
di Gianmarco Di Napoli per IL7 Magazine
“Sei mesi fa sono stato condannato in primo grado a otto anni di reclusione. Un prete accusato di pedofilia, nulla di nuovo qualcuno esclamerà, sei solo il terzo della serie! Quante volte, nei lunghi silenzi del giorno e quelli, ancora più pesanti, della notte, mi sono chiesto: perché proprio io? Quali sono i motivi che hanno spinto ad accusarmi di un tale crimine?”: poco meno di due anni dopo il suo arresto (avvenuto il 15 giugno 2016) don Francesco Caramia, l’ex parroco della chiesa San Giustino de Jacobis del rione Bozzano, rompe per la prima volta il silenzio che aveva interrotto solo davanti ai giudici che lo hanno poi ritenuto colpevole di violenza sessuale nei confronti di un chierichetto.
Lo fa con una lettera indirizzata “Ai confratelli dell’arcidiocesi di Brindisi/Ostuni” e per conoscenza all’arcivescovo Domenico Caliandro e al Vicario Generale. La missiva, datata 25 marzo 2018, Domenica delle Palme, è stata inviata ad alcuni parroci (pare non tutti) di Brindisi e provincia. Poche settimane fa una lettera indirizzata ai parroci, ma con contenuti ovviamente diversi, era stata inviata dall’ex arcivescovo di Brindisi, monsignor Rocco Talucci.
Nei due fogli scritti al computer, don Francesco Caramia resta fermo sulla sua posizione difensiva, chiedendo il supporto morale, ma anche la preghiera, da parte degli altri sacerdoti brindisini. Dalla missiva di deduce anche che alcuni sacerdoti avrebbero preso le distanze da Caramia mentre altri sarebbero rimasti in contatto con lui, dimostrandosi solidali.
“Carissimo amico, fratello, padre un forte abbraccio. Scrivo dopo il lungo silenzio di quasi due anni, vestito di tanto dolore, tanta umiliazione, fragilità debolezza, sgomento e paura”: inizia così la missiva di don Francesco Caramia inviata dalla sua abitazione di Mesagne dove si trova ristretto agli arresti domiciliari. “Sebbene lontano e recluso e oggi vicino, mi sono stati concessi i domiciliari nella mia casa a Mesagne, ma recluso, io vi penso con tanto affetto e prego per ciascuno, per la famiglia, per la comunità.
Diffamazione contro di me. “Il tempo paradossalmente è incredibilmente lungo e agevola, entro certi limiti, la riflessione personale. Questo tempo “vuoto” porta a percepire in maniera amplificata ogni sentimento che attraversa l’anima. Il senso di isolamento e di abbandono che ho percepito da subito e percepisco ancora quotidianamente sono per il mio spirito una fonte di sofferenza indescrivibile. Il tutto è, ovviamente, potenziato dal fatto che sono chiamato a vivere recluso per un’ingiustizia, per una menzogna, per una diffamazione che ha colpito me e, indirettamente, il nostro Pastore, ciascuno di voi, la nostra Chiesa locale e tutta la Chiesa. Non ho subito, non mi sono lasciato andare, non mi sono lasciato schiacciare da questa accusa infamante!
Sin dal primo momento ho lottato con tutte le mie forze e non ho ricusato nessun tipo di aiuto. Ho gridato, scritto, mostrato e pronunciato dinanzi ad un Tribunale la mia innocenza apprezzando e traendo forza da tutti coloro che hanno creduto e che credono in me perché hanno collaborato con me e costruito una parte di una storia, della nostra storia: “Un solo corpo, una sola fede, battesimo”. Gioie, dolori, fatiche, speranze, ricchezza e povertà, vittorie e sconfitte!
Come scriveva il vescovo Diadoco: “solo nella calma si può mantenere la giusta rotta nel cammino della vita, evitando gli sbalzi di umore così frequenti nel mondo che ci circonda”, così cerco di vivere questo tempo, come un’occasione di Grazia, accettando l’evolversi degli eventi come un misterioso e ruvido modo con cui il nostro Dio e Padre-Madre mi sta insegnando a non odiare, a perdonare e, soprattutto a continuare ad amare nonostante mi senta colpito al cuore dal dolore più grande, quello del male gratuito. Bene, l’ho accettato e ne ho portato e ne sto portando il dolore.
