Omicidi Cairo e Spada: anche una «trappola» mediatica per incastrare i due killer

di GIANMARCO DI NAPOLI per il7 Magazine

“Che dici, amo’, stanotte vengono?”.
“No, ancora no””.
“La bocca tua di zucchero, di miele”
“Ma a te ti portano a Brindisi o a Lecce?”
“Eh, ma non lo so”
“Mhh, qua saresti stato a casa, per dire, alla fine, al carcere di qua. Acqua calda, il bagno”
“Non c’è carcere di sicurezza qua. Che là un pipito è. Quanto ti pensi che è? Che qua veramente a tre stelle è”
“Proprio vecchio sto carcere, amore mi’”.
Il dialogo, a tratti surreale, viene registrato da una microspia della Squadra mobile alle 22.30 dello scorso 20 gennaio, nella stanza da letto di Enrico Morleo, in via Adige, al rione Perrino. Sarebbe lui il killer spietato che ha ucciso a coltellate e fatto a pezzi con una motosega l’imprenditore Salvatore Cairo e poi ammazzato con un colpo di pistola alla testa Sergio Spada, anche lui imprenditore. Lei è la moglie che ne custodisce i segreti, cosciente di quella orribile mattanza. Parleranno molto per giorni, non sospettando di essere ascoltati, in quella che il pm Milto De Nozza considera una prova-chiave per l’incriminazione di Morleo e anche del fratello Cosimo, considerato il mandante del duplice delitto: “E’ un dialogo intercorso tra coniugi che, a notte fonda, chiusi nella propria camera da letto (domicilio eletto di tutte le confessioni, anche le più cupe) quindi in un contesto spazio-temporale del tutto genuino e spontaneo, manifestano reciprocamente le loro preoccupazioni per quello che appare essere un futuro reso incerto dalla decisione di un altro fratello, Massimiliano, di collaborare con la giustizia”, si legge nel provvedimento restrittivo firmato dal magistrato della Dda di Lecce.
Gli omicidi degli imprenditori Cairo e Spada, avvenuti a poco più di un anno di distanza l’uno dall’altro, a cavallo tra il 2000 e il 2001, rappresentano un caso unico nella pur sanguinaria storia delle esecuzioni criminali avvenute a Brindisi a partire dalla fine degli anni Ottanta. Perché le vittime non erano malavitosi, non svolgevano attività illecite. Ebbero solo il torto di incrociare gli interessi di chi, nel loro stesso campo, aveva investito i proventi illeciti del contrabbando di sigarette.
Ma anche le modalità con cui, dopo vent’anni, si è riusciti a identificare e arrestare i presunti responsabili, sono inedite e per certi versi assolutamente innovative. Perché per chiudere il cerchio sui killer è stata necessaria anche una specie di messinscena che si è rivelata poi decisiva.

