
di Gianmarco Di Napoli per IL7 Magazine
“No, della famiglia non parlava. Una volta, forse dieci anni fa, ci aveva detto di avere una figlia. Poi neanche una parola. Mai più”. Siamo a casa di York, l’ultima. Un lettino singolo con le lenzuola arancioni, una tavola di legno a difendere la parete pitturata di giallo, un comodino con un lume, una sedia e un tavolino con la tovaglia di plastica, un ventilatore accanto alla finestra che si affaccia sulla scuola elementare San Lorenzo. Per dieci anni Jorg Alfred Hermann, per tutti “York”, ha abitato al primo piano dell’albergo Venezia, dodici stanze in tutto, bagno in comune nel corridoio e saletta tv. Una piccola pensione pulita e ordinata come quelle d’un tempo, un antesignano B&B a conduzione familiare. E York faceva parte della famiglia. Tanto che né la figlia né altri parenti, cercati disperatamente per una settimana anche attraverso il consolato tedesco, si sono fatti sentire per il riconoscimento della salma. E York sarebbe rimasto in una cella frigorifera dell’obitorio per anni se i due albergatori, Valerio Ruscetta e la moglie Margherita Fiera, non avessero effettuato il riconoscimento ufficiale. Ora riposa al cimitero.
A Brindisi era arrivato vent’anni fa, con una piccola valigia e la voglia di una città calda. Perché lui, tedesco della periferia di Berlino, odiava il freddo. Più che mimo era stato tra i primi interpreti della “statua vivente”. Il volto dipinto di bianco come una scultura di marmo, immobile per ore, gli occhi fissi, salvo poi trasformare quell’espressione inquietante in un timido sorriso quando un bambino si avvicinava a posare qualche centesimo nella padella che portava sempre con sé.
Ma il suo cuore batteva in segreto anche per un’altra città di mare: quando scompariva per qualche giorno, prendeva il treno e scendeva a Pescara. Anche qui aveva altri bambini da far sorridere, genitori da conquistare e un’unica strada in cui si esibiva: corso Umberto, proprio come a Brindisi. Quando si è sparsa la notizia della sua morte, i principali giornali abruzzesi hanno titolato in modo identico a quelli brindisini: “Addio York, mimo gentile che stazionava in corso Umberto”. Non sapremo mai se fosse solo una coincidenza o uno dei vezzi di questo tedesco dall’animo impenetrabile.
Da dieci anni aveva scelto l’albergo Venezia come dimora. Tredici euro al giorno, quando poteva. “Aveva la sua stanza da allora. Non abbiamo pensato mai di togliergliela, neanche quando spariva all’improvviso per qualche settimana, o aveva difficoltà a saldare”: Valerio Ruscetta, insieme alla moglie Margherita Fiera, lo consideravano uno di casa. “Se avevamo necessità di muoverci per sbrigare qualche commissione, restava lui a controllare l’albergo. Era gentile, in tutti questi anni non c’è mai stato un giorno in cui ha perso la pazienza, o ha urlato, o a bisticciato con gli altri clienti”.
Con il passare degli anni e gli acciacchi, York aveva ridotto le sue performance per strada, ma aveva mantenuto intatto quel suo essere mimo nell’animo, un controllo non solo del corpo ma anche della mente: “Non parlava mai di sé, non tradiva nessuna emozione, non aveva nostalgia della sua terra, non faceva riferimenti alla sua vita precedente”: Ruscetta si accorge che in fondo non sapeva nulla di lui. Come tutti, del resto. “Era tifoso del Bayern e dell’Inter. Quando ci fu il “triplete” scese dalla stanza per festeggiare e sfottere un altro cliente che era juventino. Le partite non amava vederle in tv: aveva una radiosveglia ed era la sua vera compagna di vita. Era sempre accesa. L’unico oggetto che possedeva e che custodiva gelosamente. La notte di Capodanno tornava con lo spumante che qualcuno gli aveva regalato per strada e lo stappava con noi”.

