Lunga vita all’ulivo, albero sacro e simbolo del Salento

Percorrendo la strada che da Brindisi porta verso Bari, o viceversa, ed ancor più se ci si avventura nelle stradine interne, non si può non rimanere estasiati di fronte allo spettacolo rappresentato dalle enormi distese di ulivi ultrasecolari che, a perdita d’occhio, segnano il paesaggio dal mare fino ad oltre i colli.
In particolare, il tratto fra Carovigno e Monopoli, che attraversa anche l’agro di Ostuni e Fasano, è denominato la “Piana degli Ulivi” ed è la zona dove sono più concentrati gli ulivi secolari e, anzi, ne sono stati censiti tantissimi anche millenari, alcuni dei quali risalgono certamente ai tempi in cui l’imperatore Traiano, fra il 110 ed il 108 dopo Cristo, fece piantare un milione di ulivi ai margini della nuovissima via Appia-Traiana, una deviazione dell’originaria via Appia che per collegare Roma a Brindisi, anziché passare da Venosa e Taranto, collegava Benevento a Bitonto e poi scendeva verso Egnazia, prima di giungere al più grande porto dell’Impero Romano e del Mediterraneo, cioè quello di Brindisi.
E dal momento che risale a quei tempi la creazione di questa “iter olivetata”, molti sono portati a ritenere che gli ulivi – la cui coltivazione è originaria della Siria e si diffuse in Grecia già nell’Età del Bronzo – furono portati in Puglia dagli antichi romani in età imperiale.
La scoperta nel brindisino come nel leccese di alberi di ulivo di età prossima ai tre millenni, oltre che fonti letterarie, storiche e, finanche, mitologiche, tendono far spostare l’origine dell’ulivo nostrano all’età del ferro, probabilmente a quando intorno al 900 avanti Cristo, i Messapi, una popolazione proveniente dall’Illiria (collocabile fra l’Albania, la Macedonia e la Dalmazia), sbarcando a Brention (l’antico nome messapico di Brindisi), si stabilirono dalle nostre parti sovrapponendosi pressoché completamente ai nativi salentini, occupando nei secoli successivi tutto l’attuale Salento e fermandosi solo alle porte di Taranto, città fondata dai temibili spartani, con cui era meglio non attaccar briga.
Da fonti storiche certe sappiamo che i Messapi, oltre che dediti alla pastorizia e famosi allevatori di cavalli e di cani, coltivavano la vite e l’ulivo, che innestavano con incredibile perizia, ed erano anche dei provetti apicoltori.
Ed a riprova che la coltivazione dell’olivo dalle nostre parti si perde nella notte dei tempi e che perfino presso gli antichi greci erano famosi gli ulivi della Messapia ci sono fonti letterarie del secondo secolo avanti Cristo che si richiamano alla mitologia e che possono avere un senso solo pensando ad ulivi già ultra secolari esistenti nel Salento, come quelli a cui si riferiva il poeta ellenista Nicandro di Colofone, sacerdote del tempio di Apollo, che nella sue Metamorfosi, scriveva: “Si favoleggia che nel paese dei Messapi presso le cosiddette “Rocce Sacre” fossero apparse un giorno delle ninfe che danzavano e che i figli dei Messapi, abbandonate le loro greggi per andare a guardare, avessero detto che sapevano danzare meglio. Queste parole punsero sul vivo le ninfe e si fece una gara per stabilire chi sapesse meglio danzare. I fanciulli, non rendendosi conto di gareggiare con esseri divini, danzarono come se stessero misurandosi con delle coetanee di stirpe mortale. Il loro modo di danzare era quello, rozzo, proprio dei pastori; quello delle ninfe, invece, fu di una bellezza suprema. Esse trionfarono dunque sui fanciulli nella danza e rivolte ad essi dissero: “Giovani dissennati, avete voluto gareggiare con le ninfe e ora che siete stati vinti ne pagherete il fio”. E i fanciulli si trasformarono in ulivi, nel luogo stesso in cui stavano, presso il santuario delle ninfe”. Presso quel santuario, che gli studiosi individuano in quel di Giuggianello, già 2.200 anni addietro vi erano degli ulivi monumentali che per la mitologia dell’epoca, erano, appunto, i giovani messapi che avevano osato sfidare le ninfe!