CAPITOLO I – IL PENTIMENTO
Il punto di partenza dell’indagine è la decisione di Massimiliano Morleo di collaborare con la giustizia. E’ lui che. nel settembre 2021, scrive dalla casa circondariale di Taranto al pm Milto De Nozza, che lo ha arrestato mesi prima con l’accusa di essere un boss della droga, manifestando l’intenzione di intraprendere un percorso di collaborazione con la giustizia “per fatti esterni accaduti precedentemente alla carcerazione”. Morleo ovviamente non sa che De Nozza, attualmente alla Dda di Lecce, è uno dei magistrati che a Brindisi si occupò proprio degli omicidi Cairo e Spada. Ossia di quelli su cui fare rivelazioni.
La famiglia Morleo è uno dei clan storici del contrabbando di sigarette a Brindisi, un gruppo coeso all’epoca capeggiato dai genitori Natale e Lucia Allegrini, entrambi più volte arrestati. E poi – secondo le informative investigative – passato sotto il controllo del fratello maggiore Pino. Una famiglia insomma in grado di incutere timore da decenni, tanto che nell’ordinanza si paragona gli omicidi di Cairo e Spada all’uccisione, ad opera del compagno, di Lea Garofalo, testimone di giustizia i cui resti furono trovati a Milano in un tombino. In particolare Cairo “non doveva essere semplicemente ucciso, ma essere tolto dalla faccia della terra”.
Massimiliano Morleo, davanti al magistrato e agli investigatori della squadra mobile fornisce due elementi fondamentali: per l’omicidio Cairo racconta che trovandosi in affidamento in prova nell’azienda «Il Fuocolare» del fratello Cosimo, l’altro fratello Enrico gli confidò di aver ucciso lì l’imprenditore perché lo aveva ordinato Cosimo. Sull’omicidio Spada riferisce che quella sera venne prelevato dal fratello Cosimo e che passando davanti alla stazione di servizio Ip sulla circonvallazione, gli indicò un corpo a terra (il cadavere venne scoperto solo il mattino dopo), era quello di Spada. E che poi il fratello Enrico gli confidò di essere stato lui “a fare quello che doveva essere fatto”, perché Cosimo gli aveva promesso 60mila euro per compiere quell’omicidio.
Le dichiarazioni di Massimiliano Morleo soo subito ritenute attendibili, tanto che viene avviato l’iter per inserirlo nel programma di protezione. E sono anche sufficienti a ottenere la riapertura le indagini su entrambi gli omicidi, archiviate più di tre lustri addietro. Ma non paiono assolutamente sufficienti, da sole, a incastrare i due presunti responsabili. E’ passato troppo tempo, il cadavere di Cairo non né mai stato trovato, nel suo fascicolo c’è solo una dichiarazione di morte presunta. E per la morte di Spada non ci sono testimoni, né all’epoca si poteva fare affidamento su telecamere di videosorveglianza. Era necessario lavorare alla vecchia maniera.
Il primo passo è così quello, già questo assolutamente fuori dall’ordinario, di ricostruire la stessa squadra investigativa che si era occupata dei due casi vent’anni fa. In particolare viene richiamato a Brindisi il vicequestore Vincenzo Zingaro, che all’epoca lavorava alla Mobile e che è attualmente in servizio presso la questura di Matera. Zingaro affianca così nelle indagini l’attuale capo della Mobile, Rita Sverdigliozzi.
Il secondo passo è recuperare i faldoni impolverati dagli archivi e ripartire da zero, rileggendo i contenuti delle decine di interrogatori effettuati dopo la sparizione di Cairo e all’indomani dell’omicidio di Spada. Da molte delle testimonianze raccolte si ha la sensazione che sin dal primo momento era stata posta l’attenzione proprio sui rapporti commerciali dei due imprenditori con la famiglia Morleo, con Cosimo in particolare. E che entrambi sembravano essere caduti in disgrazia per alcune scelte che rischiavano di mettere in difficoltà il monopolio cui aspirava Morleo nel commercio dei casalinghi e dei corredi. Ma, oltre a questa sensazione, non c’era alcuna prova utilizzabile a supporto delle accuse del collaboratore di giustizia.

