De Gennaro, Brindisi nel sangue: «Così disegnerei la mia città»

Lo sa qual è l’errore? Pensare che se vengono meno i finanziamenti un progetto debba essere abbandonato. E invece va iniziato ugualmente, curato, proseguito un po’ alla volta, per raggiungere l’obiettivo finale. A Brindisi si ha l’abitudine di procedere a macchia di leopardo e in questo modo non si avrà mai una visione completa di città”: Claudio De Gennaro, 67 anni, architetto brindisino con studio a Piacenza, Cremona e Modena, ama tornare a fare il turista a casa sua ogni volta che può e guardare la città con gli occhi di chi – pur vivendo lontano da decenni – l’ama profondamente e riesce a coglierne le potenzialità, a volte non espresse. Nel suo sangue, ad alimentare la sua creatività da architetto navigato, scorre il talento del papà Nino, indimenticato pittore e scultore scomparso nel 2006: suoi sono tra gli altri il portone ligneo della chiesa di San Nicola, i bassorilievi in ceramica sui prospetti della scuola Deledda e lo splendido bronzo posto sul muro perimetrale del Liceo Palumbo. Nino De Gennaro era anche un acuto caricaturista che rappresentava i personaggi politici con grande ironia e che illustrò le pagine di storici periodici locali come “Il timone”, “Il panaro” e “La Gazzetta di Brindisi”. Parte di quelle vignette sono esposte all’Archivio di Stato.
Claudio De Gennaro è attualmente membro della commissione per la qualità architettonica e il paesaggio del Comune di Modena ed è specializzato nella realizzazione di edifici residenziali, commerciali e industriali, oltre che in interventi di restauro e recupero. Nel 2018 ha progettato una scuola-fabbrica eco sostenibile e con tecnologie all’avanguardia per la Hpe Coxa, società leader nel settore dei motori. I tetti sono coibentati con giardini pensili. L’acqua piovana viene recuperata. I portelloni sono stati trasformati in tavoli da riunione. Ha disegnato tra l’altro il Club House della Ferrari-pista a Fiorano modenese,alcuni hotel della catena Fini, e vari centri direzionali.
Architetto De Gennaro, come ha trovato Brindisi durante queste settimane che ha trascorso nella sua città?
“Non penso che possiamo parlare di sviluppo perché la città mi è sembrata ferma. L’unica novità importante è il lungomare Regina Margherita, un intervento caratterizzante e ben riuscito. Mi sembra che sia un progetto realizzato dal sindaco Mennitti, devo dire che ha cambiato in meglio tutta l’area”.
E cosa pensa della nuova via del Mare?
“Quella non mi sembra il massimo perché lì hanno di fatto creato solo parcheggi senza un contatto diretto e visivo con il porto. Il lungomare vero e proprio è quello originario che scorre davanti alle Colonne. Ha dato una nuova qualità alla città perché noi ci dobbiamo mettere in mente una cosa: la peculiarità di Brindisi è il porto e io ogni volta che torno qui lo vedo morto. E’ necessario concentrarsi su questo patrimonio e farlo rivivere. Mennitti tirò fuori il progetto del waterfront che è una parola che ti riempie la bocca, ma che in realtà significa essenzialmente valorizzare il lungomare, l’affaccio più prezioso di Brindisi”.
In che modo pensa si possa rivitalizzare il lungomare? E’ spesso deserto, le poche attività commerciali sono in sofferenza, quando altrove – anche in contesti obiettivamente meno belli e funzionali – l’area portuale è divenuta anche un patrimonio economico.
“Io penso che si dovrebbe subito recuperare il quartiere delle Sciabiche dove ci sono già ristorantini, pizzerie, ma che andrebbe rilanciato qualitativamente fino ad arrivare davanti al Castello dove resta il blocco militare. Sarebbe essenziale trovare un accordo con la Marina per entrare almeno in parte e recuperare un pezzo di quella banchina”.
Quello del cancello sbarrato alla Porta Thaon de Revel è un problema antico, ma sembra per il momento molto difficile che la Marina possa accettare di aprire al passaggio quell’ingresso.
“Ma guardi, non serve necessariamente riprendersi tutta la banchina, ma riuscire a entrare, non fermarsi davanti a una sbarra, aprirne un pezzettino alla città, allungare di alcune decine di metri il lungomare. La parte militare ovviamente non è da mettere in discussione, ma se parti da lì, recuperi anche le Sciabiche”.
Cosa intende per recupero delle Sciabiche?
“Dare un impulso ai proprietari, ma soprattutto realizzare un piano di recupero per le case abbandonate o cadenti, per far rivivere il borgo marinaro. La parte storica della città è quella sul mare. Città anche più piccole, come Monopoli, hanno puntato sul rilancio del porto realizzando dei piccoli capolavori, lo hanno rimesso a posto benissimo e stanno decollando”.
Quindi punto di partenza il recupero delle Sciabiche. E poi?
