La mattanza dei padellari: dall’omicidio di Cairo a quello di Spada

di GIANMARCO DI NAPOLI per il7 Magazine

Massimiliano Morleo, il “pentito”

La ferita si riapre in una gelida mattina di gennaio. Sono trascorsi 22 anni da quando Salvatore Cairo è scomparso, e 11 da quando è stata dichiarata la sua morte presunta. E’ una di quelle storie che finiscono impacchettate negli archivi della polizia con un’etichetta vaga. Caso irrisolto. Dimenticato. Resta un macigno solo nel cuore della famiglia e di chi gli ha voluto bene veramente: meglio mille volte una tomba su cui piangere che l’eterna agonia dell’incertezza, perché chi uccide e poi fa sparire per sempre un corpo compie un duplice omicidio.
Nel 2000 la strada provinciale 88, quella che dalla zona industriale di Brindisi porta sino a Cerano lungo la litoranea, era ancora battuta dalle carovane di blindati contrabbandieri: i motoscafi planavano sulle spiagge, più protette per gli sbarchi di sigarette quando c’era maestrale, sino a Casalabate. Proprio fuori dalla città, subito dopo i capannoni della Bartolini Trasporti, c’è un piazzale grande quanto un campo di calcio, e un piccolo stabile utilizzato per gli uffici. E’ un parcheggio per camion e autoarticolati. All’epoca no, era una rivendita di legna con un nome azzeccato: “Il focolare”. La titolare della piccola azienda, deceduta qualche anno fa, era la moglie di Cosimo Morleo, già socio proprio di Salvatore Cairo: insieme negli anni Novanta avevano fondato la Eurocasa, una ditta che si occupava del commercio di pentole. Nel gergo dell’epoca, erano entrambi “padellari”. Avevano costruito un piccolo impero.

Sabato 22 gennaio è un vero e proprio blitz. Di prima mattina nell’azienda di contrada Santa Lucia, piombano diverse auto della polizia: squadra mobile e uomini della Scientifica. A coordinarli c’è il dirigente Rita Sverdigliozzi. Ma sul posto ci sono anche due personaggi che 22 anni fa si occuparono delle indagini: il pm Milto De Nozza, oggi in servizio presso la Direzione distrettuale antimafia di Lecce, e il vicequestore Vincenzo Zingaro, all’epoca già in servizio presso la questura di Brindisi.
Gli inquirenti non hanno alcun dubbio: sabato 6 maggio 2000 Salvatore Cairo fu ucciso in quel piccolo stabile dipinto di giallo che si affaccia oggi sul parcheggio. Era il deposito della legna del “Focolare”, probabilmente nel corso degli anni è stato anche modificato. Ma la Polizia scientifica sigilla tutto, la zona viene posta sotto sequestro e gli esperti in tuta bianca utilizzano tutti gli strumenti oggi a disposizione della scienza forense per individuare qualsiasi traccia invisibile che vent’anni dopo può essere custodita. Schizzi di sangue ad esempio, invisibili ad occhio nudo.
La certezza che Cairo fu ucciso lì arriva dalle rivelazioni fatte da un nuovo collaboratore di giustizia, anzi di un “collaborante”, come viene definito in gergo giudiziario chi deve rientrare ancora appieno nel programma di protezione garantito dallo Stato e per accedervi deve fornire prova dell’attendibilità delle sue dichiarazioni.

La Volvo di Salvatore Cairo

A indicare luogo e circostanze dell’omicidio di Salvatore Cairo è stato Massimiliano Morleo, classe 1970. E’ il fratello di Cosimo, ma rispetto a quest’ultimo – affermato imprenditore tra gli anni Novanta e Duemila – Massimiliano è un pregiudicato con una lunga serie di precedenti penali alle spalle, specializzato negli ultimi anni nel traffico degli stupefacenti. Nel marzo dello scorso anno era stato arrestato dai carabinieri, insieme ad altre cinque persone, con l’accusa di essere organizzatore, capo e finanziatore di una banda che spaccia carichi di marijuana proveniente dall’Albania che venivano stoccati in quattro nascondigli situati alla periferia di Brindisi. La stessa banda forniva cocaina a personaggi della cosiddetta “Brindisi bene”. Il clan Morleo del resto viene indicato nelle ultime relazioni della Dia come quello dominante in città nel traffico di droga.
Probabilmente con la prospettiva di una pesante condanna, qualche mese fa Massimiliano Morleo ha deciso di collaborare con la giustizia ed è stato affidato alla direzione distrettuale antimafia di Lecce. Tra i magistrati di punta della Dda c’è Milto De Nozza che proprio pochi mesi dopo il suo arrivo alla procura di Brindisi, 20 anni fa, si trovò a indagare sulla misteriosa scomparsa di Salvatore Cairo. Una circostanza probabilmente decisiva per indirizzare verso la soluzione del mistero le buone intenzioni di Morleo di contribuire all’accertamento di nuove verità giudiziarie.
Ha dunque indicato il luogo in cui Cairo fu ucciso. Ma non è dato di sapere se lui fosse presente al momento del delitto, se abbia fatto o meno i nomi degli esecutori materiali e se abbia chiarito il movente dell’esecuzione. Ma gli inquirenti sono certi che abbia detto la verità. Così come è certo che al momento non esiste alcun indagato per l’omicidio anche se il vecchio fascicolo sulla scomparsa di Cairo è stato rispolverato è aggiornato.
Vi si legge che l’imprenditore, un ragazzone di 36 anni alto un metro e ottanta, lasciò la sua casa al rione Bozzano alle 8.30 di quel 6 maggio, dicendo alla moglie che sarebbe tornato all’ora di pranzo. Lei all’epoca era dipendente di una vetreria in via Appia. Tentò più volte di contattarlo al cellulare ma senza ricevere risposta. Si accertò successivamente che verso le 9.30 Cairo aveva telefonato a un imprenditore leccese presso il quale si stava recando e che avrebbe dovuto essere il suo nuovo socio: gli disse che stava facendo gasolio all’auto e che lo avrebbe raggiunto a Lecce, chiedendogli di accompagnarlo a comprare un nuovo casco per la sua moto. A Lecce non arrivò mai. A mezzanotte la moglie si presentò in questura per denunciarne la scomparsa.

