Depliant sbagliati e la sindrome brindisina della ruota di scorta

Per una volta non sono assolutamente d’accordo con il mio amico Teo Titi, presidente di Confindustria Turismo e brillante imprenditore marittimo. Titi, rispondendo a un quotidiano locale sulla gaffe compiuta su un depliant consegnato ai croceristi scesi dalla nave Seabourn Ovation, sul quale veniva indicata Brindisi come provincia di Lecce, ha dichiarato che non bisogna prendersela. Cito testualmente: «È la stessa logica per la quale il porto di Civitavecchia si fa chiamare furbescamente Porto di Roma, mi rendo conto che l’orgoglio brindisino venga ferito, però bisogna essere furbi e capire che in questo modo si colgono maggiori opportunità̀. I turisti, infatti, riconoscono Lecce e il Salento: se vogliamo attrarre le navi da crociera dobbiamo venderci come Porta del Salento».
Ora, con tutto il rispetto per Civitavecchia, paragonare Brindisi al quasi anonimo porto del Lazio, e Lecce addirittura alla Capitale d’Italia, sembra già di per sé piuttosto azzardato e un filino ingiusto nei confronti della nostra città. Ma supporre che Brindisi abbia la necessità di essere identificata come il “porto di Lecce” per entrare nelle grazie dei turisti e beneficiare del brand del Salento è fuorviante e per altro anche geograficamente sbagliato.
Il Salento comincia a Ostuni e finisce a Leuca, passando per Taranto e Brindisi ne è principale la porta d’accesso. Del Salento, non di Lecce.
Brindisi ha iniziato da tempo questa opera di legittima assunzione di consapevolezza e di ruolo: lo ha fatto anni fa, trasformando il nome del proprio aeroporto da “Papola” ad “Aeroporto del Salento”. Non è stata solo una banale variazione toponomastica, bensì il segnale preciso che la città (e la sua provincia) pretendevano di rivestire un ruolo centrale nella geografia turistica della regione, rafforzando la centralità già assunta nel Mediterraneo e in Europa con la presenza della Base logistica delle Nazioni Unite.
Non ce ne vogliano gli amici leccesi, ma Brindisi non ha proprio nulla da invidiare alla loro bella città. Elegante, barocca, universitaria quanto vuoi, ma priva di porto e aeroporto, e dunque essa sì necessariamente costretta ad appoggiarsi a Brindisi e alle sue infrastrutture per ottenere incrementi nel settore turistico nella propria fetta di Salento, penalizzato sicuramente da una rete autostradale che si ferma ancora a Bari ma che può beneficiare di poderose “insufflazioni” via cielo e via mare.
Poco condivisibile anche un’altra valutazione espressa nella medesima intervista, ossia che “Bari turisticamente è molto più attraente di Brindisi, perché ha San Nicola e una città̀ vecchia che noi non abbiamo. Stesso discorso vale per Lecce, che a differenza nostra dispone di un centro storico noto per il Barocco”. Riteniamo invece che il patrimonio storico e monumentale della nostra città, unito ai panorami mozzafiato che essa può regalare gratuitamente dalla cima di quel monumento al Marinaio che Titi sostiene non sia pubblicabile su un depliant turistico e che a Bari per cercare di avvicinarsi devono montare una ruota panoramica a pagamento, non abbia davvero nulla da invidiare al capoluogo regionale e a Lecce.
Il problema non è rosicare per essere stati indicati quali “provincia di Lecce”. E, diciamocelo francamente, queste crociere che vengono sbandierate quali toccasana per il turismo locale sono solo un banale surrogato, un’illusione spacciata per grande occasione, un siparietto in costume in nome del quale la città in estate si traveste, per una manciata di ore, illudendosi di essere una località turistica, con carrozze, bus e ballerini. Con la stessa credibilità che hanno gli animatori negli spettacoli teatrali dei villaggi Valtur.
La crescita del turismo e quella della nostra città (e della provincia) passano sì inevitabilmente dal porto, ma dobbiamo smetterla di sentirci come i nativi americani che aspettavano le navi spagnole per lasciarsi conquistare stupiti con pezzi di specchio. Perché proprio questa nostra atavica attitudine a non dare il giusto valore a ciò che abbiamo, a quello che storia, natura e arte ci hanno donato, ci porta a pensare di valere poco, di poterci accontentare.
Brindisi non è solo la porta del Salento, ma la porta d’Oriente e la città in cui spesso, (e lo raccontiamo anche in questo numero de «il7», si è deciso il destino del nostro Paese.  Che baresi e leccesi se ne facciano una ragione. Sperando che ai brindisini passi, una volta per tutte, la sindrome della ruota di scorta.