Pregate contro questa ingiustizia. Prego, e so che anche tu timidamente con la tua comunità lo stai facendo, affinché tutta questa nebbia si risolva poiché sono certo che, un’ingiustizia protratta nel tempo certamente logora chi la subisce ma, forse, e senza forse, danneggia ancor più chi la perpetra, velando a se stesso e alle persone che gli stanno accanto la verità dei fatti.
Mai smetterò di essere umile e docile strumento del Signore e mai smetterò di battermi per l’affermazione della verità. Mi potranno forse amputare entrambe le mani, entrambi i piedi, togliere gli occhi e persino la lingua con cui desideravo unicamente portare aiuto e speranza ai miei fratelli, ma nulla mi potrà sottrarre la consapevolezza della mia innocenza. Nessuno potrà azzittirmi.
Questa luce interiore, la preghiera, l’Eucarestia sono state la forza che mi ha permesso di sopportare il peso del pubblico scherno, oltre lo sfregio più profondo della mia vocazione, e che soprattutto mi permette di sperare sempre di poter tornare ad essere con te, con voi, con tutta la Chiesa, un umile e attivo strumento della Volontà del Signore, arcobaleno di speranza per tutti gli ultimi della terra, per i perseguitati a causa della giustizia.
Siamo entrati nella Settimana Santa… presto il Giovedì Santo… il nostro sacerdozio ministeriale, il sacramento dell’Amore, l’Eucarestia, e poi la festa dei macigni rotolati (don Tonino Bello), la Santa Pasqua! Uomini, discepoli del risorto, sacerdoti… nuovi, risorti!
Chiedo scusa. Ora io non desidero altro che chiedere scusa, alla mia Chiesa-famiglia, all’arcivescovo e a ciascuno di voi confratelli per questa ennesima vergogna che inevitabilmente siete chiamati a subire. Ci sarebbero tantissimi motivi per cui sarebbe giusto un simile dolore, che io soffra così, ma non per quello che mi accusano. Io non ho mai, in nessun modo, fatto del male a chi mi accusa, né ad altri.
So che per i fatti che mi sono state attribuiti il sentimento popolare è molto severo e voglio comprendere anche le vostre prudenze: per molti, in questi casi, pur sempre orrendi, tutto ciò che meno della forca è sempre troppo poco! Sono nelle mani della giustizia umana, della quale devo fidarmi ancora. Attendo la data dell’udienza in Appello.
Grazie a quelli che mi sono rimasti vicini. Posso pertanto ben capire, senza un tono polemico, che le deplorevoli vicende di cui sono stato protagonista possano aver indotto alcuni di voi a prendere le distanze. Ciò mi fa ancora di più ringraziare coloro, e sono davvero in tanti, che mi mandano a salutare, mi scrivono, mi chiamano e mi rendono presenti in svariati modi, anche materiali. Gocce d’acqua in un oceano di dolore ma indispensabili nella mia situazione! Siamo sempre famiglia… siamo sempre fratelli.
Tutto ciò mi fa ravvivare ogni giorno il senso dell’appartenenza ad una chiesa Madre-Padre, al Pastore, al Presbiterio, al Popolo Santo di Dio. Per questa Chiesa di Cristo dono la mia sofferenza.
Con questi sentimenti auguro a ciascuno di voi e a tutti una Pasqua vera mentre chiedo preghiere e la vostra benedizione».
Nel processo di primo grado, don Francesco Caramia è stato condannato a otto anni di carcere: il Tribunale di Brindisi, presieduto da Gianantonio Chiarelli, ha accolto appieno la tesi del pm Milto De Nozza ritenendo provate le accuse di violenza sessuale nei confronti di un chierichetto e denunciate dal pediatra del ragazzino. Caramia è stato anche condannato a pagare una provvisionale alle parti civili: diecimila euro per i genitori del ragazzo e altrettanti agli stessi in quanto responsabili del minore. Caramia, detenuto presso una comunità religiosa, ha ottenuto recentemente di tornare nella sua abitazione di Mesagne, in regime di arresti domiciliari.