di GIANMARCO DI NAPOLI per IL7 Magazine
La foto più famosa, quella in costume da bagno con la fascia tricolore, è seminascosta tra un mobile e una parete. L’angolo studio è invece dominato da una gigantografia accanto al presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, in visita al Comune di Brindisi. E poi foto e fotine, pionieristici selfie anni Novanta, diplomi e riconoscimenti, chincaglierie nella libreria e crest inchiodati al muro. Fino al 3 ottobre 2003, questa elegante palazzina di via Cesare Braico era meta di un incessante pellegrinaggio di potenti e di morti di fame, di politici e aspiranti tali, di giornalisti e di lacchè. Giovanni Antonino non era solo il sindaco, era il sovrano di Brindisi, ne era il padrone. Quando quella mattina di ottobre fu arrestato per tangenti, il figlio Gabriele aveva dieci anni. Per altre due volte avrebbe visto il padre portato via dai carabinieri, l’ultima nel 2007.
Quindici anni dopo quel ragazzino è diventato consigliere comunale con 1.870 preferenze, mai nessuno come lui a Brindisi. Il padre intanto ha rifondato uno dei partiti nazionali storici, il Pri (quello di La Malfa e Spadolini) che ha raccattato dalla spazzatura della politica italiana. Quanto c’è davvero di Gabriele in quel successo? E quanto conta oggi Giovanni Antonino?
La condizione dell’intervista era che sarebbe stata una conversazione a viso aperto, senza remore nelle domande, e senza censure nelle risposte. Ecco cosa ne è venuto fuori.
(P.s. Per maggiore chiarezza, e questioni anagrafiche, ci siamo rivolti al padre dandogli del lei e al figlio del tu)
Giovanni Antonino viene convenzionalmente indicato come “Il peggiore di tutti” (come da titolo del suo libro scritto nel 2004 quando era ancora in carcere, oltre duemila copie vendute, Senzacolonne Editore, incasso interamente devoluto in beneficenza).
Cosa è stato trasmesso del “Peggiore di tutti” nel figlio Gabriele, il più votato di tutti?
Giovanni: “L’affetto della gente, che non lo capirà nessuno mai. Non lo capisce il mondo politico, non lo capiscono i potentati di Brindisi che non ho mai avuto vicino, chissà perché. Sono sempre stato visto come un intruso. Io ho un rapporto con la gente che non è usuale in politica: un politico di solito o è stimato o è odiato. Nel mio caso c’è l’affetto, il consenso deriva dall’affetto. Mi sono sempre sentito sopportato dai potenti: dava fastidio che un figlio di nessuno, che non ha mai voluto avere padrini politici, fosse riuscito a emergere sino a guidare la città. Ho sempre percepito questo, stavo sui coglioni a tutti, ero un’anomalia nel mondo politico la cui dipartita ha fatto comodo a tutti. Però con la gente ho un rapporto d’affetto ed è rimasto immutato dopo quindici anni. Gabriele se l’è conquistato quell’affetto. Noi abbiamo battuto a tappeto i quartieri, specie quelli periferici, tutte le contrade, sin da ottobre. Abbiamo incontrato tutte le categorie produttive. E lui c’è sempre stato. Tornare nei quartieri ha ricreato questo legame d’affetto. Io non mi sarei mai aspettato un numero di preferenze così. Mai. E sto gradualmente pagando con le cene le scommesse che ho perso. Io prevedevo dai 600 agli 800 voti”.
Gabriele: “Io credo che in questi anni le persone si siano sentite in un certo senso trascurate. A un certo punto hanno visto i politici, uno più anziano e l’altro più giovane, tornare a girare per i quartieri, entrare nelle case delle persone, anche perdere del tempo a parlare con loro dei problemi. Penso che anche tutto questo abbia fatto scattare quella scintilla, perché era proprio gente che aveva bisogno di sentire di poter contare su una sponda, su qualcuno con cui sfogarsi».
Quanto c’è di lui, di tuo padre, in te?