C’era poi anche un brindisino di adozione, Publio Virgilio Marone, che per giungere a Brindisi aveva percorso il vecchio tracciato della vecchia via Appia, che cantava gli ulivi e manifestava tutta la sua meraviglia “E cosa strana e meravigliosa soltanto a dirla le fronde dell’olivo sbucano persino dal legno rinsecchito”: è evidente che osservava con stupore il legno secco, nodoso e rugoso degli ulivi ultrasecolari da cui prendevano, come per miracolo, vita i nuovi rami con le verdi foglie.
Percorrendo a piedi dei tratti di sentiero tanto nelle campagne di Ostuni quanto in quelle di Carovigno e, più all’interno, in quelle che fra San Vito dei Normanni e Ceglie Messapica, pur non essendo un esperto in materia mi sono imbattuto in centinaia di alberi di ulivo che, a giudicare dalla enorme circonferenza, anche di 7-8 metri e dalla nodosità dei tronchi, alcune delle quali vere e proprie imponenti sculture viventi, risalgono a tempi assai remoti, 300, 400 od anche 500 anni fa.
Chi ha fatto di questa passione per gli ulivi, unita alla giusta preparazione scientifica, una vera e propria professione è sicuramente l’ostunese Enzo Suma, una laurea in scienze ambientali ben messa a frutto, guida naturalista, che si autodefinisce sui social come “Cercatore di Ulivi Secolari” e che è anche l’ideatore del progetto“Millenari di Puglia” che, da sei anni a questa parte, opera il censimento degli ulivi monumentali più spettacolari esistenti in Puglia e che da tre anni organizza il “Premio Giganti di Puglia”, un concorso che ha l’obiettivo di far conoscere il patrimonio degli ulivi monumentali e di premiare un ulivo in particolare che si distingue per le dimensioni e forma eccezionali.
Il campione in carica è un ulivo di circa duemila anni, chiamato l’Imperatore, che si trova in agro di Ostuni. Si tratta di un albero dalle forme straordinarie, con un tronco scolpito dal tempo. Sulla base delle ultime ricerche in tema di datazione degli ulivi, gli esperti ritengono che l’Imperatore come anche gli altri ulivi che si trovano nelle immediate vicinanze potrebbero risalire proprio al periodo della costruzione della via Traiana.
Dell’ulivo già sappiamo tantissimo, la sua importanza dal punto di vista economico e culturale, ma anche il fatto che per tutte le religioni, non solo ai tempi della dea Atena, ma anche per i cristiani, è un albero sacro e, nei tempi antichi, addirittura, chi avesse reciso un albero di ulivo poteva essere punito anche con la morte.
Ma gli ulivi e gli oliveti, come ci spiega la nostra amica biologa Paola Pino d’Astore, responsabile del Centro Fauna Selvatica della Provincia di Brindisi – la cui sede di Ostuni, nei pressi dell’istituto Agrario, anch’esso di proprietà dell’Amministrazione Provinciale, si trova immersa proprio in un oliveto formato da piante ultrasecolari – rivestono una grandissima importanza anche per la fauna selvatica.
Alla luce della tua esperienza che rapporto c’è fra gli esemplari di fauna selvatica in difficoltà e l’habitat “Oliveto”?
“Negli oliveti del territorio provinciale di Brindisi, il rinvenimento di fauna selvatica in difficoltà riguarda per lo più varie specie di uccelli. In base al ciclo biologico, con la migrazione autunnale arrivano specie di passo e svernanti che si aggiungono a quelle stanziali alla ricerca di aree di sosta e di alimentazione. Sono i mesi di attività venatoria (da settembre a gennaio) e nonostante si tratti di specie protette qualche scellerato ne approfitta per fare il tiro al bersaglio a rapaci come Sparvieri, Aquile minori, Smerigli, Albanelle reali, Poiane, Gheppi. Questi esemplari giungono al Centro Fauna Selvatica della Provincia di Brindisi fratturati e feriti; le radiografie effettuate dal veterinario confermano spesso la presenza di pallini da arma da fuoco. Da ottobre ad aprile, gli oliveti diventano luogo di pastura (ahimè, perché oltre ad alimentarsi dell’insetto parassita delle olive, si mangiano anche queste) di grandi stormi di Storni, conosciuti da tutti per gli spettacolari caroselli aerei che compiono durante i loro spostamenti dai dormitori (costituiti da estesi canneti) agli oliveti, ai campi arati, alla periferia dei centri urbani (area di rifugio quando altrove si spara, magari proprio a loro nei casi di caccia in deroga, autorizzata dalla Regione Puglia in quanto specie di norma protetta).
