Ex Collegio Tommaseo: patrimonio immolato alla memoria

Nei nostri reportage a sfondo storico-naturalistico che, con una punta di nostalgia, a volte, guardano alla Brindisi che fu e a quello che avrebbe potuto essere o, a guardare il bicchiere mezzo pieno anziché mezzo vuoto, a quello che potrà tornare ad essere, non poteva certamente mancare una puntatina ai ruderi ed al parco di quello che un tempo era il Collegio Navale della Gioventù Italiana del Littorio e che , generalmente, viene ricordato con il nome di Tommaseo.
Fu una delle tante opere pubbliche del ventennio fascista volute da Benito Mussolini – fra le altre ricordiamo il Monumento al marinaio, la Fontana dell’Impero, lo stadio Comunale del Littorio, oggi intitolato a Franco Fanuzzi – che sognava una Brindisi in gran spolvero e degna dell’importanza che aveva ai tempi dell’antico Impero Romano, quando era la più importante città portuale del mondo allora conosciuto.
L’area su cui sorge e che si affaccia sull’attuale lungomare Amerigo Vespucci, fu messa a disposizione dalla facoltosa famiglia di imprenditori di origine marchigiana Dionisi, il cui capostipite, Engelberto, fu anche illuminato Sindaco di Brindisi sul finire dell’ottocento ed a lui si deve la costruzione del Teatro Verdi oltre che il risanamento del porto che divenne il punto nodale della Valigia delle Indie. I Dionisi sacrificarono la loro villa circondata da una immensa pineta che scendeva fino al mare e la cui piantumazione risaliva con ogni probabilità al 1870.
Manco a dirlo, come era costume dell’epoca, a dare il primo colpo di piccone che segnava l’inizio di questa grandiosa opera pubblica venne personalmente niente meno che Benito Mussolini, il Duce del fascismo in persona: era l’8 settembre 1934 e nessuno poteva neanche lontanamente pensare che 11 anni dopo questa piccola cittadina sul mare Adriatico, sia pure rinvigorita dai fasti del regime, sarebbe potuta divenire Capitale d’Italia.
Dopo appena tre anni il Collegio navale era già terminato e ad inizio ottobre 1987 iniziarono già regolarmente i corsi, anche se la inaugurazione formale avvenne fra il 5 ed il 6 dicembre 1937 e culminò con la visita del gerarca Achille Starace, segretario del partito nazionale fascista, legatissimo alla città messapica in quanto amico personale del podestà Serafino Giannelli e, addirittura, anche presidente onorario della Brindisi Sport.
La struttura sorse, unitamente al Collegio Navale Morosini di Venezia, che a differenza del nostro povero Tommaseo, è ancora splendidamente in funzione, allo scopo di educare i giovani ed iniziarli verso un percorso marinaro, ma non solo, dal momento che in esso si coltivavano anche studi scientifici ed umanistici e dal Collegio Navale di Brindisi son venuti fuori non solo ottimi comandanti di nave e provetti direttori di macchina, ma anche bravi dottori e ragionieri, valenti primari di ospedale, integerrimi generali, abili ambasciatori, onesti magistrati e, finanche scienziati della NASA.
Fra il 1943 ed il 1946 si trasferì presso il Collegio Navale addirittura l’Accademia Navale di Livorno che, in quello stesso periodo, condivideva gli spazi con l’Accademia Aeronautica Militare, ma non c’è da meravigliarsi dato che, come abbiamo accennato prima, in quello stesso periodo anche il Governo Nazionale ed il Re erano di casa a Brindisi!
Nell’immediato dopoguerra e fino agli inizi degli anni Cinquanta, il Collegio Tommaseo fu messo a disposizione, come scuola convitto, dei giovani profughi giuliani e dalmati che, fuggiti dall’Istria, volevano proseguire e terminare i loro studi. Fra gli ospiti illustri di questo periodo non possiamo non ricordare Sergio Endrico che rimase per tutta la vita legatissimo ai ricordi del suo periodo di accademista brindisino.