“E poi dall’altra parte c’è la stazione marittima: è un altro blocco fondamentale del nostro porto. Noi abbiamo sempre considerato il baricentro della città i corsi e invece deve essere spostato sul lungomare. La stazione marittima ha una bellissima architettura degli anni Trenta razionalista, a livello del Collegio navale che è dello stesso periodo, ma mi piace anche di più. E’ molto bella, con tutti i pilotis, la scala, la parte curva. Ha molto vetro, è leggera, è un bellissimo edificio che restaurato può diventare davvero un gioiello. Si potrebbe eliminare anche tutta quella recinzione e far riappropriare la città di un’altra parte di porto. Invece il parcheggio chiude tutto. E alla fine si ospitano quelle brutte navi lì sotto.
«Si può recuperare il palazzo della Banca d’Italia (che ho visto essere stato posto in vendita): potrebbe ospitare l’Autorità portuale e liberare la stazione marittima che può diventare un centro direzionale. Potrebbe ospitare librerie, negozi, sale d’incontro per giovani. Le navi da crociera io non le farei ormeggiare mai su quelle banchine, le collocherei dall’altra parte del porto dove c’è il capannone ex Montecatini che è adatto a divenire un terminal. Per due motivi: primo non porti le navi a ridosso del centro storico e poi per una questione di vista. Noi dobbiamo pensare la città non come la guardiamo noi ma dal punto di vista di chi viene: chi arriva con la nave, l’effetto magico di Brindisi è rappresentato dal lungomare con alle spalle la città. Noi siamo abituati a osservarvarla dal porto verso fuori, invece la sua bellezza deve essere ammirata da fuori, con gli occhi verso la città storica. Quindi io sono in nave ormeggiato sulla sponda del capannone ex Montecatini, vedo la città, le colonne, con una barchettina navetta arrivo sul lungomare, trovo il centro commerciale. Sarebbe bello anche riportare le barche a ormeggiare lungo la banchina: il nostro lungomare è bello con le imbarcazioni. Ogni volta che arrivo, forse voi ormai siete abituati, ma a me senza barche sembra morto”.
Considera l’area culturale della città all’altezza delle sue ambizioni?
“Il teatro è sicuramente molto “invadente” per come è stato progettato, ma ha un valore aggiunto notevole che è costituito dagli scavi archeologici sottostanti. E’ un grande patrimonio per la città ma non sono troppo conosciuti, e forse non si ha neanche la consapevolezza del loro valore. Se sale dalla strada del Comune e arriva vicino al palazzo dell’Iacp trova alcuni cartelli stradali: uno che indica le Colonne romane e quello a sinistra con l’insegna marrone monumentale annuncia “Teatro del XX secolo”, senza alcun cenno agli scavi di San Pietro degli Schiavoni. Poi ci sono tutte quelle inferriate sotto, è molto chiuso, non si individua facilmente l’ingresso. Andrebbero tolte tutte le sbarre, collocate belle vetrate, andrebbe illuminato bene. Secondo me con un buon progetto di illuminazione e molto vetro, si darebbe anche più qualità all’edificio soprastante. Adesso gli scavi sono al buio, è un sottoscala, un ripostiglio del teatro. Uno non riesce a immaginarsi cosa ci sia dentro. Illuminato bene, con le vetrate, il teatro darebbe davvero l’impressione di essere sospeso e sarebbe più bello, giocando sulle luci e sulle recinzioni. Poca roba. E invece all’ingresso c’è un cartello bruttissimo, rovinato, che neanche si legge e poi c’è una specie di cornice in ferro vuota. Può essere questo l’ingresso principale di una delle testimonianze archeologiche più preziose che abbiamo a Brindisi?”.
Mi sembra di capire che più che di grandi interventi, secondo lei questa città ha bisogno di piccoli aggiustamenti.
“E’ un problema che mi pongo ogni volta che vengo. A Brindisi non dobbiamo fossilizzarci su grandi e impegnativi progetti, che indubbiamente vanno fatti, ma che in una prima fase non sono fondamentali. Dobbiamo imparare ad avere la cura minima della città esattamente come facciamo per casa nostra. Le scalinate delle colonne sono piene di erba. E’ possibile che di estate noi parliamo di turismo, fotografiamo turisti e poi abbiamo le erbacce che non costa niente toglierle? Proprio davanti al simbolo della città? Lo stesso vale per la bellissima chiesa che abbiamo vicino all’aeroporto, Santa Maria del Casale: ogni volta che sbarco a Brindisi e cerco di andarla a vedere sono assediato dalle auto. Per visitarla si entra alla rovescia da una stradina secondaria, non la vedi mai di fronte. Io ho consigliato a dei miei amici di visitarla: lo sa che non l’hanno trovata? Oltre tutto è posta all’ingresso principale della città che è quello dell’aeroporto: decine di migliaia di persone che prendono l’auto, passano da lì e non sanno neanche che c’è quella meraviglia. L’aeroporto è la vera porta della città, più della ferrovia e del porto. Sarebbe un biglietto da visita eccezionale, bisognerebbe trovare il modo di portarla fuori dalla prigione dei parcheggi, delle strade chiuse. Cancellare l’incuria che c’è fuori, sarebbe necessario creare un sagrato, una pavimentazione adeguata, cartelloni come si deve”.