Gabriele: “Onestamente non saprei risponderle. Io prendo un grande esempio da mio padre, soprattutto in questo rapporto con le persone, perché è un legame vero che non è “adesso siamo amici perché ho bisogno del tuo voto e poi chi se ne frega”. Saper creare un legame è qualcosa di incredibile. Lui ce l’ha nel Dna, io spero di aver ereditato questa sensibilità da lui».
Ma di questi 1.870 voti quanti sono davvero tuoi?
Gabriele: “Gli osservatori non hanno visto tutto il lavoro che c’era davvero dietro. Si limitavano a leggere i suoi post su Facebook o i comunicati stampa. Intanto partiamo proprio dalla Federazione giovanile repubblicana dove c’erano più di 100 giovani, di cui molti avvicinatisi spontaneamente. Non c’è stato bisogno neanche di fare una campagna di tesseramento perché era una sorta di voce che si spargeva: si è formato un gruppo bello, di tanti giovani. Per il resto non lo so perché la campagna elettorale, a differenza di quello che si può pensare, non l’ho fatta solo con mio padre. Devo dire che ho avuto tanta gente che, spontaneamente, mi ha voluto dare una mano, quindi ho raccolto l’aiuto di tutti quanti. Credo che da solo un buon risultato l’ho portato a casa, non lo saprei quantificare data la mole immensa di voti, ma credo che ci sia un contributo importante anche da parte mia”.
E in te quando è scattata questa voglia di fare politica? Perché hai vissuto quando eri ragazzino la parte più negativa, immagino che sia stata anche scioccante, degli arresti, delle vicende giudiziarie.
Gabriele: “Ma io la politica l’ho sempre amata, dentro questa casa si è sempre respirata quell’aria, quindi volente o nolente è stato un passaggio spontaneo. Per altro è una cosa che abbiamo nel sangue perché anche mio nonno faceva politica attiva, mio zio Valerio, quindi credo che ci sia un legame tra gli Antonino e la politica che sta nel sangue. Questa passione ce l’ho già da piccolo. Già nelle due precedenti occasioni potevo avere la possibilità di candidarmi ma non mi sentivo ancora pronto, mentre questa volta ho avvertito dentro di me una scintilla che mi diceva “candidati perché è il tuo momento”.
Giovanni: “Sai qual è stata la cosa bella per me? Per il resto non me ne frega niente. Quando mi hanno arrestato lui aveva dieci anni, quindi ha seguito la parte più tragica. La cosa bella è stata che quando nei mesi scorsi andavamo nelle case o nei quartieri, ogni persona aveva un ricordo del rapporto avuto con me. Il vecchio dipendente comunale che ricordava che avevo ripristinato l’usanza di dare una medaglia d’argento ai 25 anni di lavoro. La gente che aveva la foto con me. Mi è capitato a Tuturano in una casa: “Questa stanza l’abbiamo inaugurata e tu venisti a pranzo”. E’ rimasto vivo questo ricordo, perché ho fatto molto il sindaco da strada e la gente questo non l’ha dimenticato. Ed era bello perché ognuno raccontava a Gabriele un particolare episodio che mi legava a loro. Mi ha fatto molto piacere. Lui aveva vissuto il clima di “Antonino il peggiore di tutti”. Potergli fare riscontrare che invece il legame era diverso, per me è stata una grande soddisfazione. In questi anni ho sempre cercato di promuovere l’arrivo in politica di qualche giovane, più di uno, tutti puntualmente eletti e tutti poi che mi hanno voltato le spalle subito dopo. In realtà, possiamo anche dirlo, sulla candidatura di Gabriele c’era il veto di mia moglie che non aveva mai voluto che lui entrasse in politica. Per timore, per questo benedetto cognome che temeva lo potesse condizionare. Sino a che, quest’anno non ha dato l’okay”.
Per le situazioni che ha vissuto, nel suo ruolo di padre, non ha pensato di mettere a rischio il futuro di suo figlio coinvolgendolo nello stesso momento in cui lei rimetteva decisamente piede in politica, rifondando addirittura il Partito Repubblicano. Non pensa che questa scelta possa creargli dei guai?