Ed in primavera ed estate cosa succede alla fauna nei nostri oliveti ?
“Con la migrazione primaverile giungono specie provenienti dall’Africa e tra quelle nidificanti negli oliveti spicca l’Upupa, inconfondibile per la sua vistosa cresta e per il lungo becco da uccello insettivoro (si nutre di larve, bruchi, grossi insetti, ragni e non disdegna lombrichi e molluschi). Oltre al volo ondeggiante dell’Upupa, tra le straordinarie cavità degli ulivi secolari, è possibile osservare giovani Civette, che ho sorpreso più volte fuoriuscire e rientrare tra le fessure alla base di queste bellissime piante, quasi come se fosse un parco giochi.
La chioma degli ulivi è il regno incontrastato del Gufo comune che spesso nidifica qui, utilizzando vecchi nidi di Gazza. Possono nascere fino a 5 pulli. In diversi casi, come Centro Fauna Selvatica, siamo intervenuti per evitare la separazione dei pulli dai genitori. Si tratta del momento della potatura degli alberi di ulivo che coincide con il periodo della schiusa delle uova, deposte da fine febbraio a maggio. I maestri potatori, spesso insieme al proprietario dell’oliveto, ci hanno contattato perché insieme al ramo tagliato è venuto giù anche il nido, svelando la presenza di piccoli ricoperti di piumino. Agendo tempestivamente è stato possibile sistemare in sicurezza la nidiata su un olivo adiacente ed in una occasione in cui il cielo era nuvoloso, in pieno giorno, abbiamo osservato con stupore (insieme ai maestri potatori) il ritorno del “gufo – genitore” nel nuovo nido.
Tra le specie nidificanti negli uliveti non mancano i passeriformi (come varie specie di passeri e di cince), attratti dall’ambiente misto di ulivi, siepi di macchia mediterranea, coltivi a cereali e foraggio, piccoli frutteti ed incolti. Negli uliveti le Gazze riescono a predare facilmente nidiacei di altre specie ed in effetti per sottrarsi al loro appetito, uccelli granivori come il Verdone, il Cardellino ed il Verzellino si stanno urbanizzando, scegliendo sempre più spesso piccoli giardini oppure viali alberati con palme”.
Per finire non posso non fare riferimento ad un grande personaggio da poco scomparso, Ennio Masiello che, da sanvitese di origine e brindisino di adozione, non poteva non essere innamorato perdutamente degli ulivi e che all’Ulivo, oltre che ad un suo grande amico come Marcello Mele – mio suocero, proprio in questi giorni venuto a mancare, anche lui, come Ennio, grande amante degli ulivi e, in particolare, dei suoi ulivi secolari), ha dedicato una delle sue rare poesie in lingua italiana e che anzi scherzosamente prima di declamarla, sotto un grande albero di ulivo, in una calda serata estiva, in quel di San Vito dei Normanni, confessava che era la prima volta in vita sua che aveva dedicato una poesia scritta in italiano ad un uomo anziché, come era suo costume, ad una donna, riservando in genere, quelle in vernacolo ai suoi amici di sesso maschile.

Questa la sua bella lirica dedicata a Marcello, amico degli ulivi, le cui stupende parole sono evocatrici delle lunghe, intense e fruttuose vite, vissute da due “patriarchi” quali loro sono stati:

Ti amo, Ulivo,
grato agli dei ed ancor più agli uomini.
Amo la tua pelle rugosa provata dal tempo.
Amo il tronco possente lacero
di antiche ferite,
la umbrifera chioma cangiante
al cangiare dei venti.
Costretta vita perenne, priva
del dispogliato riposo.
Amo le tue radici profonde che stuprano
la rossa terra Normanna avara di umori.
Ti guardo ed anch’io sono ulivo:
nel corpo ferito, nel capo argentato,
nel desiderio fremente ormai
di radicarsi alla terra e far frutto ancora
ed ancora far dono di me.
Ti ascolto e l’argenteo stormir delle fronde
tagliate dal vento,
mi ricorda la musica del mare.