La masseria, il bosco e il campo di prigionia PG85 del ‘43

Gli intrecci tra storia e natura, specialmente in una città antica e ricca di patrimonio storico e naturale, come è quello di Brindisi, sono davvero tanti ed allora può capitare che da un innocente cartello scritto a mano, posto a margine di un parco nella immediata periferia della frazione di Tuturano, si possa innescare una molla che fa tornare la memoria indietro nel tempo in questo misterioso abbraccio, appunto, fra la nostra storia e la natura stessa che, come vedremo, non cerca di difendere solo se stessa, resistendo agli attacchi dell’uomo, ma, da buona madre, difende, come sui figli, anche se ingrati, pure gli uomini.
In questo caso non si tratta di in qualcosa che abbia a che fare con la civiltà messapica né con quella romana o bizantina e nemmeno con l’età federiciana o la dominazione spagnola oppure, al brigantaggio post-unitario, come pure ci è capitato di incontrare durante le nostre scorribande naturalistiche, ma a tempi relativamente recenti, delle cui cicatrici è ancora ricco il territorio, come quelli del secondo conflitto mondiale.
L’idea originaria era quella di visitare, semplicemente, con il prezioso ausilio della biologa Paola Pino d’Astore, il Parco Colemi, un boschetto di poco più di dieci ettari, di proprietà pubblica, poco a sud di Tuturano, a margine della strada che porta verso San Donaci, meta privilegiata negli anni ottanta e novanta e fino agli inizi del nuovo millennio delle scampagnate domenicali per le famiglie brindisine e tuturanesi, grazie alle vaste aree anche attrezzare e la facilità con cui si poteva raggiungere e che, da qualche anno a questa parte, praticamente da quando la proprietà è transitata alla Regione Puglia, è completamente abbandonato a se stesso.
Superato Tuturano, c’è una stradina sulla destra, la cui cartellonistica indica il Parco Colemi; percorsa questa per una paio di centinaia di metri e lasciata l’auto lì dove non possa dare fastidio alla circolazione, balza subito all’occhio, davanti ad uno degli ingressi al bosco, un arguto cartello con una eloquente scritta: “Sei proprio sicuro di voler entrare con l’auto? # meglio a piedi”.
In effetti notiamo subito che il Bosco Colemi, a differenza di tutti gli altri boschi del territorio, è letteralmente tagliato da sud a nord e da est ad ovest, da una serie di larghi percorsi in terra battuta, completamente spianati dalla vegetazione che, da quel che si vede attorno, avrebbe dovuto essere costituita da querce secolari ed altre essenze arboree tipiche delle nostre zone, alcuni dei quali, percorribili (cosa comunque vietata) non solo da automobili, ma anche da mezzi più ingombranti.
Va detto che, osservata dall’alto del terrazzo della vicina Masseria Colemi, che fino a qualche anno addietro ospitava la sede della Cooperativa Riforma Fondiaria, non si nota traccia di alcuna di queste strade che intersecano il bosco, nascoste come sono alla vista dal fitto delle fronde della cima degli alberi.
Nei giorni successivi mi sono letteralmente scervellato per scoprire l’arcano, anche perché non si trattava certamente dei classici sentieri che tagliano la macchia, né potevano essere strade spianate negli anni Cinquanta dall’Ente Riforma per agevolare l’accesso ai fondi agricoli limitrofi, in quanto, troppo numerose e larghe e, poi, il bosco è talmente piccolo che è facilmente aggirabile ed i fondi agricoli sono comunque ben serviti da comode strade interpoderali, alcune delle quali, oggi, addirittura asfaltate.
La risposta giusta a questo vero e proprio enigma, è giunta da alcuni documenti, rintracciati sul web, risalenti agli inizi del secondo conflitto mondiale, quando il Bosco Colemi fu scelto come sede per l’accampamento delle truppe italiane –una vasta tendopoli capace di accogliere fino due-tremila soldati per volta – in attesa di imbarcarsi per la Grecia o l’Albania, inseguendo il sogno di un Impero d’Oltremare.
