La Brindisi di Rossi: una città in franchising

La stazione ferroviaria di Brindisi sarà telecomandata da quella di Bari, perdendo di fatto ogni forma di autonomia e soprattutto dieci posti di lavoro: quattro capistazione, tre operatori di circolazione e tre addetti agli annunci. Come nella pubblicità dei vecchi trenini Lima in cui un nonnino si metteva in testa il berretto di capotreno e guidava i vagoni con un interruttore, anche la nostra stazione ferroviaria diventerà un giocattolo da condurre a distanza, trasformandola in un’altra dependance del centralismo barese, come se non avesse una storia, come se non fosse stata il terminale della Valigia delle Indie e soprattutto come se non ci fossero convogli di vagoni cisterna che trasportano prodotti estremamente pericolosi e che transitano nel cuore della città.
La reazione del sindaco Riccardo Rossi alla notizia è arrivata il giorno successivo, senza urgenza, dopo che parlamentari, sindacalisti e semplici cittadini avevano protestato – ognuno secondo le proprie prerogative – contro l’ennesimo sopruso. Rossi, in cinque righe, si è detto “preoccupato” della decisione del governo e ha chiuso “chiedendo con forza” al ministro dei Trasporti Danilo Toninelli “di tutelare il nostro territorio e la sicurezza di cittadini e operatori”. Un comunicato blando e privo di qualsiasi determinazione concreta ad affrontare il problema di petto, come un sindaco dovrebbe fare. Con Toninelli poi.
Onestamente dal Rossi che abbiamo imparato a conoscere negli ultimi mesi non ci saremmo aspettati nulla di più.
In questi giorni il primo cittadino celebra il suo primo anno alla guida dell’Amministrazione comunale, venerdì terrà una conferenza-stampa per elencare tutto ciò che è stato realizzato da quando si è insediato a piazza Matteotti. Ci aspettiamo un lungo elenco di cose, una specie di lista della spesa in cui tenterà di accreditare l’idea di aver impresso una svolta alla città, snocciolerà numeri, parlerà di finanziamenti ottenuti e di soldi che arriveranno o che dovrebbero arrivare.
Non siamo nelle condizioni di valutare dopo un anno la qualità del suo lavoro perché le somme si tireranno alla fine dei cinque anni, anche se lui quando si dibatteva nervosamente tra i banchi dell’opposizione, era solito chiedere le dimissioni dei sindaci un mesetto dopo che si erano insediati, perché avevano dimostrato “di non saper guidare la città”.
Quindi in questa sede non affermeremo che “‘sta storia” Rossi non la sta cambiando per nulla, anche se ne abbiamo il sospetto e avremo tempo e modo di appurarlo.
La grande delusione è molto più profonda e dolorosa. L’aspettativa, visti l’ardore e la caparbietà con cui si era impegnato nelle più importanti battaglie civili quando era dall’altra parte della barricata, era che convogliasse lo stesso carattere rivoluzionario e tutte le energie (alternative) sedendosi sullo scranno più alto di una città che aveva bisogno di un personaggio che la prendesse per la mano e la guidasse in maniera sicura e decisa in un progetto di crescita e di sviluppo.
Sfiancata da lunghi periodi di commissariamento, orfana da tempo dell’ultimo grande personaggio politico che l’aveva proiettata a livello nazionale (Mennitti), inghiottita dalla voracità barese che si è lentamente impossessata di tutte le infrastrutture non per potenziarle ma per relegarle a mera succursale del capoluogo regionale, in molti avevano intravisto nell’ingegner Rossi l’uomo che avrebbe potuto ridarle vita. Ci avevamo sperato un po’ tutti, lo confessiamo, cadendo nel maledetto equivoco che una persona per bene possa essere anche un ottimo sindaco. Un errore indotto questo dalla nostra storia recente, dalle troppe amministrazioni comunali interrotte dai magistrati e dalle manette, circostanza che ci ha spinto ad accettare l’equazione «il sindaco sta alla città come la sua fedina penale sta alla giustizia». Non è così. E lo impariamo ancora una volta a nostre spese.
In questi primi dodici mesi, Rossi non è stato in grado di comunicare quale sia la sua idea di sviluppo della città, probabilmente perché non ne ha una. Non è stato in grado di assumere una decisione, prendere una posizione univoca, sbattere i pugni sul tavolo quando era necessario. L’unico momento in cui alzato la voce è stato nella sola occasione in cui non avrebbe dovuto farlo: contro gli ultimi dei Mohicani, quei commercianti che coraggiosamente tengono aperte le loro botteghe in corso Garibaldi e che cercavano nel sindaco una forma di interlocuzione e di collaborazione dopo la decisione unilaterale di chiudere alle auto nelle ore serali. Lì Rossi è stato duro e irremovibile.
In tutte le altre situazioni si è rivelato un maestro dello svicolamento, della delega ad altri, del “poi vediamo”, dell’aspettiamo per decidere. Persino quando è arrivata la sentenza di Acque Chiare non ha smosso una ruga.
La Brindisi di Rossi è una città in franchising.