CAPITOLO II – IL TESTIMONE
L’attenzione degli investigatori si concentra a questo punto, tra le tante, sulle dichiarazioni rese da un uomo, che all’epoca aveva solo 18 anni, e che era dipendente della MC Europe, la ditta che aveva sede presso lo stesso deposito di legna in cui secondo Massimiliano, Enrico aveva ucciso Cairo. Il ragazzo addirittura dopo la scomparsa di Cairo era stato nominato amministratore unico della ditta. Un incarico strano per un diciottenne.Negli interrogatori il giovane aveva riferito di aver incontrato effettivamente quel giorno Cairo in azienda, di avergli caricato nell’auto la fornitura di pentole acquistate quella stessa mattina e di non aver visto poi più la vettura, lasciando intendere che Cairo fosse andato via.
L’uomo, che oggi è un quarantenne, viene così convocato in questura, interrogato, ma fornisce esattamente la stessa versione di vent’anni prima. Viene convocata e ascoltata anche la moglie che non fornisce ulteriori elementi. Ma la scelta di chiamare anche lei si dimostrerà decisiva per dare una svolta all’inchiesta. La squadra mobile infatti piazza delle cimici in casa della coppia e ascolta le conversazioni. La donna non sa davvero nulla di quello che è accaduto, ma non credendo alla versione del marito, lo sprona ripetutamente a raccontare tutto ciò che sa. Ma sarà determinante a convincere il marito a liberarsi di un peso.
“Quello è convinto che tu sai qualcosa o l’hai vista”, gli dice la moglie una volta tornati a casa dopo il primo interrogatorio. “Io capisco il fatto che hai paura, magari che all’epoca hai avuto paura perché erano parenti, mezzi parenti, però giustamente quello dice dopo 20 anni che tu non hai rapporti più con questi cristiani, comunque se tieni una famiglia, i bambini, cioè tu rischi di andare, non rischi, sicuramente andrai a processo per un favoreggiamento di un omicidio?”: la donna invita il marito a pensare bene alla gravità della sua posizione di testimone, riferendo di aver detto agli investigatori che si augurava che suo marito non avesse visto nulla sull’omicidio di Cairo”.
Così dopo qualche giorno e dopo una serie di lunghi colloqui con la moglie durante i quali, la donna ha intuito che è terrorizzato da quanto accaduto, il testimone torna in questura tenendo per mano la compagna. Parla con il vicequestore Zingaro.
“Voglio chiedere scusa per le mie precedenti dichiarazioni, ma solo adesso sono riuscito ad avere la forza di liberarmi di un peso che porto con me da circa vent’anni”. Racconta che aveva solo 18 anni quando fu testimone dell’omicidio di Cairo e venne poi minacciato di morte dal killer, Enrico Morleo. “Quel giorno ho visto l’auto di Cairo ferma sulla pesa della legnaia. Sono entrato nel gabbiotto e ho assistito a una scena che non potrò mai dimenticare: il corpo vestito ma completamente insanguinato di Salvatore Cairo disteso per terra a pancia in su e al suo fianco Enrico Morleo in piedi con un coltello in mano. Vicino al cadavere ho visto anche una motosega. A quel punto Morleo mi ha puntato contro il coltello completamente insanguinato e mi ha detto: se parli ti uccido o ti rendo complice”. Il testimone racconta di essere uscito sconvolto dal gabbiotto e di essere andato nell’attiguo magazzino della MC Europe. “Dopo un po’, avendo sentito dei rumori, sono tornato verso il gabbiotto: sul retro ho visto che vi era il corpo di Cairo fatto a pezzi, Enrico Morleo con in mano una sega a scoppio intento a tagliare la testa e qualche attimo dopo buttarla in un enorme recipiente in ferro. Indossava una tuta bianca completamente macchiata di sangue. Mi disse di prendere una tanica che era lì vicina e di buttare il contenuto per bruciare il corpo”.
Siamo al 12 gennaio 2022, quattro mesi dopo le prime accuse di Massimiliano Morleo e la riapertura delle indagini. Il racconto del testimone a questo punto potrebbe essere utile, forse, per accusare formalmente Enrico Morleo dell’omicidio di Salvatore Cairo e della distruzione del cadavere. Ma non c’è alcuna prova spendibile della responsabilità di Cosimo come mandante e nessun riscontro sul fatto che i due siano anche gli assassini di Sergio Spada. Gli inquirenti a questo punto si trovano davanti a un bivio: accontentarsi dell’arresto di Enrico Morleo o alzare ancora l’asticella e giocarsi il tutto per tutto. Ma serve una confessione, anche se non consapevole.

CAPITOLO III – LA TRAPPOLA
Sulla scorta della deposizione del testimone, la Procura ottiene dal gip l’autorizzazione a effettuare intercettazioni ambientali nell’abitazione di Enrico Morleo, a quel punto formalmente sospettato di omicidio premeditato aggravato e occultamento di cadavere. E già il 20 gennaio, quando iniziano le registrazioni, Morleo e la moglie discutono preoccupati. La notizia del pentimento del fratello Massimiliano circola negli ambienti, anche se non è stata ancora ufficializzata. I due cercano di tranquillizzarsi reciprocamente, convinti che se «l’infame» ha raccontato di quegli omicidi sono trascorsi ormai vent’anni e non ci sono prove. Dalle loro conversazioni emergono subito elementi che confermano i sospetti e le dichiarazioni di Massimiliano, ma non tali da costituire una prova.
A questo punto viene organizzata la più spettacolare delle trappole. Sabato 22 gennaio decine di poliziotti piombano nel luogo in cui si trovavano il deposito di legna e quello di casalinghi dei Morleo, il luogo del delitto insomma. Attualmente occupato da una ditta del tutto estranea a quegli avvenimenti. Il blitz, che in situazioni analoghe sarebbe stato compiuto nel massimo riserbo, è volutamente mediatico. Arrivano le televisioni, i siti internet, i giornali. Gli investigatori sanno bene che in quel posto non troveranno nulla: sono trascorsi 22 anni, cambiate tante proprietà.
Ma più che vedere, i poliziotti vogliono ascoltare. In particolare la reazione di Enrico Morleo.
E lo stato d’animo di marito e moglie effettivamente cambia quando vengono a conoscenza del fatto che la polizia ha individuato il luogo. Temono subito che possano risalire a quel ragazzo che lavorava nell’azienda e che aveva assistito all’orrendo delitto. Sanno perfettamente che è l’unico che può incastrarlo. Un dialogo che accredita così pienamente quella testimonianza. Nei colloqui notturni con la moglie Morleo fa più volte riferimento al delitto Cairo. Ma non a quello di Sergio Spada.