Affidiamo al racconto di uno studente “giuliano” dell’epoca, Rodolfo Decleva, che dopo il diploma rimase anche come istitutore per alcuni anni al Tommaseo, la descrizione di come gli apparve il Collegio Navale al suo arrivo da profugo a Brindisi nel febbraio del 1947: “Fui accompagnato nella camerata dove mi venne assegnato un letto e un armadietto dove sistemai il corredo collegiale consistente nella divisa d’ordinanza, divisa interna, pigiama, asciugamani, spazzolino e dentifricio, etc. Il Collegio era silenziosamente vuoto perché gli Allievi erano a scuola; all’interno del Collegio c’era lo Scientifico, il Nautico e le Scuole Medie, mentre per Ragioneria, Magistrali, Classico e Geometri gli Allievi dovevano recarsi a Brindisi. Feci un giro e vidi l’imponenza di quella struttura appartenuta all’Opera Balilla: c’era un campo di calcio regolamentare, campi da pallavolo e pallacanestro, la palestra ben attrezzata, la chiesetta per le funzioni domenicali e una canottiera dotata di jole a quattro con timoniere. Nel grande cortile interno giganteggiava l’albero di manovra dove probabilmente gli Accademisti avevano fatto gli esercizi ed ora rappresentava un monumento al passato. Mi resi conto allora del valore che quella struttura rappresentava.”
Negli anni Cinquanta e Sessanta fino alla metà degli anni Settanta il Tommaseo funzionò ancora, egregiamente, come Istituto nautico ma il lento declino per la mancanza assoluta di manutenzione si fece sentire sempre di più fino a quando la Regione Puglia, che nel gennaio del 1976 era diventata proprietaria dell’intera struttura, non ne decretò, per l’anno successivo, la chiusura.
E nel febbraio del 1977, come alcuni protagonisti dell’epoca sicuramente ricorderanno, gli studenti del Nautico parteciparono fattivamente al trasloco, caricandosi sedie e banchi in groppa e portandoli al nuovo Istituto Nautico distante alcune centinaia di metri.
Il colpo di grazia definitivo sopraggiunse l’anno successivo quando l’allora sindaco di Brindisi Francesco Arina chiese alla regione Puglia l’utilizzo dei locali del Tommaseo per ospitare temporaneamente alcuni nuclei famigliari rimasti privi di abitazione.
Da sistemazione temporanea di un paio di dozzine di famiglie nel 1978 si giunse in pochi anni a circa 130 nuclei famigliari e spesso con famiglie molto numerose, che di fatto occuparono ogni centimetro quadrato del vecchio e sempre più fatiscente Collegio Navale, che trasformarono quello che era stato un vanto della marineria italiana e della città di Brindisi in una vera e propria casbah, divenuta terra di nessuno, dove si perpetrarono anche gravissimi fatti di sangue.
Nell’anarchia più assoluta e dove regnava la legge del più forte, pareti furono sfondate per rendere le “abitazioni” più grandi, ognuno effettuava le modifiche che più gli aggradavano senza la minima preoccupazione di dover ripristinare ciò che veniva smantellato e, per lunghi periodi, non veniva assicurata nemmeno l’erogazione di acqua potabile ed energia elettrica.
Questa situazione andò avanti per circa vent’anni, fino a quando, alle soglie del terzo millennio, la struttura fu sgomberata con l’ausilio della forza pubblica e da allora nulla è stato fatto non dico per risanarla ma nemmeno per ripulirla.
Proverò a descrivere, con poche e semplici parole, come si è presentato ai miei occhi il Collegio Navale quando, a distanza di oltre quarant’anni dall’ultima volta – all’epoca avevo una quindicina di anni e con i compagni di squadra effettuavo nel parco del Collegio Navale la preparazione atletica – ho cominciato a salire quei gradini che dal lungomare Vespucci portano al Tommaseo.