Qual è il meccanismo del franchising? La bottega originaria, quella tramandata di generazione in generazione che custodisce in sé il dna culturale e sociale del luogo e dei suoi abitanti, viene sostituita da un negozio appartenente a una grossa catena, nazionale o internazionale, che realizza negli spazi della vecchia bottega esattamente l’identica struttura commerciale del suo stereotipo, in ogni parte d’Italia o del mondo. Così vengono perse le tradizioni e avviene l’omologazione totale. Stile centro commerciale.
“Battiti Live”, il mega spettacolo musicale acquistato dal Comune chiavi in mano e proposto sul lungomare ne è un esempio calzante: è la manifestazione più costosa dell’Estate brindisina, indubbiamente di qualità e ben organizzata, ma pur sempre qualcosa di totalmente avulso da Brindisi tant’è che l’identico spettacolo viene proposto in altre città della Puglia con lo stesso format. Rossi (che quattro anni prima aveva aspramente criticato l’allora sindaco Consales per aver acquistato lo stesso spettacolo, definendolo nazional-popolare e accusando il suo predecessore di aver sprecato soldi pubblici) lo ha fatto passare come una grande occasione turistica per la città, inondando la sua pagina istituzionale Facebook, (quella del sindaco di Brindisi), con decine di post e persino un video realizzato nella regia televisiva.
Il cartellone estivo timbrato Rossi è quello che per la prima volta nella storia esclude totalmente le periferie da qualsiasi iniziativa, tagliando fuori quartieri storici e una parte della cittadinanza che avrebbe avuto diritto a qualche serata di svago senza l’obbligo di doversi spostare in un centro storico in cui il sindaco non è riuscito – dopo un anno – a risolvere il problema dei parcheggi.
Il franchising è certificato in queste ore da altri post autocelebrativi. Rossi si ritrae con Mogol, il celebre paroliere di Battisti: non è una novità che sia a Brindisi, è sufficiente chiedere a Tonino Tara, mitico usciere capo del Comune che nella sua scrivania custodirà almeno una decina di selfie. Mogol propone ovunque lo stesso pacchetto.
Ma la vetta più alta dell’omologazione e del franchising Rossi l’ha raggiunta con la sua improvvisa “love story” con Emiliano, celebrata dalla supercazzola spaziale del Pala Eventi. In sostanza il sindaco, quello che quando era all’opposizione dichiarava guerra agli sprechi e agli eccessi, si è fatto convincere dal governatore, che è in piena campagna elettorale, a fare realizzare da privati (con il contributo della Regione) un palasport da cinquemila posti accanto al qui presente Pala Pentassuglia, che di posti ne ha “solo” tremila. Senza prendere in considerazione due aspetti: il primo, che una struttura del genere renderebbe inutile il palasport già esistente che è patrimonio comunale e che già oggi viene gestito tra mille difficoltà dalla società di basket che milita in serie A. Il secondo è che non si può immaginare, purtroppo, che gli imprenditori che affrontano grandi sacrifici per mantenere la squadra in serie A possano continuare all’infinito. La storia dello sport è ciclica e ci ha insegnato che arrivano i momenti di crisi. Semmai dovesse succedere, cosa ne farà Brindisi di due palasport “siamesi” di quelle proporzioni? Intanto ha cancellato i finanziamenti destinati a ridare dignità alla pista di atletica di Masseriola per dirottarli verso la più populistica destinazione del campo sportivo comunale.
Ma Rossi in questo momento ha scelto di collocarsi sotto l’ala protettiva di colui il quale fino a poco tempo fa era stato un grande avversario. Il sindaco ed Emiliano sono ormai come Gianni e Pinotto, solo che mentre il governatore, scafato e furbo, sta tentando di ampliare il suo bacino di voti in una città in cui ha sempre raccolto le briciole, il primo cittadino lo presenta come l’uomo che Brindisi ha sempre amato. Appiattendosi in realtà sulle logiche del dominio totale dei baresi sulla città.
Lo aveva già fatto girandosi dall’altra parte e guardandosi bene dal proferir parola su quanto avvenuto nel porto e sulle inchieste giudiziarie che coinvolgono il presidente barese dell’Autorità portuale (inchieste dalle quali emergere che sia stato effettuato un tentativo di manipolazione di atti comunali, nel recente passato, ad opera dei vertici dell’Authority), lo sta facendo oggi quando invece di prendere posizione contro Rete Ferroviaria Italiana, che riduce la stazione di Brindisi ad appendice di quella di Bari, in maniera netta scrive la letterina a Babbo Natale Toninelli.
L’atteggiamento di Rossi sembra quasi voler accreditare chi, sin dal primo giorno della sua elezione, aveva espresso dubbi per il fatto che egli non sia nato a Brindisi ma sia di Trani e che dunque mai potrà avere un cuore totalmente brindisino.
Noi non pensiamo che sia così. Anche se fosse stato sindaco della sua Trani, per l’indole che ha dimostrato di avere, si sarebbe comportato allo stesso modo. Un colpo al cerchio e uno alla botte, meglio temporeggiare che decidere. “Battiti Live” con lo sfondo della Cattedrale romanica di Trani o del Monumento al Marinaio sarebbe stato in ogni caso un successone.
Purtroppo, come diceva Lenin, chi non sta da una parte o dall’altra della barricata, è la barricata.