Da Fontanelle a Marimisti, alla scoperta del vecchio pontone

Nella passeggiata di questa settimana mi sono dedicato ad un luogo ancora tanto caro a molti brindisini, ormai di una certa età, che hanno trascorso, negli anni Sessanta e Settanta, le loro estati al mare; non più nelle, un tempo rinomate, spiagge di Sant’Apollinare, come Lido Piccolo, Lido Risorgimento (omonimo a quello attuale di Punta Penne), Lido Gaudioso e Lido Cafiero, ormai messe sotto sfratto dalle mire espansionistiche dei cementificatori seriali, dalla prepotenza del Petrolchimico, dalla costruzione sul mare della centrale Brindisi Nord che, all’epoca, bruciava petrolio prima di passare a carbone e che ora pretende di tornare a produrre energia bruciando fonti fossili come il gas.
Le spiagge di cui voglio parlare non sono quelle poste sul litorale nord che, spuntate come funghi, anche loro, negli anni Sessanta, sono quasi tutte ancora al loro posto, ma mi riferisco ad un bellissimo tratto di costa situato all’interno del porto medio di Brindisi, esattamente fra il vecchio Idroscalo ed i Cantieri Navali, in cui si trasferì la “dolce vita” brindisina per qualche tempo prima di convolare, è il caso di dirlo, verso altri lidi.
SI accede sul posto al termine della via denominata dell’Idroscalo, dopo essere passati vicino ad una bella costruzione di provenienza militare, circondata dal verde e con un affaccio mozzafiato sul mare che, in passato, doveva essere di un bel rosso vivo. Tale immobile, di recente, ceduto dal Demanio ad un privato ed è in attesa di ristrutturazione per tornare a nuova vita.
Scendo di una decina di metri attraverso una scalinata ed un pezzo di scogliera e mi ritrovo, sulla destra, un piccolo molo ed uno stretto arenile a ridosso di una zona militare. La giornata è splendida ed il mare contende l’azzurro al cielo, l’acqua è così trasparente che stento a credere di essere nel porto di una città industriale.
Giusto il tempo di qualche scatto e mi dirigo, rigorosamente a piedi, in direzione della Sciaia anche per non avere un fastidioso sole in faccia.
Risalgo verso la casa rossa e, prima di tornare sul mare, attraverso una piccola pineta con begli alberi e maestosi Fichi d’India. Infastidisco col mio, sia pur discreto, passaggio, una giovane coppietta, che subito mette la mascherina anticontagio, più per nascondere il rossore dei volti che per altro. La vista che si gode dall’alto della piccola altura è bellissima: oltre all’abbraccio di questa bellissima baia con il mare, si vede perfettamente il Castello Aragonese ed anche – ma questa cosa, a me personalmente, piace un po’ meno – l’enorme stazza del bastimento della Costa Crociere attraccata in quarantena sul molo di Punta Riso.
Va detto che questa ingombrante presenza ha privato, di fatto, i brindisini della possibilità di poter passeggiare, correre o andare a pescare alla diga in quanto i vigilantes ne proibiscono l’accesso, ma ormai stiamo facendo il callo a divieti di ogni tipo, da quelli sensati, che è più semplice rispettare, a quelli che sembrano cozzare con la logica più elementare e sono vissuti come una imposizione.
Ancora una piccola discesa attraverso un canneto e mi ritrovo a calpestare, con le scarpe da ginnastica, il lungo arenile sabbioso che mezzo secolo fa ha visto una generazione di conterranei fare altrettanto, ma a piedi nudi.
Siamo, infatti, in corrispondenza di quella che era la spiaggia Fontanelle; qualche rifiuto plastico portato dalla lieve corrente presente nelle acque del porto deturpa un po’ la vista, ma la mia attenzione è attratta dal luccichio, sulla battigia, di un vecchio cucchiaio in alluminio che prendo e mi rigiro tra le mani; con somma sorpresa, scopro che oltre alla dicitura “puro alluminio” punzonata come fosse un metallo prezioso, vi era impresso lo stemma della monarchia e due lettere maiuscole R ed E: è certamente una posata appartenente al Regio Esercito che, dopo decenni, è tornata a contatto con mani umane, ma non per essere calata in un piatto o una gavetta militare. Stante l’ottima fattura è più probabile che facesse parte della dotazione di un ufficiale o di un sottufficiale; d’altronde in questa zona, proprio a Fontanelle, insisteva, dalla metà degli anni Cinquanta, la cosiddetta spiaggia dei sottufficiali dell’Aereonautica e della Marina Militare e non è escluso che questa vecchia posata, assai più risalente nel tempo, da me rinvenuta in due centimetri d’acqua, fosse ancora usata nel dopoguerra.