Giovanni: “A me è piaciuta molto questa cosa. Io, anche nelle riunioni, ho sempre parlato delle mie vicende personali, anche del carcere perché nascondere questi argomenti lo considero stupido. Io dicevo sempre che quasi mai la vita ti dà l’opportunità di ricominciare. Io avuto questa opportunità, cioè ricominciando dove tutto nacque, con il Pri. Mi piaceva che ci fosse un partito dove c’era il simbolo e basta, non c’era niente, quindi la possibilità di costruire tutto ex novo. Perché al di là di Antonino, tutto il resto che abbiamo costruito, lo abbiamo fatto con persone che mai avevano avuto prima a che fare con la politica. Molti mi sfottevano: Antonino vuole fare il poeta, vuole dare lezione agli altri. Mi sono divertito, mi è piaciuto, quando siamo arrivati alla campagna elettorale io mi sono sospeso dalla carica di partito e pensavo che questo fosse sufficiente».
Però ha dimostrato poi, anche con i post su Facebook (perché poi alla fine non riesce mai a controllarsi troppo), ha dimostrato che lei c’era ancora eccome.
Giovanni: “In quei post Gabriele non c’entra niente, non erano per supportare lui. Mi chiamavano altri candidati, mi dicevano di essere stati minacciati. Io stupidamente, perché dovevo fregarmene, però purtroppo non ci riesco, scrivevo”.
Ma lei non riescirà a starne fuori davvero.
Giovanni: “No, io adesso sono fuori. Adesso io vado alle riunioni, mi siedo, ascolto…”.
Non ci credo.
Giovanni: “Assolutamente sì, la classe dirigente che è nata è autosufficiente, io partecipo e ascolto”.
Neanche se la vedessi…
Giovanni: “Io voglio interessarmi di fatti nazionali per il partito. Io dalle vicende brindisine, dalle scelte amministrative, voglio stare lontano”.
Questo si scontra con il suo carattere
Giovanni: “Se hanno bisogno di qualche consiglio lo do, ma io voglio che questa gente sia proprio libera di muoversi come meglio crede”.
Gabriele, tornando sul discorso dell’arresto. Avevi dieci anni. Come vive un bambino un momento così drammatico in cui il papà dall’essere la persona più conosciuta della città all’improvviso ti alzi una mattina e sai che non è più in casa con te, che è in carcere.
Gabriele: “Credo che la prima volta fossi troppo piccolo per elaborare un pensiero su cose così grandi. Mi ricordo però che quella mattina non andai a scuola perché uno choc emotivo c’era stato. Quanto qualche giorno dopo tornai in classe trovai la solidarietà di tutti i compagni e di tutti i professori, questo fatto mi colpì e me lo ricordo con piacere, anche con parole di affetto nei confronti di mio padre. Quindi credo che nonostante l’arresto comunque anche questa sia stata una dimostrazione di quello che la gente provava nei suoi confronti. Dal punto di vista familiare, siamo una famiglia molto unita. Non ci sono mai state conseguenze, anzi. Ovviamente è stata dura ed è passata senza lasciare grosse conseguenze su di noi”.
Però tua madre non voleva che ripercorressi inizialmente la stessa strada.
Gabriele: “Credo che trovarsi eventualmente in quella stessa situazione con un figlio invece che con un marito sarebbe ancora più difficile. Quindi mamma è diventata prevenuta nei confronti della politica. Ma io le ho spiegato che non ha niente di cui avere timore perché nel momento in cui faccio politica e faccio le cose per bene, come sto facendo, dovrei essere al sicuro da rischi. Quindi la posso tranquillizzare. Ma credo che anche lei, vedendo tutto questo percorso che c’è stato negli ultimi mesi, alla fine si sia convinta della bontà del progetto e si sia sentita coinvolta. Perché anche lei ha fatto campagna elettorale per me, non solo mio padre”.
Giovanni: “Ma c’era una condizione però. Lui non doveva fare l’assessore. Questa era la condizione posta da mia moglie. Va bene il consigliere comunale, ma non deve avere responsabilità gestionali”.
Ma quando ci credi sul fatto che lui non farà niente?
