
C’è una grande chiazza nera in mare”: la telefonata, allarmata, giunge alla sala operativa della Capitaneria da un pescatore che con la canna a mulinello si trova su uno scoglio che si affaccia sul porto interno di Brindisi. Grazie a quella chiamata, nel giro di pochi minuti, viene attivato il dispositivo antinquinamento: partono le motovedette, arrivano gli esperti dell’Arpa e la chiazza nera, apparentemente oleosa, viene circoscritta rapidamente, analizzata dagli esperti e poi affidata all’unità disinquinante “Grancevola” che la abbatte.
Nel comunicato diffuso poco dopo dalla Capitaneria di porto, a conclusione dell’intervento, si fa riferimento alla segnalazione telefonica di “un privato cittadino” e non di un pescatore. Una sottigliezza apparentemente di poco conto, ma così non è.
Da alcuni mesi la Capitaneria di porto ha ingaggiato una durissima (e per certi versi incomprensibile) battaglia contro i pescatori brindisini: non parliamo di quelli professionisti, ma di chi per diletto, passione o qualche volta esigenze di sopravvivenza, con la canna, oppure con una semplice lenza, si affaccia su una scogliera o una banchina con la speranza di tornarsene a casa con qualche cefalo o un’orata, se si ha fortuna magari un saraghetto, ma che spesso si deve accontentare di qualche “cuggione”.
Per pescare da terra, data la particolare conformazione della costa brindisina che non presenta scogliere adeguate, ci si deve necessariamente recare nell’area portuale esterna, su uno dei due versanti: quello che dalla periferia sud di Brindisi costeggia la zona industriale sino a Costa Morena, o quello nord che arriva sino alla diga di Punta Riso, due chilometri e 100 metri di banchina a strapiombo sul mare aperto.
Il problema è che ognuna di queste zone è considerata a tutti gli effetti parte integrante del Porto di Brindisi, anche quelle più estreme ed esterne. Il 2 agosto 2013 l’allora comandante della Capitaneria, Giuseppe Minotauro, emanò una lunghissima ordinanza (la n.72) su “Nuovo sistema di instradamento e disciplina del traffico in ingresso e uscita del porto di Brindisi e misure di interdizione delle aree marine circostanti”. Nell’articolo 10 dell’ordinanza di legge che “all’interno del Porto è vietata qualsiasi forma di pesca, sia sportiva che professionale”.
Un’ordinanza condivisibile, laddove (come in altre città sul mare) è vietato fare il bagno e pescare nel porto interno. A Brindisi invece non viene fatta alcuna differenza tra porto interno (quello per intenderci a forma di cervo), porto medio e porto esterno, bollando come illegale qualsiasi forma di pesca, persino dalla diga di Punta Riso che si trova in mare aperto.
L’ordinanza del 2013, che prevede una sanzione amministrativa di 17 euro per chi fosse “sorpreso” a pescare in una qualsiasi zona del porto di Brindisi, finora era stata raramente applicata. Con buon senso, oseremmo dire, perché potrebbe essere paragonata alla norma del codice della strada che prevede una multa per il pedone che attraversa fuori dalle strisce zebrate. Da qualche settimana una squadra “speciale” della Capitaneria ha iniziato a sanzionare i pescatori dilettanti, infliggendo una raffica di multe. Ma non è il solo problema, anzi non il più rilevante.
A gran parte dei pescatori viene irrogata infatti una sanzione di ben 2.064 euro, scomodando persino il Codice della navigazione. Cosa viene contestato di così grave? “Violazione di una zona portuale sottoposta a security”. Le nuove norme per la sicurezza delle aree portuali hanno determinato l’estensione della zona considerata sensibile e posta sotto la tutela dell’Authority. Una parte è stata recintata e dunque per accedervi sarebbe necessario scavalcare le grate compiendo consapevolmente una grave violazione. Ma gran parte dell’area considerata di “security” non solo è priva di qualsiasi grata ma anche di cartelli che vietino l’accesso. Ciò nonostante, solo nell’ultimo ponte di Ognisanti, una decina di pescatori “della domenica” sono stati multati dalla Capitaneria nella zona tra Costa Morena e l’impianto Versalis, sia di 17 euro per pesca non autorizzata, ma soprattutto di oltre 2.000 euro per violazione della security.
Ai ricorsi presentati davanti al giudice di pace, i pescatori hanno allegato prove fotografiche che documentano come la zona sia priva di cartellonistica che segnala l’area demaniale o un’area sottoposta a security o vigilanza.
Mentre gli operatori portuali e i pescatori professionisti sono tenuti a conoscere esattamente le zone inaccessibili, il “privato cittadino” (come veniva indicato il pescatore autore della telefonata che segnalava la chiazza nera in mare) è tenuto a rispettare la cartellonistica e le recinzioni che impediscono l’accesso. In assenza di quelle come si può giustificare una sanzione?
E’ legittimo che la Capitaneria si preoccupi di far rispettare le norme, ma forse oltre che dei codici sarebbe necessario qualche volta munirsi anche di buon senso. Sarebbe auspicabile che lo stesso impegno venisse dedicato ai veri pescatori illegali, anzi “criminali”, che devastano le scogliere brindisine per raccogliere datteri. In molti rinomati ristoranti locali le linguine ai datteri restano uno dei piatti più richiesti. Sarebbe interessante capire da dove provengono quei mitili.
Spesso arrivano proprio da quelle scogliere che costeggiano le banchine del porto, dove i pescatori con la lenza vengono multati e i vandali con martelli e scalpello proseguono indisturbati il loro lavoro subacqueo, provocando – loro sì – danni gravi e irreparabili.