Un muro in carparo, ancora esistente, divideva Fontanelle, in uso ai militari, da Marimisti, in concessione al personale civile e, via via, esteso anche agli amici ed agli amici degli amici fino a divenire, negli anni Sessanta, uno dei lidi più frequentati, anche per la estrema vicinanza alla città ed alla possibilità di raggiungerla in vaporetto.
Personalmente, per ragioni di età, ho solo qualche sprazzo di ricordi come il gioco dell’albero della cuccagna a ferragosto, la corsa nei sacchi sulla spiaggia ed una specie di piscina in mare aperto, delimitata da cime e boe, dove ragazzi più grandi andavano avanti e dietro anche per ore.
Noto che è ancora in ottime condizioni il molo Caprarella, che oltre che da muro divisorio fungeva da attracco per il grande vaporetto che faceva la spola con la banchina centrale del porto: la sua banchina è ora un vero paradiso per i pescatori con canna, lenza e secchiello al seguito, posto a due passi dalla popolosa Materdomini.
Proprio per questa sua vicinanza al nuovo quartiere, estensione del Casale, fino a qualche anno fa si discuteva sull’utilizzo di molo Caprarella o della sistemazione dell’adiacente vecchio pontile di Marimisti, per l’attracco della motobarca che, in un circuito vero da “circolare del mare” avrebbe effettivamente unito anche la zona Materdomini con il centro della città ma, come tutte le buone idee, fu accantonata per chissà quali ragioni.
Attraversato un arco esistente nel muro del pontile Caprarella giungiamo finalmente alla meta della nostra passeggiata: Marimisti e, più in particolare, il vecchio relitto ivi arenato, a poche decine di metri dalla spiaggia, dal 1991 e che, contrariamente a quanti molti pensano, al punto che la sua foto ne divenne quasi il simbolo, non ha nulla a che vedere con la gran pletora di relitti albanesi che, proprio a partire da quel periodo, giunsero a Brindisi con il loro carico di uomini e sofferenze e che furono convogliati nella zona dei cantieri navali per essere smantellati, dopo idonea bonifica.
Si tratta, invece di un “relitto” pregno di storia per la città e la marineria di Brindisi: è il “Tenax” il pontone (più che un vero naviglio, una solida piattaforma galleggiante usata per eseguire lavori sopra o sotto il livello del mare) capostipite della flotta “Barretta”, la cui vicenda merita di essere raccontata per evitare che il ricordo si perda nei meandri del tempo.
Dobbiamo tornare alla notte del 10 agosto 1943 quando l’Asmara – una imponente nave frigorifera, lunga 140 metri, utilizzata dalla Regia Marina Italiana come nave sussidiaria per rifornire le guarnigioni militari dislocate nei territori di fresca conquista di Grecia e d’Albania – fu colpita a poppa da un siluro lanciato da un sommergibile britannico davanti al porto di Brindisi.
In soccorso dell’Asmara giunse la Torpediniera Francesco Stocco che, lanciando una gran quantità di bombe di profondità, fece allontanare l’aggressore e provò a trainarla verso riva, ma, lo spostamento del carico e la troppa acqua imbarcata dallo squarcio a poppa, ne provocarono prima lo sbandamento, poi il capovolgimento; infine, quando ormai non c’era più nessuno a bordo, l’Asmara si inabissò a tre miglia da Brindisi e dei 157 uomini di equipaggio, solamente due non poterono più riabbracciare le loro famiglie.
Cosa centra il Tenax, alias pontone Barretta, in tutto questo? È presto detto: terminato il secondo conflitto mondiale in Italia, come nel resto d’Europa, vi era una enorme fame di ferro per far ripartire le grandi industrie alle prese con la riconversione postbellica. La bassa profondità, appena 18 metri, ove giaceva il relitto dell’Asmara, infatti, consentì agli allora giovanissimi fratelli Domenico e Giovanni Barretta, all’epoca palombari, di recuperare migliaia di tonnellate di rottami ferrosi, la cui quotazione era salita alle stelle, per essere venduti alle grandi industrie settentrionali.
Il problema era come attrezzarsi per poter compiere questa vera e propria impresa: a fiutare l’affare fu un intraprendente industriale bresciano, tal Cucchi, che, dopo un franco colloquio con i Barretta, fidandosi di loro e sposando la loro causa, anticipò ben 40 milioni di lire dell’epoca (circa un milione e mezzo di euro attuali) per l’acquisto del Tenax, un pontone a bigo fisso di 70 tonnellate, da utilizzare nelle operazioni di recupero del materiale ferroso. I Barretta si impegnarono a ripagare il debito non in denaro ma con le forniture di ferro, fino al raggiungimento dei 40 milioni.
Lavorarono in mare dall’alba fino alla notte per tagliare le lamiere dell’Asmara e spostarle al riparo delle Pedagne, in modo che, quando le condizioni meteo marine impedivano di poter operare in mare aperto, si potesse procedere, al riparo dell’isola, alla riduzione dei rottami a grandezza commerciabile, prima di portali in porto e caricarli sui vagoni in partenza per il nord Italia.