Gabriele: “Ma è vero perché lo dice già da un po’ di tempo”.
Lo dice…
Gabriele: “Ma effettivamente è così. Il partito si avvia verso una fase congressuale, lui è sospeso…».
Giovanni: “Dimissionario…”.
Gabriele: “Dimissionario sì, dalla carica di segretario provinciale. C’è Tonino Nacci come reggente che comunque è una persona di esperienza».
In molti sostengono che lei sia stato uno dei politici, e soprattutto degli amministratori, più preparati, che avrebbe potuto fare molto per questa città e che invece ha vanificato tutto perché a un certo punto ha pensato di essere al di sopra di tutto, anche della legge, compiendo errori, terminando anzitempo la sua carriera politica e soprattutto determinando una serie di problemi dai quali Brindisi non si è ancora ripresa. Per sua responsabilità e per i danni all’immagine della città che le sono stati contestati anche sul piano giudiziale.
Giovanni: “Ho sprecato un’occasione. Me lo dicono in tanti. Ho fatto anche una serie di scelte poco politiche perché io mi reputo un buon amministratore e un pessimo politico, in quanto non ho mai concepito il compromesso, non sono mai stato un uomo di relazioni. Mi rimane sempre impressa una frase che Fabiano Amati mi disse proprio qui: “le mani che non puoi tagliare, stringile”. Io non l’ho mai fatto. Un altro mi disse: il peggior nemico di Antonino è Antonino. Purtroppo, spesso, il mio carattere impulsivo ha preso il sopravvento sulla razionalità e credo di aver sprecato un’occasione, anche personale, non candidandomi alla Camera nel 2001 quando tanti segnali mi dicevano: lascia il territorio e fai altro perché sei troppo ingombrante. Io ho avuto sempre la presunzione, sbagliatissima, di pensare che il consenso della gente fosse un’esimente per tutti. Una grande fesseria».
Lei viveva di questa sua immagine, al punto quasi da svolazzare in maniera narcisistica, e ha perso il controllo della situazione.
Giovanni: “Sì, io me ne sono accorto dopo, con franchezza. Ma in quei momenti non mi ero neanche reso conto del potere che gestivo, nel senso vero del termine. Quando torno sui fatti giudiziari, perché è inevitabile farlo, mi dicevano che qui c’era un clima di “corruzione ambientale” che era un po’ l’espressione che veniva usata a Milano ai tempi di Mani pulite, perché bastavano alcune mie decisioni per condizionare investimenti importanti. Ma io ho sempre detto: mi chiamavano tutti «Giovanni». Io non mi sono mai reso conto, in quel particolare momento, con gli interessi che c’erano su Brindisi enormi, di livello nazionale, di quale fosse il mio potere. L’ho capito dopo. Paradossalmente con il lavoro che faccio adesso: curando gli interessi delle aziende ho capito di che peso può avere l’amministrazione civica».
Però le sue vicende giudiziarie sono nate proprio dal fatto che lei poteva decidere ciò che voleva. E in alcuni casi infrangendo la legge.
Giovanni: “Era diventato un potere esorbitante. Eccessivo».
E ha perso il controllo.
Giovanni: “Io chiamavo la mia maggioranza, “maggioranza inconsapevole”. Le mie giunte duravano cinque minuti: tutti firmavano senza neanche chiedere di conoscere quello che stessero firmando. Perché volevo correre. Questo è un altro errore che ho fatto. Ogni giorno volevo alzare l’asticella, quando invece avevo tanto tempo davanti e le cose potevano essere più meditate e meno furbesche. Io spesso ho scelto una scorciatoia per arrivare a una soluzione a cui si poteva giungere tranquillamente rispettando di più i canoni della legge. Quella è una furbata che ho pagato per intero. Salvo a scoprire che tutti quelli che sono stati beneficiati, dal giorno dopo, non ti conoscevano più. Io sono uscito dal carcere e mi sono trovato solo. So-lo (sillabato, ndr). Ho fatto una scelta difficile che era quella di dimettermi da un ufficio pubblico, penso di essere stato l’unico in Italia a farlo, perché volevo rimettermi alla prova. Però la solitudine l’ho avvertita per un lungo periodo. Quando si parlava di me al telefono non lo si faceva mai con nome e cognome: “sto con quell’amico”, dicevano. In mia presenza. La gente aveva persino paura ad avere rapporti con me. E questo bagno di folla, questo tornare tra la gente, mi è servito molto. Anche a livello personale».