Riposti nel cassetto i sogni di grandezza, subito dopo l’armistizio, in zona fu dispiegata la Divisione Fanteria “Piceno” che, già assegnata alla difesa costiera della Puglia, fu la prima a passare sotto il comando dell’Esercito Cobelligerante Italiano del Regno del Sud, con il compito anche di proteggere il re Vittorio Emanuele III in fuga da Roma.
La scelta dell’accampamento a Colemi fu prettamente strategica: il bosco, situato non troppo lontano da Brindisi (ad un’ora e mezzo di marcia forzata per giungere a piedi al punto di imbarco, si precisa in qualche vecchio dispaccio), forniva sufficiente riparo non solo contro le intemperie ma, soprattutto, rendeva invisibile l’accampamento, agli aerei britannici che, nottetempo e fino alle prime luci dell’alba, bombardavano dal cielo le nostre terre; inoltre era vicinissimo a Tuturano, ricco borgo agricolo a quell’epoca, dove era possibile e facile approvvigionare le truppe di quanto necessario per il sostentamento.
Continuando la ricerca sul web trovo più volte, nelle fonti militari dell’epoca, specie in lingua inglese, associato a Tuturano ed anche a Colemi, la sigla PG85 dove PG rappresenta l’acronimo di “Prigionieri di Guerra”, mentre il n°85 contraddistingueva territorialmente il campo di prigionia.
Infatti poco lontano da Colemi, esattamente presso la Masseria Paticchi, negli anni della guerra e fino all’armistizio dell’8 settembre 1943, era attivo un campo militare dove vivevano reclusi alcune migliaia di prigionieri di guerra, soprattutto inglesi, catturati durante le battaglie in Grecia o Nord Africa e condotti via mare a Brindisi.
Per inciso, va ricordato che subito dopo l’armistizio, il 10 settembre 1943, ci fu la venuta del Re a Brindisi che, in quanto sede del Governo, fu anche Capitale d’Italia o, come sostengono gli storici minimalisti e coloro i quali proprio non digeriscono che Brindisi possa essere stata, sia pure per breve periodo ed in un’epoca particolare, Capitale d’Italia: Capitale del Regno del Sud, in contrapposizione alla Repubblica di Salò.
A scanso di equivoci va detto che questo campo militare non aveva nulla a che spartire con i famigerati campi di concentramento, ma era uno di quei posti dove venivano custoditi e, in periodo di sovraffollamento, letteralmente stipati, i soldati nemici ed in cui, grazie anche al rispetto della Convenzione di Ginevra, erano comunque garantiti i diritti fondamentali.
A questo punto, oltre che raccogliere il maggior numero di notizie possibili sul Campo PG85, cosa non semplice dato che parecchi documenti all’epoca dell’armistizio furono bruciati per evitare futuri problemi con tribunali internazionali, non potevamo non fare un salto anche presso la Masseria Paticchi per vedere, con i nostri occhi quel che rimane di questo pezzo di storia, meno conosciuta della nostra Brindisi.
Va detto che prima dei disboscamenti effettuati nella seconda metà del secolo scorso dall’Ente Riforma Fondiaria, per concedere terre coltivabili ai contadini, tutta la zona di Tuturano era boschiva e fino a non molti anni fa anche a Paticchi, come alla vicina Cerrito, vi erano boschi di una certa entità, di cui ora, come traccia, esiste solo qualche esemplare di quercia monumentale isolata in mezzo ai campi coltivati.
Appena giunti sul posto, all’incrocio della stradina che porta verso Pigna Flores, a dare un senso di pace, troviamo un edicola votiva risalente a settanta anni addietro, con le statuette rosse e verdi dei Santi medici, Cosimo e Damiano, ben tenuta e pulita, segno che è ancora visitata e venerata dalla gente del posto.
