I principi Dentice di Frasso tra storie, leggende e carte bollate

di Alessandro Caiulo per il7 Magazine

La notizia è di pochi giorni fa ed ha la sua origine in un contenzioso dall’antico sapore feudale fra gli ultimi rampolli di un nobile casato e gli eredi degli eredi dei contadini che, oltre un secolo e mezzo fa, ricevettero in enfiteusi perpetua tutta una serie di terreni e vecchi casali, difficili da coltivare, i primi, e mezzi diroccati i secondi.
A quei tempi la cosa apparve vantaggiosa per gente che sapeva solo coltivare la terra, ma non aveva una terra da coltivare, ma anche per il principe che possedeva tanti e tali latifondi e masserie, che non aveva né tempo, né manovalanza, né convenienza, per occuparsi dei terreni meno fertili, più lontani dal centro dei propri affari o costituiti da piccole particelle incastonate fra proprietà altrui.
Stiamo parlando della polemica in atto fra una parte consistente della attuale popolazione di San Michele Salentino, eredi di quei contadini, provenienti da San Vito dei Normanni, Carovigno Francavilla Fontana ed Ostuni, che intorno alla metà dell’ottocento ricevettero in concessione da Francesco Dentice di Frasso, non principe in linea successoria ma semplice patrizio napoletano, i terreni che erano attorno alla masseria denominata San Michele che il principe Gerardo aveva anni prima costruito in quello che allora era ancora agro di San Vito dei Normanni. Essa rappresentava proprio il centro di potere di questa nobile famiglia della nobiltà napoletana la quale, subito dopo l’unità d’Italia, giurò immediatamente fedeltà alla casa Savoia.
Nacque così un piccolo villaggio, formato da gente di diversa provenienza ma che, accomunata non solo dalla sorte, ma anche dalla forte capacità di socializzare, divenne il primo nucleo di quella comunità che avrebbe costituito, il 25 ottobre 1928 per Regio Decreto, il Comune di San Michele Salentino.
A beneficio di chi non lo sapesse, evidenziamo che l’Enfiteusi è un istituto giuridico, in particolare un diritto reale di godimento, tuttora riconosciuto dal Codice Civile che lo disciplina negli articoli dal 957 al 977 in base ai quali l’enfiteuta ha gli stessi diritti che avrebbe il proprietario del fondo, ma con l’obbligo di migliorarlo e di pagare al proprietario concedente un canone periodico in denaro o prodotti naturali.
E’ accaduto che per circa mezzo secolo e, forse, anche più, nessuno dei principi Dentice di Frasso che si sono susseguiti nella linea dinastica, abbia chiesto alcunché agli enfiteuti, né, tanto meno, la maggior parte di questi si è preoccupata di versare somme o frutti del terreno per il pagamento del canone; è accaduto anche che su parte di quei terreni siano state costruite case per civili abitazioni, ville, officine, negozi e, probabilmente, anche scuole e chiese, senza che nessuno si preoccupasse più di tanto che, quando andava a stipulare dal notaio o quando si recava a presentare una qualche pratica al Catasto od al Comune, invece che proprietari si risultasse enfiteuti, parola che per molti appariva come priva di significato o sinonimo di proprietà.
Alcuni anni fa, invece, sono partite, tramite avvocato, tutta una serie di diffide al pagamento di canoni pregressi ed il conto da pagare per molti, specialmente per quelli che su quei fondi avevano costruito, sono apparsi salati ed anche ingiustificati alla luce del fatto che il contratto originario risaliva a ben oltre un secolo prima.
Alcuni hanno trovato un accordo con i Dentice di Frasso e sono diventati pieni proprietari versando la somma pattuita mentre altri hanno deciso di opporsi sia nelle aule dei tribunali che costituendo un comitato, denominato “No Enfiteusi”, che mira alla eliminazione dall’Ordinamento Italiano, di questo Istituto Giuridico considerato ingiusto e desueto.
Arriviamo così alla notizia di pochi giorni fa, cui ho accennato in apertura, che ha destato la mia ben nota curiosità: 166 cittadini di san Michele Salentino, guidati da Cosimo Gatti e Antonio Chirico, hanno presentato ufficialmente la richiesta, sotto forma di petizione popolare, di togliere dalla stemma comunale il simbolo del nobile casato dei principi Dentice di Frasso, appunto un dentice. Non solo; si chiede anche di cambiare il nome alla via Francesco Dentice di Frasso.