E l’etichetta di sindaco tangentista come la vive.
Giovanni: “Una cosa bruttissima, che non auguro venga trasferita a lui e per questo voglio defilarmi. Io non voglio essere la sua ombra. Lui deve svolgere la sua attività politica, in grazia di Dio, senza condizionamenti. Quando inaugurammo il comitato di viale Commenda, lui disse una cosa che fece commuovere le persone: “Finora sono stato il figlio di Giovanni Antonino, da oggi in poi voglio essere Gabriele Antonino. Io mi auguro che sia così”.
Nel percorso di crescita di un ragazzo c’è normalmente un periodo di conflittualità con il padre, tu hai vissuto un momento in cui gli hai detto: “Per colpa tua la nostra vita è cambiata” o qualcosa di ancora più doloroso, tipo ci hai rovinato la vita?
Gabriele (sorride): “Il nostro segretario cittadino mi ha detto qualche mese fa: prima o poi avrà lo scontro con tuo padre. Finora non c’è stato. Io l’ho sempre amato, a prescindere dall’incarico, dall’importanza o dal momento. E finora non ho mai avuto motivi di scontro con lui. Vedremo se ne avremo, politici, in futuro”.
Giovanni: “Lui è molto più rigido di me. Meno avvezzo al compromesso e per fortuna che è così. Molto meglio. Avrei dovuto essere anch’io così. Invece ho la tendenza ad accontentare, voler piacere”.
Qual è il difetto peggiore di tuo padre
Gabriele: “E’ troppo buono”.
No dai…
Gabriele: “E’ davvero così”.
Giovanni: “Il mio difetto è stato che pur di piacere ho fatto cose di cui non ero convinto. E’ un errore comune a molti politici a cui piace piacere. Invece dovevo essere come lui».
E invece il suo difetto qual è?
Giovanni: “Lui dice sempre le cose che pensa”.
Beh da questo punto di vista siete uguali. Quel post funebre su Rossi è stato di cattivo gusto.
Gabriele (sorride ancora): “Quando Rossi morirà sulla sua tomba scriveranno candidato. E’ stato strumentalizzato. E’ una citazione su Rossi che in politica gira da una vita, quella che continuava a candidarsi. Io non avevo assolutamente l’intento di offendere, mai e poi mai. Nel mio spirito ero ironico, evidentemente l’ironia non è stata compresa, poi è stato strumentalizzato e mi dispiace che sia passato quel messaggio perché io vittima sui social, di campagne diffamatorie a non finire, mai sarei capace di fare lo stesso».
Hai subito qualche conseguenza personale delle vicende giudiziarie di tuo padre?
Gabriele: “In certi ambienti ero più sopportato che ben voluto. Ho frequentato il Classico, quindi ragazzi di una certa classe sociale. C’era chi non mi ha mai dato problemi. E devo dire che, anche sul lavoro, nei miei confronti c’era sempre una certa curiosità. Mi è capitato di lavorare con persone che lui non lo potevano vedere proprio e che nei miei confronti erano un po’ titubanti, perché avevano questo astio verso di lui. Invece poi non ho avuto problemi perché nel momento in cui hanno conosciuto Gabriele non il figlio di Giovanni non hanno avuto niente da ridire».
Che lavoro fai?
Gabriele: “In questo momento sono disoccupato. Ho studiato giurisprudenza a Torino, poi ho smesso per motivi di salute. E ho iniziato a lavorare con la Protezione civile e poi non mi sono più fermato. Ultimamente lavoravo alla reception di una casa di riposo per anziani, ho dovuto mettermi in aspettativa per la campagna elettorale e poi non mi hanno rinnovato il contratto».
