La Giornata nazionale della Memoria delle Vittime del Covid, celebrata giovedì 18 marzo a un anno esatto dal drammatico corteo di mezzi militari che a Bergamo fu immortalato mentre trasferiva centinaia di bare verso i forni crematori (e alla quale abbiamo aderito con un’altra foto che noi riteniamo simbolo, quella del sindaco di Cisternino che rende omaggio solitario in un cimitero blindato a due deceduti, nella copertina di questo giornale) appare una di quelle scelte estemporanee e tutto sommato inutili, in questo momento. In futuro, speriamo molto prossimo, quando il virus sarà finalmente debellato, ricordare i milioni di persone che nel mondo sono state uccise dal Covid sarà un impegno e un dovere di ognuno dei sopravvissuti e fissare una data, che ricordi all’umanità questa tragedia immane – simile a un conflitto mondiale – sarà importante quasi quanto la Giornata della Memoria delle vittime dell’Olocausto. E come quest’ultima non potrà che essere determinata per tutto il mondo da una risoluzione dell’assemblea delle Nazioni Unite e non dalla commissione Affari costituzionali del Senato italiano.
Intendiamoci, non che sia ingiusto commemorare. Ma è importante farlo per mantenere nella “memoria” eventi che sono stati già superati e che rischiano di essere dimenticati. In questo caso invece la memoria dei morti da Covid è ancora, purtroppo, un esercizio quotidiano. Basta osservare il conteggio aggiornato in tempo reale sulla pagina della Protezione civile. La cifra che riportiamo nel titolo della nostra copertina, quella dei morti in Italia, l’abbiamo aggiornata più volte in poche ore, sino al momento di chiudere il giornale. E anche quella delle vittime brindisine. E’ insomma come inaugurare un monumento ai Caduti in guerra mentre i soldati sono ancora al fronte.
Non è ancora questo il momento di ricordare ma di combattere. E per uno strano scherzo del destino, a un anno di distanza dalla fase acuta della prima ondata di coronavirus, quando i nostri operatori ospedalieri e del 118 (medici, infermieri, oss) furono chiamati ad affrontare per primi l’emergenza, quando ancora il sistema sanitario non era preparato a combattere un’epidemia senza precedenti, sono di nuovo loro a gestire quella che potrebbe essere la battaglia finale, per fronteggiare la terza e, si spera, ultima ondata maledetta. La partita si sposta nelle prossime due settimane nelle corsie degli ospedali che sono ormai in affanno. E prima ancora nelle stesse abitazioni, dove centinaia di pazienti vengono curati dalle squadre di eroici medici-ragazzini dei team Usca. Fondamentale anche il loro lavoro.
La percentuale dei malati Covid nelle Terapie intensive delle strutture pugliesi ha superato ampiamente la fascia critica e si rischia si saturare i reparti. Per questo bisogna curare bene a casa e fare miracoli in corsia.
In questa sfida nuova sfida che vede in campo gli operatori sanitari c’è però una differenza sostanziale rispetto a quella dello scorso anno: essi oggi sono praticamente immuni alla malattia. In quei giorni di marzo 2020 curarono i primi malati di Covid privi persino degli strumenti di sicurezza essenziali: poche mascherine e guanti a disposizione, tute, visiere e altri strumenti di prevenzione inesistenti. Molti di loro, durante le terapie, contrassero il virus, tanti sono morti o hanno infettato i loro cari. Oggi, grazie al vaccino cui sono stati sottoposti negli ultimi mesi (sono seimila che in provincia di Brindisi hanno ricevuto la doppia dose), è crollato il numero dei positivi, anche in questa fase in cui la curva epidemiologica per il resto della popolazione è in crescita. Significa che potranno affrontare quest’ultima sfida con il mantello magico della invulnerabilità. Veri supereroi.
Una invulnerabilità che hanno anche acquisito i nostri nonnini ricoverati delle case di riposo sanitarie: anche qui, nelle ultime settimane, grazie alle vaccinazioni, non ci sono più nuovi casi di infezione. Sono salvi.
C’è però un’altra coincidenza in questi giorni: un anno dal lockdown, un anno dai morti di Bergamo, ma un anno anche dal blocco dei ricoveri nei nostri ospedali che nel 2020 fu necessario ma improvvisato. Dal 17 marzo 2021 il blocco è di nuovo stato disposto dalla Regione Puglia per cercare di avere liberi il maggior numero di posti letto in vista del picco di questa terza ondata, previsto entro la fine del mese. Ciò significa che chi aveva programmato interventi chirurgici o ricoveri per controlli dovrà aspettare, probabilmente alcuni mesi. A esclusione, ovviamente, dei malati oncologici. Anche perché le strutture ospedaliere brindisine stanno offrendo un supporto fondamentale ai malati provenienti dalle altre province che non trovano posto in altri ospedali.
Ecco perché appaiono totalmente fuori luogo le dichiarazioni rese da chi ha la responsabilità della sanità brindisina e del sistema di vaccinazione: il direttore generale della Asl, Giuseppe Pasqualone, ha detto a un giornale on line locale che la provincia di Brindisi non sarebbe da zona rossa, al massimo gialla. Come se in questo momento si possa procedere a una suddivisione geografica della regione, proprio lui che (per altro non avendo competenze specifiche sulle dinamiche di scelta operate dal governo centrale) dovrebbe avere una visione complessiva dell’emergenza e non insinuare dubbi e rabbia in una popolazione già profondamente segnata da questo nuovo lockdown.
Un lockdown che i pugliesi, e gli stessi brindisini, dimostrano di rispettare poco: la regione italiana in cui ha inciso meno lo stop del governo: con solo un -2% di spostamenti rilevati ieri rispetto alla settimana precedente e un -10% rispetto periodo pre-Covid; e soprattutto con un +104% rispetto al lockdown del 2020. E’ quanto rilevato da ‘City Analytics-Mappa di mobilità’, la soluzione di Enel X e HERE Technologies che stima tra gli altri la variazione degli spostamenti e dei chilometri percorsi dai cittadini. Nella provincia di Brindisi si è registrato un -4% degli spostamenti rispetto alla settimana precedente e -9% rispetto al periodo pre covid e qui addirittura un +112% rispetto al lockdown dello scorso anno. Insomma, nonostante la zona rossa, gli spostamenti sono quasi invariati.
Celebriamo dunque questa Giornata della Memoria come un ricordo intermedio. Solo il 16 marzo in Italia ci sono stati oltre 500 morti per Covid, un dato così elevato come neanche a gennaio e destinato ancora a crescere. “Nei prossimi giorni si impennerà in modo piuttosto netto”, ha spiegato l’infettivologo Massimo Galli. “Tutte le volte che si riaccende questa pandemia, con un aumento della diffusione dell’infezione – rileva Galli – abbiamo, nell’ordine: la registrazione di un aumento dei positivi” al coronavirus, “magari inizialmente mediamente più giovani del periodo subito precedente; poi l’aumento delle richieste di ricovero”, relative a pazienti che passano dall’essere “mediamente un po’ più giovani” al diventare come sempre “più anziani in prevalenza, e poi si inizia ad avere l’incremento dei morti. Malati che ci mettono un po’ di giorni per morire, perché spesso combattono molto e noi molto combattiamo per tenerli vivi”. E così alla fine, “quando si comincia ad avere un certo numero di persone per le quali è stato fatto il possibile, ma quel possibile è stato insufficiente, ecco che si impenna il numero dei morti”.
Ecco, più che “Memoria” in questo momento sarebbe più utile celebrare la “Consapevolezza”. Per ricordare, purtroppo o per fortuna, avremo una vita intera.