Personalmente, pur comprendendo il malessere che provano questi cittadini che si ritengono vessati, non riesco, sinceramente, a capire perché si voglia cancellare dal gonfalone della città il simbolo del casato che alla città stessa ha dato origine e, sinceramente, non mi viene in mente altro paragone che non sia quello del marito che per fare dispetto alla moglie si taglia gli attributi.
Proprio perché si tratta del più giovane comune della provincia di Brindisi, infatti, dovrebbe tenersi ben stretta la sua storia che, nel caso di specie trae la sua origine da quel vecchio contratto, datato agosto 1839, con Francesco Dentice di Frasso.
Per ciò che concerne, poi, la succitata via che si vuole intitolare a Nelson Mandela, con tutto il rispetto per quest’uomo di pace e della importanza che ha rivestito nella lotta all’apartheid in Sud Africa, per cui fu insignito anche del premio Nobel nel 1993, va considerato che probabilmente i circa sessanta poveri contadini che a suo tempo ricevettero in enfiteusi quei terreni di certo apprezzarono il gesto e la comunità nascente da quel vecchio contratto si potette evolvere nella cittadina che è oggi, capitale del “fico mandorlato” e Città dell’auto d’occasione.
Se poi si dovessero mutare i nomi di tutti quanti i personaggi storici i cui successori sono diventati impopolari ad una parte dei cittadini, della vecchia toponomastica rimarrebbe ben poco.
Facendo ricerche sullo stemma di San Michele Salentino mi sono reso conto che, sicuramente in maniera involontaria, per un errore commesso da chi, evidentemente a digiuno sia di araldica che di biologia marina, sulla pagina facebook istituzionale del Comune di San Michele Salentino al posto del dentice, simbolo del nobile casato, è stato raffigurato, in maniera inequivocabile, un bel delfino su sfondo azzurro in mezzo ad una corona formata da un ramoscello di olivo ed uno di quercia, il che mi ha strappato un sorriso pensando che, in qualche modo, la petizione, almeno nei fatti ed a livello social, era già stata accolta!
Chiudiamo questa curiosa parentesi che serve da spunto, aperitivo o apripista, che dir si voglia, per parlare più nel dettaglio di quello che è stato ed ha rappresentato il casato dei Principi Dentice di Frasso dalle nostre parti, pur essendo consapevole che non si può chiudere l’argomento in un solo racconto, per cui riservo, nelle prossime settimane, di scrivere un seguito.
Non si può non accennare al rapporto stretto fra i Dentice di Frasso e San Vito dei Normanni – anzi, San Vito degli Schiavoni, in quanto i primi abitanti dell’insediamento normanno erano di origine slava, scampati, nel X secolo, agli assalti dei saraceni – e non perché il nobile casato sia originario di qui, tutt’altro, dal momento che quella dei Dentice era una famiglia napoletana il cui titolo era quello di Conte che nel 1791 fu elevato a titolo di Principe del feudo di Frasso, un paesino del beneventano, nei pressi di Telese, di un migliaio di abitanti o poco più.
Il salto di qualità di questa famiglia patrizia è strettamente collegato al matrimonio che il Conte don Placido, terzo principe di Frasso, contrasse con il 3 ottobre del 1756 con Donna Francesca Caracciolo, principessa di San Vito dei Normanni, che portò in dote il bellissimo castello tuttora abitato dai principi e, soprattutto, permise ai discendenti primogeniti maschi, a cominciare da Don Gerardo che fu il primo, ad ammantarsi del titolo di Principe di San Vito dei Normanni.
Lo stesso Don Gerardo acquistò nel 1792 anche il feudo di Carovigno ed il Castello di Serranova, facendo si che la sua famiglia diventasse una delle più importanti e potenti della intera penisola salentina.
Come accennato, attualmente, l’unico dei tre castelli rimasto all’ottavo principe di San Vito dei Normanni, Don Giuliano Dentice di Frasso, è quello di San Vito dei Normanni, una parte del quale è abitato dallo stesso, con la principessa Fabrizia, sua consorte ed i figli, mentre la restante parte è stato trasformato in un esclusivo B&B, in cui gli ospiti possono vivere l’atmosfera del castello dal momento che, non a caso, è arredato come lo era cento e più anni addietro.