Quando non era sul corso, York viveva nei pochi metri di quella stanzetta. “Comprava dei piatti già pronti, andava su, si metteva il vassoio sulle gambe e mangiava da solo. Le uniche volte che l’ho visto arrabbiarsi è stato quando un cliente aveva preso l’abitudine di bussare alla sua stanza all’ora del pranzo e lui lo mandava sistematicamente via: quello vuole solo spiare cosa sto mangiando. Era molto geloso della sua intimità”.
In dieci anni non ci ha messo mai piede nessuno in quella stanza. “Donne? Mai vista una”, garantisce Roby Ruscetta, figlio dei titolari. “La sua stanza era il rifugio, solo lì dentro c’era il vero York, quello che nessuno di noi ha veramente conosciuto”.
Bellissimo lo slancio di solidarietà dell’ultima settimana, soprattutto dei commercianti di corso Umberto (quello di Brindisi). Grazie a loro ha avuto un funerale dignitoso e una tomba. Ma in vita York era povero. Nella sua stanza la polizia ha trovato 40 euro, non possedeva altro. Era appena uscito dall’ospedale e durante quel mese di ricovero a saldare il fitto ci aveva pensato una persona che gli è stata vicina in maniera “concreta” e anonima negli ultimi anni. Lo scopriamo per caso: “Il nostro patto era che se fosse stato in difficoltà il denaro che gli mancava glielo avrei dato io. Per non farlo sentire in imbarazzo gli facevo fare qualche commissione”: non riveleremo il suo nome e non lo troverete in nessun manifesto né tra le numerose pubbliche esternazioni di dolore. Ma per York è stato importante.
“Hermann Jorg Alfred, nato in Germania il 13 settembre 1957”, recita la cartella clinica del reparto di Nefrologia dell’ospedale Perrino. Stava per compiere 60 anni e raccontava di dover tornare in Germania per incassare una misteriosa pensione. Non sapremo mai se fosse vero. York non soffriva di reni né di diabete. Aveva un taglio profondo sotto la pianta del piede sinistro. Una ferita inguaribile e dolorosa, che lo faceva soffrire da matti e che aveva cominciato a dargli problemi renali. “E’ tornato dall’ospedale che a stento riusciva a camminare, il piede era fasciato ma gli faceva ancora male”, racconta Valerio Ruscetta. “Si muoveva con delle stampelle troppo corte e mio figlio gliele ha sistemate”. Ma York non aveva più il viso sorridente di un tempo.
Martedì 29 agosto, qualche giorno dopo il suo ricovero in ospedale, che era durato 30 giorni, è l’ultimo. “La mattina è sceso e ha detto a mia moglie che non si sentiva bene. Le ha chiesto una bottiglia d’acqua ed è tornato in camera. Non l’abbiamo più visto. Il pomeriggio ho sentito ancora qualche rumore nella sua stanza, poi più nulla. Dalla finestra si vedeva la luce accesa e sapevo che lui odiava la luce. Ho bussato: York, York. Non ha risposto. Dopo un po’ sono ritornato e a quel punto ho preso le doppie chiavi e ho aperto. Era sul letto, abbandonato con le braccia all’indietro ma con il volto sereno. Ho chiamato il 118 e la polizia”.
Si può vivere una vita di totale solitudine, come York, ma quando si muore ci deve essere qualcuno che dia atto della tua esistenza. Altrimenti sei condannato a una cella frigorifera dell’obitorio, per anni o per decenni. E ce ne sono anche a Brindisi. La polizia ha frugato tra gli oggetti che erano nella stanza: qualche abito, il padellino che raccogliere i soldi per strada, i trucchi che vanitosamente custodiva come il suo unico vero patrimonio. Non aveva un cellulare e soprattutto nessuna foto. Nemmeno quella della figlia. Un paio di numeri di telefono con il prefisso 0049, quello della Germania. Hanno pensato che potesse rispondere qualche parente, ma non è stato così.
La legge parla chiaro ed è ottusa: senza un riconoscimento ufficiale, un morto è condannato al limbo dell’obitorio, anche se lo conosce tutta la città. Ma c’erano Valerio e Margherita, sono stati loro a fare le veci della moglie e della figlia. “Sì, è lui, il nostro York”. Da mercoledì riposa in un campo del cimitero di Brindisi. Sarà felice, altro che il freddo della Germania.