Il figlio di Antonino, il sindaco che «ha dato lavoro a tutti», è disoccupato. Suona strano.
Giovanni: “Mi dicono in tanti: possibile che tuo figlio non ha il lavoro? Tanti posti che hai dato? La gente non si rende conto che in politica quando cadi sei proprio fuori. Tutte queste grandi cortesie, queste grandi aziende».
Durante la proclamazione, ti sei sentito a disagio? Da un lato sei il figlio di Antonino, dall’altro il candidato più votato nella storia amministrativa brindisina.
Gabriele: “Innanzitutto mi ha fatto piacere la stretta di mano di Riccardo Rossi, i suoi complimenti e il suo in bocca al lupo. Ero più preoccupato su come venisse avvertita la mia presenza piuttosto che del mio ruolo. E invece ho trovato stima, più di qualcuno della maggioranza che io non conoscevo di persona è venuto a farmi i complimenti e gli auguri. Credo che mi venga riconosciuta una certa qualità”.
Voi siete i cattivi no? Antonino padre e figlio in antitesi ai buoni che sono Ennio Masiello e il figlio Mauro. Lo sentite un po’ il peso di questo confronto?
Gabriele: “Bisogna vedere se avessimo vinto noi come sarebbe andata”.
E perché non avete vinto?
Giovanni: “Io la sera dello spoglio ero qui a casa da solo, seguivo i risultati e quando lui ha superato i mille voti non vedevo l’ora che si fermasse la cifra perché ho capito: ho creato casino. E’ quello che mi rimprovera mia moglie: strafai sempre, dice. Le polemiche che sono seguite, pesantissime. Antonino corrotto, questa tendenza a far capire che Cavalera era una testa di legno e che quindi comandassi io. Cosa assolutamente non vera…”.
Sì, però anche qui c’era stato quel post suo su Facebook, il suo stavolta, dai toni inquietanti, in cui diceva quasi che dopo la vittoria tutti si sarebbero dovuti prostrare a lei.
Giovanni: “Io subito dopo il primo turno sono stato invitato caldamente a sparire».
Da chi?
Giovanni: “Da Cavalera, da D’Attis che in qualche modo era il leader della coalizione. Defilati, profilo basso, non rispondere, non usare più Facebook. Infatti a un certo punto ho iniziato a fare sul web solo cose idiote, tipo buongiorno, buona domenica. Il partito ha continuato a muoversi: su dieci eventi organizzati dopo il ballottaggio, otto li ha fatti il Pri. Però non c’ero più io perché non sono più andato, così mi hanno detto e così ho fatto. Ho conservato i messaggini: ho detto io lo faccio, non voglio essere di peso alla coalizione, ma guardate che nei quartieri popolari la mia assenza fisica sarà interpretata in un modo diverso. Noi abbiamo perso nei quartieri popolari, dove avevamo stravinto al primo turno, secondo me è stato un grande errore quello. Abbiamo perso al Perrino, al Sant’Elia, al Paradiso. Abbiamo retto solo a Tuturano perché intanto è rimasta la sezione del Pri aperta mentre hanno chiuso tutti, compatta. E avevamo una candidata della frazione, una ventenne, l’unica che poteva essere eletta. Quindi tutta la frazione ha votato Cavalera».
Cavalera era un candidato adeguato?
Giovanni: “Secondo me ha avuto paura di quel risultato eclatante di Gabriele e su Antonino non ha mai risposto, ha sempre svicolato. Qualcuno gli ha chiesto: che ruolo avrà Gabriele Antonino? E lui ha risposto: sarà un buon consigliere comunale. Detta così non era una buona risposta quando sapeva che il Pri aveva già detto dall’inizio che nessuno dei candidati al Consiglio comunale avrebbe fatto l’assessore. Poteva dire: il ruolo di Antonino lo deciderà il Consiglio comunale. La risposta a mio giudizio è stata intesa come “Cavalera sta scaricando Antonino”. Lui non se n’è reso conto forse, noi eravamo la prima forza della coalizione, con l’8,55% e tra l’altro la maggior parte dei voti concentrata su pochi candidati. Credo che dovesse dire la verità. Gli avevamo detto: non candidare nessuno che abbia avuto esperienza amministrativa, facendo anche i nomi. Invece qualcuno ha fatto il furbetto e li ha messi in lista alla fine. Per cui quando Rossi portava in piazza i suoi venti consiglieri presentandoli, Cavalera non poteva fare lo stesso perché sarebbero usciti i vecchi. Chi gliel’ha fatta fare?».
