Enel, per quel pugno di cenere

Il guaio più grosso per Enel arriva come un fulmine a ciel sereno, per un pugno di ceneri. Non le ceneri prodotte dalla combustione del carbone, stavolta il carbone c’entra poco o nulla con le contestazioni, semmai si parla di gasolio e di ammoniaca. C’entrano le ceneri cosiddette “volanti”, i residui che derivano dai sistemi di abbattimento delle emissioni di Cerano.
E’ un meccanismo piuttosto complesso quello su cui ha indagato la Dda di Lecce che non si è occupata di danni ambientali concreti, ma comunque possibili in astratto: “Nessun danno per la salute”, ha dichiarato il procuratore della Repubblica di Lecce, Leonardo Leone De Castris. Sta di fatto che per la prima volta nella storia di Enel, la centrale Federico II è stata posta interamente sotto sequestro. Il gip ha comunque concesso la facoltà d’uso, ma a scadenza. Ed è pur sempre una spada di Damocle per la società elettrica che ha già deciso da qualche tempo di lasciare gradualmente Brindisi. Ha sessanta giorni di tempo per adeguarsi. Ma un eventuale blocco, ha più volte ribadito Enel, porterebbe in tilt il sistema di produzione di energia elettrica per tutto il mezzogiorno d’Italia. Un bel disastro, scongiurato in parte dall’autorizzazione data dal giudice, proprio qualche giorno fa, a utilizzare alcune vasche presenti all’interno dell’impianto di Cerano anche per lo stoccaggio delle ceneri leggere.
L’ultima inchiesta che riguarda Enel ha portato inoltre a un sequestro per equivalente di 500 milioni di euro, e l’iscrizione nel registro degli indagati della stessa compagine societaria per “illecito amministrativo”: l’accusa è quella di non aver attuato modelli organizzativi d’avanguardia, tali da scongiurare condotte ritenute illecite.
Ma veniamo alle condotte “illecite”, così come ipotizzate dalla procura distrettuale. Si parla di traffico di rifiuti e di gestione di rifiuti non autorizzata.

Le contestazioni
Sono 31 gli indagati. Nell’inchiesta sono coinvolte altre due società. La Cementir e l’Ilva. Sei i capi d’accusa contenuti nel decreto di sequestro preventivo disposto il 28 settembre scorso.
Il primo riguarda Enel, in particolare alcuni dirigenti. Viene loro contestato di aver miscelato irregolarmente rifiuti pericolosi e di aver gestito “abusivamente” ingenti quantitativi di rifiuti derivanti dall’abbattimento dei fumi di combustione. Andavano adottati, affermano pm e gip, sistemi di evacuazione delle ceneri leggere che consentissero la raccolta separata nelle distinte fasi di esercizio dell’impianto (a carbone o a gasolio), la separazione di quelle raccolte nelle tramogge sottostanti gli impianti Demox, dove c’è contenuto di ammoniaca. Sarebbero state invece classificate tutte le ceneri leggere con un codice del rifiuto (il cosiddetto Cer) non corrispondente alla reale origine e qualità del rifiuto e quindi sarebbero stati commercializzati in realtà rifiuti pericolosi, materiali che non avrebbero potuto essere riutilizzati e trasformati in cemento perché “contaminati” da altre sostanze. I dirigenti di Cementir sono coinvolti per aver ricevuto le ceneri, ma anche la loppa d’altoforno proveniente da Ilva, senza autorizzazione, e le ceneri di Enel. Avrebbero quindi effettuato attività no consentite di recupero di rifiuti pericolosi. I dirigenti Ilva avrebbero invece smaltito irregolarmente la cosiddetta loppa d’altoforno, sempre destinata a trasformarsi in cemento, pur essendo composta anche da ghisa, ferro, inerti, pietrisco di origine fluviale. A tutte e tre le Spa coinvolte è invece contestato di non aver attuato modelli di organizzazione idonei a prevenire la commissione di reati ambientali.