E Palazzo Nervegna?
“La sala del capitello è molto bella, mi piace meno come è stato organizzato il bar nel cortile, con quattro sedie e i tavolini, il sistema anticendio fuori dal muro tutto arrugginito. Sono poche cose. Ho notato sul portone un cartello di plastica su cui è scritto il nome di Palazzo Nervegna, sulla plastica: non mi sembra adeguato alla bellezza di quell’edificio. Sarebbe sufficiente individuare un paio di giovani architetti, chiedere loro di seguire i monumenti, per tirare fuori con poco il meglio: un cartello dignitoso in fondo costa 200 euro, non puoi cambiarlo dopo dieci anni. Mancano la manutenzione ordinaria, la quotidianità, la cura della città che costa impegno ma non troppi quattrini”.
Il museo Ribezzo?
“Anche lì mi sembra ci sia un’adeguatezza dell’ingresso, di visibilità, di accessibilità. Tutto è spento, buio, chiuso, c’è un’insegna al neon arancione che sembra quella di una pizzeria. Peccato perché ce n’è di reperti importantissimi. Andrebbe valorizzato, reso attraente, importante anche visivamente, in una piazza così come bella. Guardi cosa hanno fatto a Lecce nella piazza del Duomo: hanno «sparato» tutte quelle luci, l’hanno resa speciale semplicemente illuminandola. Penso che esista una mancanza di visione d’insieme, un’idea complessiva con la quale avere la possibilità di valorizzare il patrimonio. Noi abbiamo avuto sempre un grande difetto: parliamo molto e non facciamo mai squadra. Lo dico da brindisino. Non abbiamo mai avuto una visione di città, impegnati spesso a litigare: è arrivato il momento di progettarla e di immaginare nel futuro come si vorrebbe farla diventare”.
Soprattutto adesso che i turisti si stanno riaffacciando, grazie un po’ alle navi da crociera e molto sull’onda del brand Salento che coinvolge per fortuna anche la nostra provincia.
“Quando sono qui vado in giro con l’occhio del brindisino straniero ed è una cosa bella perché mi consente di avere una visione critica. Ho notato due cose, una negativa e una positiva: di pomeriggio, con 35 gradi di temperatura, ho visto decine di turisti che partivano dalla chiesa di San Paolo e andavano a sbattere contro il cancello del Castello perché non c’è scritto da nessun parte che non è aperto al pubblico ed è prigioniero di una base militare. E giustamente i turisti vorrebbero visitarlo. Li vedi spaesati davanti al cancello della Marina. L’effetto è bruttissimo. Il turista va guidato, se lo mandi lì perché c’è il castello non può trovarsi le sbarre. Di positivo ho visto ieri due ragazzine, uno con l’Ape e l’altra con un carrettino, che portavano in giro i turisti e raccontavano la città. E questa è una cosa bellissima, nuova che non avevo mai visto. Se abbiamo questi posti che spesso sono distanti tra di loro, con dei piccoli mezzi puoi portare i turisti da una parte all’altra e mostrare il patrimonio della città. Un’altra cosa molto bella è il baracchino di legno che hanno realizzato sugli scavi in via del Mare. Hanno creato un ristorante sospeso. Mi sembra un’idea molto carina, molto leggero che valorizza anche la zona archeologica. Ben vengano queste iniziative”.
C’è stata una grande polemica, recentemente, sulla chiusura al traffico serale di corso. Che idea ha sulle aree pedonali?
“Rappresentano il futuro: tutti i commercianti che storicamente si sono opposti alla fine ci hanno sempre guadagnato. L’ultimo esempio lo abbiamo avuto a Modena dove stanno pedonalizzando sempre di più. Davanti all’Accademia militare c’è uno spiazzo enorme dove erano parcheggiate centinaia di auto, per eliminarle ci hanno impiegato un anno, però hanno deciso “si fa” e lo hanno fatto. I commercianti volevano le auto. Per i parcheggi hanno trovato un approdo un po’ più esterno perché non puoi ovviamente chiudere al traffico e non trovare soluzioni adeguate ai parcheggi. Ora quella è diventata una piazza stupenda con la gente che si ferma: nel giro di due anni sono stati aperti decine di localini e quella quinta del Palazzo Ducale del 1500 con la piazza è diventata spettacolare. La gente si ferma a fare le foto. Prima c’erano i cassonetti della spazzatura e la facciata nascosta. I commercianti stessi che si opponevano si sono ricreduti. Pedonalizzare non è il diavolo, il problema è compensare con parcheggi adeguati. La pedonalizzazione fa guadagnare i commercianti, lo fanno tutte le città moderne, Brindisi dovrebbe adeguarsi”.
Allora ci diamo appuntamento al prossimo anno per vedere se è cambiato qualcosa.
«Sì, ma vediamoci sul lungomare».