Il corpo principale della Masseria Paticchi, che nell’insieme dà l’idea dell’abbandono, risulta essere integro nella sua struttura, mentre le costruzioni più basse, che in base ai documenti dell’epoca, dovevano contenere gli ufficiali nemici, presentano i tetti diroccati e alcune di esse, anzi, sono quasi per intero crollate e le macerie sono ancora lì sul posto.
Solo un paio di capannoni, evidentemente utilizzati ancora in tempi recenti per uso agricolo, si presentano in buone condizioni.
All’interno di uno dei locali vi sono ancora stesi dei vecchi fili spinati arrugginiti che fanno accapponare la pelle, ricordando quello che fu nei primi anni quaranta la destinazione dei fabbricati.
Delle baracche in legno dove erano ospitati i sottufficiali non vi è alcuna traccia mentre, sappiamo che i soldati semplici nemici, che erano la stragrande maggioranza, erano ospitati in una distesa di tende, probabilmente nella zona, all’epoca recintata e protetta dal filo spinato, fra la Masseria e Fiume Grande, che scorre a circa duecento metri ad est del corpo di fabbrica principale: il fiume fungeva, a quanto pare, oltre che da fossato naturale anche, assai più umilmente, da latrina da campo.
L’esistenza e l’ubicazione, di questo grande campo di prigionia, fa comprendere, insieme al bosco Colemi che, con le sue alte e fitte fronde, nascondeva il contingente italiano, perché, a differenza della vicina Brindisi, Tuturano, pur essendo importante dal punto di vista militare, fu sempre risparmiata dai bombardamenti nemici: era nota infatti, essendo anche monitorato dalla Croce Rossa Internazionale, l’esistenza di questo campo che “ospitava” migliaia di cittadini britannici, per cui gli alleati non potevano rischiare di far vittime fra i loro stessi concittadini.
Devo ammettere che inizialmente, da brindisino, avevo provato quasi un senso di vergogna a pensare che dalle mie parti era ospitato un campo di prigionia ma, dando un’occhiata ai ricordi scritti di alcuni soldati anglosassoni che del PG85 furono ospiti, ne emerge uno spaccato di umanità ed uno spirito di accoglienza, di cui c’è da essere orgogliosi.
C’è chi scrive alla famiglia che si mangia bene e che quando il cibo scarseggia, scarseggia per tutti, anche per i soldati italiani e che comunque, a parte i pacchi della Croce Rossa, spesso in soccorso giungono gli aiuti spontanei della gente di Tuturano che si recava ai bordi del campo per lanciare al di là della staccionata generi di prima necessità, vestiario, coperte, pane e prodotti della terra e che, a volte, trovavano anche il modo di far giungere ai prigionieri un po’ di ottimo vino.
Non c’è traccia di alcuna esecuzione sommaria, anche se le leggi di guerra lo permettevano in caso di disobbedienza o tentativo di fuga, salvo il caso della punizione corporale di alcuni prigionieri, che furono legati mani e piedi per aver tentato la fuga, in un periodo, però, in cui a causa di una epidemia di meningite che aveva colpito non solo il campo di prigionia – causando una mezza dozzina di vittime – ma anche Tuturano, la zona fu sottoposta a ferrea quarantena, per evitare che la malattia si diffondesse all’esterno.
Ma la storia più bella e che meriterebbe, qualora fosse ancora possibile, che ne fosse rintracciato il protagonista o, più probabilmente, visti i tre quarti di secolo trascorsi, i suoi figli o nipoti, fu quella del Natale 1942 quando un cuoco del campo, abitante di Tuturano, fu sottoposto a processo sommario per avere, a proprie spese e senza autorizzazione, offerto dolci e torte natalizie ad alcune centinaia di prigionieri. Nonostante la condanna, il cuoco non fu poi materialmente punito, in quanto prevalse in tutti il senso di umanità, agevolato dallo spirito natalizio: sicuramente se Edmondo de Amicis fosse vissuto un secolo dopo, avrebbe inserito, a buona ragione, questa bella storia nel libro “Cuore”!