La crisi politica internazionale in Crimea fece schizzare ancora più in alto il prezzo del ferro, sicchè fu sufficiente appena un mese per poter estinguere il debito nei confronti dell’imprenditore bresciano e poter cominciare a lavorare “in proprio”. Quanto guadagnato dall’operazione “Asmara”, fu sapientemente investito nell’acquisto del primo rimorchiatore, il Vigor, grazie al quale l’attività dei fratelli Barretta si estese dai ricuperi in mare anche al salvataggio e all’assistenza alle navi; fu l’inizio dell’epopea di quEsta famiglia, ancor oggi punto di riferimento della marineria e della imprenditoria brindisina.
E se non è un caso che, a distanza di mezzo secolo, alla nuova ammiraglia della flotta fu dato proprio il nome di “Asmara”, per celebrare quella prima impresa, non è nemmeno un caso che, a distanza di oltre sessant’anni è stato scelto il nome di Tenax per battezzare l’ultimo arrivato in casa Barretta: un rimorchiatore davvero avveniristico, che è l’attuale fiore all’occhiello della flotta, idoneo ad essere impiego sia nel rimorchio portuale che offshore.
Per ritornare all’attuale situazione, va subito detto, per non ingenerare equivoci, che il pontone non è stato abbandonato dagli armatori in quest’angolino del porto medio, quasi a volerlo nascondere, ma, dopo essere stato messo in disarmo in quanto, al netto della carica affettiva, oramai obsoleto ed a rischio di affondamento, agli inizi del 1991, fu ceduto alla ditta Fiume perché procedesse alla sua regolare demolizione. Fu così che le Officine Fiume ottennero dalla Capitaneria di Porto, la quale prima della istituzione dell’Autorità Portuale, nel 1994, aveva competenza specifica in materia, una concessione demaniale marittima di quattro mesi, estesa poi di altri tre mesi, della zona Marimisti, affianco agli ex cantieri di demolizioni navali Fercomit, perché si potesse fare a pezzo, con tutti i crismi di legge, il Tenax.
Quando il pontone fu avvicinato a riva per cominciare i lavori, si arenò, per l’acqua troppo bassa (in effetti si trattava di una spiaggia e non certo di un’aerea idonea per la cantieristica navale), a 50 metri dalla battigia, esattamente dove è ancora ora a distanza di quasi trent’anni.
Un bel pò di anni addietro, l’allora presidente dell’Autorità Portuale Mario Ravedati, nel periodo in cui si stava provvedendo ad ultimare la rottamazione degli scafi albanesi, provò ad inserire anche il Tenax, il cui destino e le cui responsabilità ricadevano ormai nella competenza dell’ente portuale, nel calderone di quelli che dovevano essere demoliti. Allorchè i tecnici del cantiere navale esaminarono lo scafo, pare che rilevarono che oltre alle lacerazioni – oggi ancora più evidenti – nella lamiera, qualcuno aveva occultato al suo interno olii esausti ed anche altro, per cui ci si rese conto che un tentativo di spostamento verso il vicino cantiere avrebbe potuto significare un disastro ecologico in quanto se lo scafo avesse ceduto, vi sarebbe stato sversamento in mare di liquidi tossici e forse anche corrosivi. Da allora sono passati vent’anni e tutto, come da inveterata tradizione brindisina, è rimasto così com’era, lasciando al tempo che scorre il ruolo di peggiorare la situazione.
Tornando alla nostra passeggiata in riva al mare, va detto che l’immagine del pontone arenato, con ben visibile l’effige dei Fratelli Barretta, vicino ad un vecchio pontile in disuso e con sullo sfondo Forte a Mare, è una cartolina davvero suggestiva, ma il posto di quel relitto non può continuare ad essere quello per cui chi ha l’onere e, soprattutto, l’onore di governare il porto di Brindisi dovrebbe provvedere al più presto alla sua bonifica e rimozione, prima che, qualora non sia già avvenuto, gli eventuali olii al suo interno finiscano in mare.
Il tempo è trascorso velocemente ed è tempo di fare ritorno. Scelgo la via più breve, per cui non passo dalle spiagge di Marinisti e Fontanelle, ma dal ciglio di roccia calcarea che li sovrasta e su cui insiste una bella pineta. E mi godo ancora una volta, in splendida solitudine, questa bella cartolina.
Attraverso una piccola area adibita, da mani pietose, a cimitero per animali con foto e nomi delle bestiole di affezione impresse nel legno e mi viene alla mente che dovrebbe essere in dirittura d’arrivo il progetto di un cimitero per animali, di cui si discute ormai da anni e che consentirebbe anche a chi non ha un giardino o un terreno di proprietà, di avere un luogo ove portare le spoglie del proprio amico a quattro zampe, senza necessità di dover provvedere alla meno peggio.