Ovviamente sull’arco di ingresso vi è lo stemma nobiliare raffigurante un dentice.
Si tratta di un castello assai più antico della pur antica famiglia che lo possiede da otto generazioni, in quanto il suo nucleo originario con la torre fu edificato, durante la dominazione normanna, dal principe Boemondo in persona, nei primi anni dell’XI secolo dominatore della Puglia che, si pensa, lo volle come residenza di caccia. Come sovente accadeva in questi casi, attorno al castello, nacque e si sviluppò un piccolo borgo che, man mano, si sviluppò fino a diventare una città.
Il castello, anticamente, era circondato da un profondo fossato, poi colmato, e, in tempi più recenti è stato circondato dalle costruzioni attigue. Il suo ultimo restauro di una certa consistenza risale a poco più di un secolo fa e fu opera dell’architetto Marchietzek.
La cappella del castello, a dimostrazione della forza aggregatrice ed accentratrice che esercitavano in origine i castelli e le masserie fortificate in genere, fu anche la prima chiesa parrocchiale del paese.
Spostandoci di qualche chilometro in direzione sud-est, in agro, però, di Carovigno, vi è un altro borgo cresciuto attorno ad un castello che per due secoli è stato di proprietà dei principi Dentice di Frasso, vale a dire quello di Serranova, che da alcuni anni appartiene alla famiglia Vallone, quella della rinomate tenute agricole e che le Signore Vittoria e Maria Teresa Vallone, ne hanno saputo preservare la straordinaria bellezza. Questo castello è ora parte integrante della grande azienda agricola che ricomprende al suo interno anche la chiesetta settecentesca dove è ospitato il miracoloso Crocifisso ligneo di Serranova, che nascosto nel cavo di un ulivo secolare da un gruppo di naufraghi scampati miracolosamente alla morte mentre imploravano disperati proprio quel Cristo ligneo che avevano sulla nave.
Il successivo ritrovamento, tre secoli addietro, nel corso di una processione,del Crocifisso nel cavo dell’ulivo millenario apparve agli abitanti del borgo come un ulteriore evento miracoloso e da allora il Crocifisso è custodito presso la cappella settecentesca del Castello di Serranova che, anche ai nostri giorni, con il consenso delle nuove proprietarie, si apre ai pellegrini il 3 maggio di ogni anno a ricordo di quella giornata. Purtroppo, come ho avuto modo di constatare di recente, l’Ulivo del Crocifisso non se la sta passando tanto bene a causa della Xylella e ci vorrebbe, davvero, un terzo miracolo per salvarlo.
Ma vi è anche un’altra leggenda che circola ed è quella relativa alla spada che è custodita da secoli accanto ad uno degli altari della cappella, proprio vicino al Crocifisso, e che risale ai tempi in cui le coste pugliesi erano soggette alle razzie da parte dei turchi. Giunti al borgo di Serranova, provenienti dalla costa, cominciarono ad ammazzare tutti quanti i contadini, uomini e donne comprese, che gli capitavano a tiro fino a quando i superstiti non cominciarono a pregare chiedendo l’intervento divino e, a quel punto, una spada fiammeggiante non tenuta da mano d’uomo, si librò in aria e si abbattè con la forza e la velocità di un fulmine su un soldato turco decapitandolo di netto, per poi ritornare in aria con le sembianze di una croce: il che terrorizzò gli invasori e li fece battere in ritirata. Inutile dire che il popolo, riconoscente, portò quella spada in processione nella vicina chiesetta, dove è tuttora custodita.
Certo è che le nostre contrade, i borghi, le masserie, i palazzi storici, le chiesette, ma anche le casedde contadine sono tanto pregne di storia, leggende, racconti ed aneddoti, che non si dovrebbe mai, come vorrebbero, invece, fare i firmatari della petizione di cui abbiamo raccontato, cancellare con un colpo di spugna il passato sol perchè qualcosa del presente non sta andando come si vorrebbe. Che la storia di San Michele Salentino – come anche quella di san Vito dei Normanni e, come avremo modo di scoprire in una prossima occasione, quella di Carovigno – è e rimarrà strettamente legata a quella dei principi Dentice di Frasso, e questo è un fatto storico che non potrà certamente essere cancellato con una raccolta di firme.