Terminato questo breve excursus che ci ha portati, oltre che a visitare la Masseria Paticchi, anche indietro nel tempo di quasi ottanta anni, possiamo tornare al Bosco Colemi con la bella e leggera descrizione, anch’essa densa di ricordi, ma di natura più personale e naturalistica, che ne fa Paola Pino d’Astore: “Dopo aver attraversato la via principale del borgo di Tuturano in direzione di San Donaci, subito dopo le ultime case, ricordo a memoria una stradina che conduce al Bosco Colemi. E’un ricordo di bambina delle scuole elementari, quando mio padre mi portava per una passeggiata nel verde con tutta la mia famiglia ed io potevo correre libera insieme ai miei due fratellini. Gli alberi li ricordavo tanto alti. E così li ho ritrovati. Maestosi esemplari di Leccio e di Pino marittimo, pianta poco diffusa nel nostro territorio e che qui, insieme ad altre specie, forma un bosco disomogeneo che rivela la sua origine antropica, essendo stato un tempo il parco della omonima Masseria Colemi. La chioma spoglia ed avvizzita degli alberi di Pino marittimo, purtroppo rivela il loro cattivo stato di salute, dovuto probabilmente a patologie di tipo parassitario, ma nonostante ciò restano sempre piante imponenti e spettacolari.
Da questa via di accesso si nota subito un corso d’acqua torrentizio che costeggia il lato orientale del bosco: si tratta delle acque del Foggia di Rau che sfocia in mare a nord di Punta della Contessa, ovvero all’interno del Parco Naturale Regionale delle saline di Brindisi. La sua presenza crea un microclima più umido con abbondante sviluppo dell’Olmo campestre, mentre in altre aree dominano le piante di macchia mediterranea che formano un sottobosco più fitto (Biancospino, Lentisco, Fillirea, Mirto, Rovo, Pungitopo, ecc.).
Non vi è una vera e propria area attrezzata, ma residui di una improvvisata area giochi e pic-nic. Probabilmente persone di buona volontà provvedono al mantenimento del suo decoro, contrastando l’abbandono di rifiuti che potrebbe essere agevolato da sentieri accessibili alle auto. E’ un peccato notare l’assenza di pratiche selvicolturali che, se effettuate, permetterebbero una migliore conservazione del bosco.
Ad un tratto, da una grande ed alta Quercia virgiliana, si alzano in volo due Gufi comuni, disturbati involontariamente dai nostri passi sotto di loro. E con piacere, lungo i sentieri che attraversano il bosco, intravediamo una pattuglia dei Carabinieri-Forestale in attività di vigilanza e controllo, per contrastare un eventuale taglio illecito delle piante o altre azioni non consentite.
Un viale alberato, con ai lati tracce di panchine in pietra, suggerisce ciò che doveva essere in origine la via principale di accesso al bosco. E qui, come guardiana, appare una grande Quercia Vallonea, cresciuta ad opera dell’uomo, come anche singoli esemplari di Farnetto (Quercus frainetto).
La Quercia da sughero, più presente in aree, meno disturbate dall’azione dell’uomo e con sottobosco più fitto, riporta alla mente le vicine sugherete che caratterizzano il territorio lungo la direttrice Tuturano – Mesagne. Per essere un nucleo boschivo misto di latifoglie e di conifere, con almeno quattro diverse specie di querce, a pieno titolo, il Bosco Colemi è compreso nella perimetrazione della Riserva Naturale Regionale “Boschi di Santa Teresa e dei Lucci” (L.R. n. 23 del 23 dicembre 2002). E’un altro prezioso ed insostituibile tassello del nostro patrimonio naturalistico”.