esagerata, ma il nostro mare merita, comunque attenzione, per quello che è il suo bel patrimonio di biodiversità e per le centinaia di specie che coabitano in quei meravigliosi condomini sottomarini che sono le scogliere sommerse.