Ceneri e cemento
Gli approfondimenti sono stati compiuti dalla guardia di finanza di Taranto. La gestione delle ceneri, a quanto riportato nel provvedimento di sequestro, sarebbe stata “in palese contrasto con la disciplina in materia di smaltimento dei rifiuti, nella piena consapevolezza da parte dei dirigenti dell’Enel”.
E’ stata analizzata la tipologia di produzione dell’impianto. Non solo carbone, ma anche gasolio e Ocd (olio combustibile denso). Da qui la conclusione secondo cui vi sarebbe stata tanto una “miscelazione dei rifiuti” quanto una “contaminazione delle ceneri”.
“La eterogeneità dei rifiuti – a parere degli inquirenti – avrebbe imposto una gestione separata degli stessi”.
E invece, eccezion fatta per gli ani 2006 e 2013, Enel avrebbe assegnato “arbitrariamente” a tutte le ceneri in uscita dalla centrale di Brindisi lo stesso codice Cer, il codice di classificazione che consente di risalire alle caratteristiche del rifiuto.
Le criticità, tuttavia, non sarebbero state provocate soltanto dalla differente tipologia di combustibile usato per far funzionare la centrale e quindi dalle tracce di gasolio e olio “ignorate”. Ma anche da quanto avviene a seguito dell’utilizzo di reagenti chimici impiegati nel processo di “denitrificazione”, un trattamento particolare delle stesse ceneri che serve ad abbattere gli ossidi di azoto.
“Il processo – sostengono i magistrati – avviene per effetto di reazioni chimiche alla base delle quali vi sono sostanze, quali l’ammoniaca, che in parte possono essere trascinate con le ceneri di risulta, con l’ovvia conseguenza che queste ultime andrebbero separate o correttamente gestite, tenendo conto che la presenza delle sostanze, altamente corrosive, determina per la generalità delle ceneri la natura di rifiuto pericoloso”.
Quindi: “Secondo quanto accertato nel corso delle indagini – scrive il gip – le ceneri volanti sono contaminate da sostanze pericolose, in primi l’ammoniaca”.

I guadagni ingiusti
Il giudice, occupandosi “Cerano” ha anche affrontato approfonditamente, con tanto di calcoli e tabelle, la definizione di “ingente quantitativo”, in relazione alla mole di ceneri smaltite, compiendo una analisi dettagliata sulla base di dati reperiti presso la stessa centrale Enel. E infine anche sui profitti ritenuti “ingiusti” derivanti dalle operazioni descritte: “La commercializzazione di queste ceneri, rappresenta per Enel – è la conclusione – un mero espediente dietro il quale si cela l’intento di reperire un canale di smaltimento di questi rifiuti, alternativo e più economico rispetto a quelli conformi alla normativa vigente”. Il risparmio totale, dal 2011 al 2016 sarebbe stato di 523.326.050 euro, l’ammontare del sequestro per equivalente disposto dal gip che potrà riguardare saldi attivi di conto corrente, quote o partecipazioni azionarie, polizze assicurative o bancarie, depositi, titoli, crediti, beni immobili e mobili, tutto a carico di Enel Produzione, società coinvolta anche come persona giuridica che non avrebbe adottato modelli organizzativi adeguati.