CAPITOLO IV – IL GIORNALE
A far crollare definitivamente Morleo, stanno agli atti d’indagine, è un articolo del nostro giornale, “il7 Magazine”, pubblicato on line il 27 gennaio 2022 nel quale per la prima volta viene indicato Massimiliano Morleo come nuovo collaboratore di giustizia e viene rivelato che avrebbe fatto i nomi degli autori degli omicidi di Cairo e Spada. Nell’articolo viene pubblicata una descrizione dettagliata delle due azioni criminali. (qui il link dell’articolo https://bit.ly/3J5sliV)
I poliziotti quel giorno stesso intercettano una conversazione in cui Morleo ascolta la moglie che le legge ad alta voce l’articolo. Quando arriva al punto in cui è scritto “L’omicidio di Salvatore Cairo è collegato secondo gli investigatori al delitto di Sergio Spada”, lui chiede preoccupato se il giornale colleghi i due omicidi alla stessa mano: “Non dice gli stessi cristiani, no?”. E quando lei legge che il “killer attendeva Spada sotto casa”, lui le chiede se l’articolo si riferisca a un solo “killer” oppure a più “killers”, tranquillizzandosi solo dopo aver compreso che si faceva riferimento a più soggetti. Alla fine Morleo chiede alla moglie di cancellare l’articolo dal telefonino per evitare che qualcuno possa capire che si sono interessati a quella vicenda: “metti che aprono, vedono quella e vedono che si sta interessa”.
Nei giorni successivi Morleo è sempre più preoccupato, al punto che parla con la moglie senza più alcuna precauzione e tira in ballo il fratello Cosimo come mandante. Viene fuori che, dopo quelle notizie, il fratello Pino, considerato il vero capo della famiglia, abbia chiesto a Enrico di accollarsi entrambi gli omicidi senza coinvolgere Cosimo. Arrivando persino al punto – dice sempre Enrico – di spingerlo a suicidarsi per chiudere la storia. Ma lui non ci sta. E la moglie gli consiglia di pensare solo a se stesso anche perché aveva saputo che Cosimo aveva venduto tutto ed era intenzionato a fuggire.
Il quadro è completo, il cerchio è chiuso, la trappola ha funzionato. Ora la procura e la polizia hanno tutti gli elementi per arrestare i fratelli Morleo.

CAPITOLO FINALE – IL MOVENTE
Non ci addentreremo troppo nelle questioni economiche che rappresentano il movente di due terribili omicidi. E’ sufficiente sapere che né Salvatore Cairo né Sergio Spada avevano nulla a che spartire con il mondo della criminalità. Entrambi avevano fatto affari con Cosimo Morleo, Cairo ne era stato anche socio. Quest’ultimo fu ucciso per aver violato il divieto imposto da Morleo che per cinque anni gli aveva proibito di costituire una propria società per la vendita di casalinghi. E Cairo ne aveva creata una a sua insaputa. Spada venne punito per aver avviato contatti commerciali con due società fornitrici in quel momento legate a Morleo con un rapporto di esclusiva. Motivi che non potrebbero mai giustificare un omicidio.
I delitti di Salvatore Cairo e Sergio Spada rappresentano probabilmente il momento più nero della storia recente di questa città e rischiavano di restare per sempre senza colpevoli. Ora le famiglie dei due imprenditori, devastate da quegli eventi, potranno almeno guardare finalmente negli occhi chi ha portato via in maniera così sanguinaria e spietata i loro cari.