Ti aspetta il ruolo di consigliere comunale d’opposizione, ma in prospettiva tu lo vedi un Gabriele Antonino sindaco di Brindisi?
Gabriele: “Non le nascondo che il sogno è quello”.
Giovanni interviene: “Sì ma 25 anni c’ha, oh. Avanti ha tanti anni”.
Gabriele. “Stiamo parlando di futuro, non stiamo dicendo tra un anno”.
E quanta parte c’è in questo tuo sogno di ambizione personale e quanto di riprendere una strada interrotta e di riabilitare lui e quello che è successo in passato.
Gabriele: “L’ambizione sicuramente c’è ed è stata rinforzata dal risultato elettorale. E c’è anche, devo ammetterlo, la sensazione di un’opera incompiuta, come se il rapporto tra un Antonino e la città non sia stata completato”.
Un’incompiuta in malo modo per altro. Una strada interrotta bruscamente e non per questioni politiche.
Gabriele: “Interrotta bruscamente, sul compiuta male non lo so perché effettivamente poi la città ha continuato a campare delle sue opere. Quindi il segno positivo è rimasto”.
Giovanni. “Io sul futuro sono nell’ottica che bisogna aspettarsi dieci anni di governo di Riccardo Rossi. Io la vedo così. E in linea generale, lasciamo perdere la politica. E’ quello che serve alla città. La mancanza di continuità amministrativa è un danno micidiale. Non si finisce mai un programma. Io sono convinto che questa maggioranza sarà compatta e che durerà anche per due mandati. Credo che Rossi andrà a fare anche il presidente della Provincia e il problema si porrà tra dieci anni, non nell’immediato».
Lei suo figlio sindaco come lo vedrebbe.
Giovanni: “Secondo me è assolutamente prematuro. Io oggi credo che il sindaco sia la figura istituzionale meno tutelata, quella in cui si assumono più rischi».
Non la vedo molto convinto.
Giovanni: “Molto meglio altri percorsi. Uno può ambire alla regione, al Parlamento».
Quindi almeno non siete d’accordo su questo. Ma ne avevate mai parlato prima o no?
Gabriele: “Sinceramente no”.
Cioè tuo padre lo sta apprendendo in questo momento.
Gabriele annuisce.
Giovanni: “Oggi, specie a Brindisi che è una città dai mille problemi, fare il sindaco è difficilissimo. Io non invidio nessuno che si va a cimentare con questo ruolo. All’inizio è tutto bello, poi ti ritrovi ad avere la vita stravolta, a subire pressioni, in molti casi anche minacce. La disperazione che c’è, che ho ritoccato con mano, forse si è pure aggravata».
Qual è la promessa che Giovanni Antonino fa al figlio?
Giovanni: “Che non lo condizionerò mai”.
Ma è sicuro di poterlo fare?
Giovanni: “Assolutamente”.
E invece tu che promessa fai a tuo padre?
Gabriele: “Di non diventare come gli altri”.
E di non diventare come lui?
Gabriele: “Ma lui era diverso. La politica, soprattutto a Brindisi, sia fatta da microinteressi e di piccole cose. Io credo che si sia distinto anche per quello e vorrei da questo punto di vista distinguermi come lui”.
Quindi dovresti prendere da lui la parte buona e scartare il resto…
Giovanni: “La promessa che mi deve fare è che si deve riscrivere all’università».
Gabriele: “No, no”
Ma non per fare l’avvocato eh…
Giovanni: “No, a lui piace storia. Perfetto, una laurea in storia va benissimo”.
Gabriele: “Gli ho dato mandato di trovarmi una facoltà in cui non ci sia obbligo di frequenza. Ancora sto aspettando la risposta”.