Le intercettazioni
Vi sarebbe stata una “gravissima lacuna strutturale” consistita nella “totale assenza di dispositivi e accorgimenti tecnici di alcun genere capaci di evitare la commistione con le sostanze pericolose”.
Per altro, Enel Produzione, ne sarebbe stata consapevole: “E’ emerso – sostiene il gip – che le criticità derivanti dalla gestione dei rifiuti, erano ben note alla dirigenza”. Così come documentato dalle conversazioni captate da cui si evincerebbe, tra l’altro, un tentativo di “sviare o ostacolare le attività di indagine, fornendo risposte false e fuorvianti alle richieste degli inquirenti”.
Senza trascurare la preoccupazione per i risvolti mediatici espresse dal dirigente Enel Fausto Bassi, uno degli indagati: “Hai contaminato tutte le ceneri (…) già mi immagino i titoli dei giornali”, si legge in una conversazione.
“Sì vabbe, ma sono tutti in apprensione e allora mandala dai, mandala che sennò facciamo casino. Mandala così sono tutti in apprensione e.. e…e.. basta.. eee.. che dobbiamo fare? Eee.. non ci posso fare niente e scusa. Oltre ad essere in apprensione, per adesso la centrale non ce l’hanno fermata, quando ci verranno a cercare ci daranno un avviso di garanzia e ci romperanno i coglioni, vedremo. Adesso non è che credo che tanto, saperlo ora eh?”.

Il vertice e la difesa di Enel
Non preoccupa tanto Enel il sequestro preventivo, per equivalente (finalizzato quindi al recupero dei presunti ingiusti profitti) di 500 milioni di euro, quanto il sequestro della centrale. Il sequestro disposto dal gip di Lecce consente una facoltà d’uso dell’impianto a tempo determinato. Sessanta giorni a decorrere dal 28 settembre, termine entro il quale Enel dovrà mettersi in regola, rispettando delle prescrizioni. L’azienda ritiene di essere già in linea con i criteri previsti dal provvedimento restrittivo. Ad ogni modo la difesa ha già avviato un dialogo con l’accusa. La società si è detta disponibile a “sanare”, a procedere con il pagamento di una sanzione, una sorta di “cauzione” per ottenere la rimozione dei sigilli. Per la procura e per il gip resta imprescindibile il rispetto dei parametri fissati. Indispensabile che le ceneri “volanti” tornino a essere smaltite così come, stando agli esiti delle consulenze, avrebbero dovuto esserlo. Enel ha subito specificato, attraverso comunicati stampa (le esternazioni della società si contano sulle dita di una mano), di essere a posto. Di aver sempre rispettato l’Autorizzazione integrata ambientale, e di non aver compiuto condotte illecite. La posizione difensiva sarà probabilmente fatta valere in seguito. E’ materia processuale. In fase cautelare l’interesse è uno soltanto: la rimozione dei sigilli. Per evitare il black-out.

L’ultima autorizzazione
Di dissequestro, però, non se ne parla al momento. L’unica vittoria che Enel è riuscita a ottenere, per ora, è l’ok all’utilizzo di alcune vasche interne per lo stoccaggio delle ceneri. Potrà continuare a produrle, purché vengano depositate lì. Stop a ogni forma di riutilizzo, dunque. Proseguirà quindi la produzione di energia, senza grossi intoppi. Il rischio sarebbe stato piuttosto grave. La centrale Enel Federico II è un impianto nevralgico in materia di energia per tutto il Sud Italia. Un impianto che funziona regolarmente, ma che resta sottoposto a sequestro.

