Masiello: “La brindisinità? E’ ormai perduta”

di Gianmarco Di Napoli per IL7 Magazine

La brindisinità? Non esiste più. E il dialetto è scomparso, ci si vergogna a parlarlo. Come se fosse un gergo tribale e invece è la nostra lingua. Tutti pensano di usare l’italiano, e spesso non lo sanno neanche parlare”: Ennio Masiello, classe 1929, non ha scelto a caso l’appartamento in cui vive, in via Marco Pacuvio. Si affaccia sul tempietto di San Giovanni al Sepolcro, sede del primo museo cittadino e della Brigata amatori storia e arte di don Pasqualino Camassa. Ecco, se Masiello fosse nato qualche decennio prima, di sicuro avrebbe fatto parte di quella Brigata che della brindisinità aveva fatto il suo credo.
Comunque non si è fatto mancare nulla. Sindaco di Brindisi, senatore, difensore civico e soprattutto avvocato penalista. Ha composto decine di poesie in dialetto, la più famosa delle quali “Cati piru ca ti mangio” (Cadi pera che ti mangio) è uno splendido ritratto dell’attitudine ad attendere gli eventi più che a provocarli, tipica dei brindisini. E ha realizzato anche un monumentale vocabolario dialettale.
Ora vive i suoi 88 anni con quello stesso signorile portamento che lo ha reso celebre nel mondo politico e culturale, e anche piuttosto ambìto per una non ristretta platea femminile. Ma anche con grande distacco: “Non incontro più gente che pensa come me”, confida.
Masiello, perché si è persa la brindisinità?
“La scomparsa del dialetto è il metro per comprendere come sia stata smarrita l’identità. Nei salotti buoni baresi o in quelli leccesi si parla quasi sempre solo in dialetto. Ne fanno una questione di appartenenza, lo utilizzano per sentirsi uniti per cultura e tradizione. Da noi questo senso di appartenenza non esiste più. E con esso il dialetto che è stato spazzato via”.
Quando è iniziata questa parabola discendente?
“Penso che l’origine sia stata l’arrivo della Montecatini a Brindisi, anche se le conseguenze si sono viste anni dopo, magari alla generazione successiva. A Brindisi sono giunte centinaia di famiglie dal nord che parlavano l’italiano e quindi ci siamo convinti che mettere da parte il vernacolo fosse la cosa migliore. I miei figli e i miei nipoti, anche se io sono un dialettologo, non parlano il dialetto. Parlano l’italiano. E’ come se ci vergognassimo di parlarlo, lo sentiamo come una “diminutio capitis”.
Lei pensa che sia collegato a questo il disamore che esiste nei confronti della nostra città?
“Basti pensare che un tempo avevamo cinque o sei parlamentari brindisini per ogni legislatura e adesso sono scomparsi proprio. E’ diventata un comune di provincia privo di una propria dignità. Scrivere un vocabolario del dialetto brindisino mi sembrava un fatto assolutamente normale, invece è stato visto come un elemento culturale. Come se si praticasse archeologia di una lingua ormai morta”.
Oltre al Masiello avvocato c’è stato il Masiello politico. Ha qualche rimpianto di quell’esperienza?
“Essere stato sindaco e parlamentare faceva parte di quel complesso di cose che conservavano la mia brindisinità. La mia esperienza di sindaco è durata poco, meno di quello che era previsto. E’ stata breve anche quella di senatore, ma non mi è dispiaciuto. Avrei preferito continuare a fare il sindaco piuttosto che il parlamentare”.
Lei è stato anche difensore civico per oltre un lustro.
“Devo dire che è stata un’esperienza particolarmente gratificante quella, forse la più bella. Stare a contatto con i cittadini, essere un mediatore tra loro e l’Amministrazione, tentare di sciogliere i problemi burocratici”.
E poi c’è stato il Masiello poeta. Ma ci potranno essere ancora poeti dialettali a Brindisi?
“Penso che sia molto difficile. Me ne accorgo dalla gente che mi manda poesie da leggere. Non sono scritte in vero dialetto, è un atteggiamento forzato. Prima di scrivere in versi bisogna impararlo il dialetto brindisino. E ormai…”.
Com’è nata “Cati piru ca ti mangio”?
“Sono partito da un pensiero di Ennio Flaviano (scrittore e giornalista del Novecento, ndr) che diceva ‘L’uomo è un animale pensante, e quando pensa non può essere che in alto’.
Avvocato, tra cent’anni, quale frase vorrebbe che si scrivesse su di lei per ricordarla?
“Non ci ho mai pensato. Ecco, penso che sulla mia tomba vorrei fosse scritto: ‘E’ muertu com’è vissutu. Ti brindisinu”.