di Gianmarco Di Napoli per IL7 Magazine
I fedeli accorsi per il rito del Giovedì Santo sono rimasti perplessi. Il parroco, in apertura della messa, ha parlato di un sacerdote “buono e bravo” (come lo ha definito) perseguitato in maniera ingiusta. E ha letto una lunga lettera nella quale quel sacerdote, condannato in primo grado a otto anni di carcere con l’accusa di reati sessuali compiuti su un chierichetto, proclamava la sua innocenza e chiedeva il sostegno dei suoi confratelli.
Il nome del prete-imputato non è mai stato fatto in chiesa ma in molti hanno capito che si trattava di don Francesco Caramia, ex parroco di Bozzano.
La chiesa in cui la celebrazione eucaristica del Giovedì Santo è stata aperta in maniera così singolare è una di quelle più a sud appartenenti all’arcidiocesi di Brindisi-Ostuni: Santa Maria Assunta di Salice Salentino. Il sacerdote che officiava il rito non è un prete qualunque: don Carmine Canoci, oltre 40 anni di sacerdozio alle spalle, è il “vicario salentino” delle parrocchie di Cellino, Guagnano, San Donaci, Leverano, San Pancrazio Salentino, Villa Baldassarri, Salice Salentino e Veglie. Dunque un sacerdote di riferimento per la Curia.
Don Carmine celebrava il rito detto “in coena domini”, la messa della Cena del Signore, quella durante la quale il sacerdote effettua la lavanda dei piedi a dodici persone.
Insomma un rito fondamentale, tra i più importanti delle celebrazioni pasquali. Canoci, in apertura della messa che per altro esalta anche l’importanza della funzione del sacerdozio, ha parlato a braccio ai fedeli, spiegando che, come spesso capita ai sacerdoti, voci infondate ne macchiano l’immagine. E ha ricordato che anche a lui erano accadute in passato vicende (che non hanno nulla a che fare con i reati penali contestati a Caramia) in cui voci infondate avevano rischiato di metterlo in cattiva luce.
Una sorta di arringa difensiva per Caramia, dunque, durante la quale i numerosi fedeli hanno ascoltato sorpresi ciò che il loro parroco stava dicendo. Quindi Canoci è passato alla lettura della missiva che l’ex responsabile della chiesa di Bozzano ha inviato la scorsa settimana all’arcivescovo Domenico Caliandro e ad alcuni parroci e sacerdoti dell’arcidiocesi di Brindisi-Ostuni e della quale IL7 Magazine aveva dato notizia nel numero della scorsa settimana.
Come mai don Carmine Canoci ha deciso di leggere ai fedeli una lettera così delicata e per giunta nel corso di una celebrazione eucaristica pasquale? E l’arcivescovo Caliandro era al corrente della decisione del sacerdote di riferimento per l’attività delle parrocchie che si trovano nei comuni a cavallo tra le province di Brindisi e Lecce?
Esiste un forte e radicato legame tra i vertici della Chiesa brindisina e Salice Salentino. Il Comune leccese infatti, insieme a quello di Ostuni, è stato l’unico di tutta l’arcidiocesi a concedere la cittadinanza onoraria al precedente arcivescovo, Rocco Talucci. La decisione venne presa dal Consiglio comunale quando già Talucci aveva presentato le dimissioni per raggiunti limiti di età, nel dicembre 2012.
La lettera di Caramia (che è agli arresti domiciliari nella sua abitazione di Mesagne) è stata inviata alla fine dello scorso mese di marzo e alla vigilia del processo in Appello nel corso del quale la sua difesa, rappresentata dagli avvocati Giancarlo Camassa e Rosanna Saracino, cercherà di ribaltare le accuse che in primo grado hanno portato alla condanna dell’ex parroco di Bozzano a otto anni di carcere. I fatti risalgono agli anni 2008 e 2009: il sacerdote è stato riconosciuto colpevole di avere abusato di un chierichetto che all’epoca aveva otto anni. La denuncia fu presentata da un pediatra e poi confermata dalla vittima.
L’arcivescovo Domenico Caliandro, dopo la condanna di primo grado, diffuse una nota con cui l’arcivescovo e tutta la Chiesa diocesana di Brindisi-Ostuni comunicavano di «apprendere con tristezza la notizia della condanna in primo grado di giudizio del sac. Francesco Caramia, in merito alle gravi accuse che gli erano state mosse. Il rispetto per l’operato della magistratura unito al senso profondo delle istituzioni ci ha portato ad attendere in silenzio l’esito del processo. Ora – prosegue la nota della diocesi – prendiamo atto della sentenza, esprimendo anzitutto sentimenti di vicinanza e di dolore nei riguardi di chi è stato vittima di questi abusi, che ledono fortemente la crescita delle persone e sono radicalmente contrari all’insegnamento del Vangelo. La Chiesa ribadisce il suo impegno ad andare fino in fondo, quando avrà elementi certi di crimini commessi da membri del clero, specialmente se è offesa la dignità dei piccoli. Nello stesso tempo, chiede ad ogni persona di buona volontà di saper sostenere il lavoro e l’umile testimonianza di tanti sacerdoti fedeli alle loro promesse, che donano ogni giorno la loro vita a servizio di Dio e del bene di tutti».
Nella sua lettera, Caramia scrive tra l’altro: “Ora io non desidero altro che chiedere scusa, alla mia Chiesa-famiglia, all’arcivescovo e a ciascuno di voi confratelli per questa ennesima vergogna che inevitabilmente siete chiamati a subire. Ci sarebbero tantissimi motivi per cui sarebbe giusto un simile dolore, che io soffra così, ma non per quello che mi accusano. Io non ho mai, in nessun modo, fatto del male a chi mi accusa, né ad altri. So che per i fatti che mi sono state attribuiti il sentimento popolare è molto severo e voglio comprendere anche le vostre prudenze: per molti, in questi casi, pur sempre orrendi, tutto ciò che meno della forca è sempre troppo poco! Sono nelle mani della giustizia umana, della quale devo fidarmi ancora. Attendo la data dell’udienza in Appello. Grazie a quelli che mi sono rimasti vicini. Posso pertanto ben capire, senza un tono polemico, che le deplorevoli vicende di cui sono stato protagonista possano aver indotto alcuni di voi a prendere le distanze. Ciò mi fa ancora di più ringraziare coloro, e sono davvero in tanti, che mi mandano a salutare, mi scrivono, mi chiamano e mi rendono presenti in svariati modi, anche materiali. Gocce d’acqua in un oceano di dolore ma indispensabili nella mia situazione! Siamo sempre famiglia… siamo sempre fratelli”.
Il parroco di Salice Salentino è stato l’unico che ha dato seguito a quest’appello, ma lo ha fatto in maniera quantomeno discutibile. Per altro non spendendo alcuna parola nei riguardi del ragazzino che, secondo la sentenza di primo grado, sarebbe stato violentato dal sacerdote. Un comportamento sul quale la Curia dovrebbe chiarire formalmente la sua posizione e spiegare se l’arcivescovo fosse stato informato della decisione del suo parroco.