Le altre grane giudiziarie: appalti e carbone
Non è certo la prima volta. Di vicende giudiziarie Enel ha dovuto affrontarne, sempre per questioni relative alla gestione della centrale Federico II di Brindisi o per il trattamento del carbone. Andando molto indietro nel tempo, si ricorda la prima inchiesta sul carbone, quella denominata Coke, che si riferiva però alla centrale di Brindisi Nord, quella di Costa Morena. Una indagine avviata nel 2005 dalla procura di Brindisi, chiusa con la prescrizione per tutti i trasportatori e con l’assoluzione dei dirigenti Enel ed Edipower. Fu il processo in cui vi fu una transazione tra il Comune ed Enel, che portò alla rinuncia alla costituzione di parte civile dell’ente municipale. Enel in cambio si occupò di provvedere alla piantumazione di tutto il verde del parco Di Giulio.
Altra storia quella del parco carbone della Federico II. Il processo è iniziato nel 2012 e finito nel 2016. Quindici gli imputati, tredici dirigenti Enel e due imprenditori locali. Due le condanne a nove mesi di reclusione. Undici le assoluzioni. E il riconoscimento del diritto a ottenere un risarcimento del danno per una sessantina di agricoltori che posseggono terreni vicino al nastro trasportatore e alla Federico II. Rigettate le domande di risarcimento dei danni proposte dalle altre parti civili: il Comune, la Provincia, gli altri enti, e le associazioni ambientaliste. Non si trattava di reati ambientali, ma di ipotesi di danneggiamento e getto pericoloso di cose per la dispersione sulle coltivazioni di polveri di carbone. Nelle motivazioni il giudice ha sottolineato come “la portata di tale fenomeno fosse stata inizialmente sottovaluta, ovvero più verosimilmente, che la politica aziendale sul punto, anche in termini di investimenti mirati, fosse quella della progressiva verifica della gravità ed estensione del problema che comunque era noto e permanente, con consequenziale, successivo, adeguamento degli impianti rispetto a più elevati standard di tutela richiesti dal caso concreto”.
Secondo il giudice monocratico, l’Enel una volta preso atto dei “danni” provocati dal carbone avrebbe potuto usare altro combustibile: “dalla stessa consulenza tecnica di parte, si è appreso che l’impianto è alimentato anche con gasolio, olio combustibile denso e in passato da orimulsion”.
Quindi, trattandosi di un impianto di produzione a ciclo continuo, in attesa di procedere alla copertura dei carbonili, poi effettuata con due “dome” di avanguardia nel 2015, si sarebbe potuto “ridurre in maniera significativa i carichi di carbone, sino a valutare la possibilità di interrompere le attività di carico e stoccaggio del ridetto combustibile”. Tanto l’accusa quanto la difesa hanno appellato la sentenza. Il giudizio di secondo grado non è stato ancora fissato. E sebbene le condotte siano state contestate fino al 2013, si tratta di un processo ad elevato rischio prescrizione.
C’è infine l’inchiesta sulle tangenti ruotate attorno agli appalti, indagine ancora in corso e giunta in dirittura di arrivo. Otto in tutto gli indagati, cinque dipendenti della centrale erano stati arrestati il 5 maggio scorso e sono stati scarcerati dopo che si è tenuto l’incidente probatorio in cui è stata “congelata” la testimonianza dell’unico accusatore, un imprenditore salentino, che ha dichiarato di aver versato mazzette per ottenere in cambio favori nell’emissione dei documenti di stato di avanzamento dei lavori.

La decisione di dismettere
A prescindere dalle vicende giudiziarie (o forse non del tutto), Enel ha già programmato l’addio al carbone e l’addio a Brindisi, con la dismissione della centrale entro una data vicina o forse anteriore al 2030. Svolta green per la società elettrica, così come annunciato all’avvio del mandato dell’Ad Francesco Starace e come previsto nel piano aziendale 2017-2019 presentato a Londra un anno fa.
La scelta “carbon free” di Enel, ha garantito la pace fatta con Greenpeace. E apre scenari incerti in quel di Brindisi sulle convenzioni e sui rapporti con la città. Saranno senza dubbio tutelati i posti di lavoro dei dipendenti Enel. Ci saranno ripercussioni nell’indotto, già evidenti da quando (nell’ultimo decennio) la produzione è stata dimezzata. Non ci sono ipotesi di riconversione o di partnership con Tap. Sulle convenzioni (che prevedono investimenti milionari sul territori) è tutto al momento in stand-by. Il dialogo riprenderà non appena ci sarà la politica a governare la città di Brindisi, attualmente commissariata. L’addio, esattamente come è stato per il basket, è già stabilito. Non è imminente: due o tre lustri al massimo. Se non vi saranno stop forzati e anticipati.