Dopo qualche passo a destra ed a sinistra della scalinata, invasa da erbacce e rami sporgenti, si vedono ancora le due colonne recanti simboli della marineria e della città che indicano la strada verso l’ingresso, poi, al termine della scalinata quella che doveva essere la fontana stile impero, anch’essa invasa da erbacce alla cui sommità è ancora ben visibile la incisione nel marmo, a caratteri cubitali, “Il destino d’Italia è sul mare” e più in alto riecheggia la scritta, sul corpo di fabbrica centrale, “Collegio N.Tommaseo”, risalente alla fine degli anni quaranta quando fu eliminato ogni riferimento alla Gioventù Italiana del Littorio.
Attorno, fra sterpaglie e arbusti sottobosco, si stagliano imponenti pini secolari, alcuni dei quali risalenti all’epoca in cui su quello stesso posto sorgeva Villa Dionisi, e maestosi eucalipti, risalenti, verosimilmente ad una settantina di anni addietro quando questo robusto albero, veloce a crescere e resistente alla brezza marina, fu piantumata pressoché ovunque nel territorio brindisino; attraverso questa vegetazione, a tratti fitta, a tratti più rada, guardando verso il basso si intravedono bellissimi squarci del porto di Brindisi e del Castello di Terra.
Affacciandosi all’interno della struttura la situazione è a dir poco drammatica: pareti diroccate, infissi asportati, pavimenti divelti, tufi per terra. Ma la forza e la imponenza di questa opera resta monumentale: salendo con cautela le scale ed arrivando in cima ad uno degli edifici è possibile abbracciare una visuale del porto interno e della città di fronte al mare e, girando il capo, vedere Santa Maria del Casale e le piste dell’aeroporto e, ancor più in fondo, il mare aperto, volgendo lo sguardo vero oriente ecco che si vede Forte a Mare.
Guardando più vicino, però, si vede solo la sporcizia, l’incuria e l’accidia ed il lassismo di generazioni di amministratori che hanno reso questo posto, un tempo magnifico, un ricettacolo di topi e di immondizia.
Uno sguardo sgomento a quello che un tempo era un campo regolamentare di calcio, dove si giocavano partite anche di campionati regionali e dove io stesso mi sono dilettato a giocare negli anni della mia gioventù e ora vi crescono non solo erbacce ma anche vere e proprie essenze arboree molto fitte, che hanno raggiunto anche una certa altezza.
Già, perché in tanti anni di abbandono, almeno quaranta, da quando cioè il Collegio Navale ha perso la sua identità di scuola marinara, la vegetazione si è fatta strada. Ed allora, per un piccolo approfondimento naturalistico, contatto, come sempre, la mia amica biologa Paola Pino d’Astore, esperta di fauna selvatica ma anche dei nostri ambienti naturali. Lei mi riferisce che, accanto alle piante di chiara origine antropica come l’Eucalipto, il Cipresso, il Pino d’Aleppo, il Pitosforo e l’Olivo, si sono spontaneamente sviluppate piante di macchia mediterranea come il Lentisco e l’Asparago. La dispersione dei semi, attraverso il vento e le deiezioni di uccelli e di mammiferi, rivela la presenza localizzata di piante erbacee come l’orchidea del genere Serapide o come i garofanini selvatici. L’abbandono del luogo ha sicuramente favorito la colonizzazione del rovo e dell’edera, ma resta sempre un piccolo polmone di verde cittadino, dove tra le piante ad alto fusto si intravedono i voli chiassosi della Tortora dal collare orientale e della Taccola.
Un piccolo polmone verde, però, non fruibile se non con molta immaginazione e con un cammino di guerra e non certo con una rilassata passeggiata naturalistica!
A questo punto non resta che sperare – dal momento che non ho più la forza nemmeno per rivolgere appelli a chicchessia – che, siccome a seguito di un accordo siglato nel 2017 fra Provincia e Comune, la Regione Puglia ha acconsentito a che il vecchio Tommaseo venga gestito per i prossimi 99 anni dal Comune di Brindisi, qualcosa si muova e che questa struttura ed il suo bellissimo parco possano tornare a vivere e ad essere fruibili dai brindisini e non solo da loro.