Il corpo di Spada nella stazione di servizio

Alla fine degli anni Ottanta, Cairo aveva iniziato la sua attività imprenditoriale in società con i fratelli Brigida che gli avevano riservato un capannone come deposito nel loro cantiere di autodemolizione sulla strada provinciale per San Pietro Vernotico. Gli affari principali in quel momento erano concentrati in Sicilia. Negli anni Novanta nacque il sodalizio con Cosimo Morleo: insieme fondarono l’Eurocasa. Successivamente, sempre insieme, avevano fondato la Golden Star, rilevando un locale in via Appia. La società si sciolse nel 1998 e da quel momento Cairo si era messo in proprio allargando la propria attività, oltre alla vendita di batterie di pentole, anche di depuratori per l’acqua potabile. In quel mese di maggio del 2000 stava per costituire una nuova società, ancora più ambiziosa, con alcuni imprenditori leccesi. L’appuntamento davanti al notaio era per il 18 maggio, ma Cairo scomparve il 6, dodici giorni prima.
La sua Volvo V70 Station wagon venne ritrovata qualche giorno dopo su una rampa della superstrada Brindisi-Lecce, nei pressi dell’uscita Squinzano-Torchiarolo, con le chiavi ancora inserite nel quadro. All’interno c’erano la sua valigetta ventiquattrore con i documenti di lavoro, la patente e il passaporto. E anche due cambiali per un importo di circa 15 milioni di lire. Qualcuno aveva tentato di dare fuoco alla vettura, ma le fiamme si erano spente da sole, annerendo soltanto i vetri. Fu una coincidenza che venne ucciso proprio mentre si apprestava a creare una nuova società? E come mai si recò nell’azienda della moglie del suo ex socio? E chi c’era quel giorno ad attenderlo?
Individuato il luogo in cui fu ammazzato, probabilmente a colpi d’arma da fuoco, resta da scoprire (e non è poco) il luogo in cui il cadavere fu nascosto. Probabilmente Morleo ha dichiarato che il corpo venne buttato in un pozzo ma non ha fornito indicazioni più precise. Tanto che la polizia ha deciso di cominciare le ricerche scandagliando la cisterna che si trova nel cortile alle spalle del fabbricato in cui avvenne il delitto. Nella mattinata di martedì, i vigili del fuoco hanno scoperchiato e drenato la cisterna mentre i poliziotti della Scientifica di Bari e Brindisi hanno setacciato il fango riportato in superficie. Non c’erano però resti umani. L’area resta comunque posta sotto sequestro.

Il luogo in cui Cairo fu ucciso

L’omicidio di Salvatore Cairo è collegato, secondo gli investigatori, al delitto di un altro “padellaro” eccellente: il 19 novembre dell’anno successivo fu ucciso a Brindisi Sergio Spada, forse il più popolare (e facoltoso) tra i commercianti di batterie per la casa: ex venditore di pentole, proprietario di una fabbrica di stoviglie e ac cessori per la cucina, la “Diamanti”, con sede al rione Santa Chiara. Non fu una lupara bianca: il suo cadavere venne scaricato da un’auto in una stazione di servizio Ip in disuso lungo la circonvallazione, all’altezza del rione Sant’Elia. Aveva un colpo di pistola alla testa. Era scomparso la sera prima mentre aveva già aperto con il telecomando il cancello d’ingresso della sua villa al rione Casale. Il cancello si era richiuso senza che fosse entrato e lui era sparito con la sua Fiat Uno di colore verde che stava utilizzando come vettura di cortesia visto che la sua auto era in riparazione. I killer lo attendevano all’ingresso, conoscendo bene le sue abitudini. La Uno fu trovata poi bruciata nelle campagne.
Un filo di sangue lega dunque quei due delitti, cosa che in verità era stata sospettata sin dal primo momento. Dagli anni Settanta il business della vendita di padelle aveva reso ricchi decine di giovani brindisini che partivano verso Campania, Calabria e Sicilia per vendere con il porta a porta pentole da cucina, piatti, porcellane e corredi. I più intraprendenti, come Spada e Cairo, avevano compiuto un salto di qualità, creando aziende nelle quale stoccavano le forniture di pentolami che affidavano poi a chi effettuava la vendita a domicilio. Un business talmente grosso, che ha spnto qualcuno a decidere di eliminarli. Entrambi.