di Gianmarco Di Napoli per IL7 Magazine
L’allarme era partito già dieci anni fa quando una lettera “firmata” inviata ad alcuni giornali locali, e partita evidentemente da ambienti ecclesiastici brindisini, segnalava una situazione anomala all’interno delle parrocchie locali: “Nella Diocesi di Brindisi-Ostuni, fino ai giorni nostri, superficialità, paure e ambiguità hanno potuto abbassare il livello di vigilanza nella selezione e causare l’affievolirsi della tensione formativa di candidati al sacerdozio che diventano preti e vengono nominati addirittura parroci, educatori in seminario e insegnanti di religione nelle scuole hanno influito in maniera determinante sulla sensibilità culturale e religiosa della nostra gente e sull’andamento del flusso vocazionale. Il popolo, dopo aver progressivamente subito ciò che gli è stato in modo indolore imposto, si è assuefatto facendo rientrare nella norma la figura del “prete celibe” come uomo piuttosto misogino o sessualmente indistinto o addirittura omofilo”.
Quella lettera, che provocò all’epoca un grande scompiglio negli ambienti della Curia, ma solo per il fatto di essere stata diffusa e pubblicata, non portò alcun cambiamento sostanziale. Tanto che, dieci anni dopo, la Diocesi di Brindisi-Ostuni risulta essere quella a più alto tasso di pedofilia in Italia, con tre sacerdoti già condannati e una serie di ulteriori approfondimenti in corso da parte dell’autorità giudiziarie su altre vicende emerse nel frattempo.
Cosa avrebbe potuto fare la chiesa brindisina per evitare questo tracollo, ma soprattutto tutelare l’innocenza di quei ragazzini la cui vita è stata segnata per sempre dagli abusi sessuali subiti? Molto. A partire dal seminario, le cui indicazioni fornite dagli educatori non sono state prese in considerazione dai vescovi, neanche quando i segnali emersi erano di inequivocabile incompatibilità con il sacerdozio per gravi devianze comportamentali. Del caso, clamoroso, di Caramia parliamo diffusamente in un’altra parte di questo giornale.
Ma esiste la vicenda, anch’essa risalente ad alcuni anni fa e mai resa pubblica, di un adolescente che frequentava una parrocchia di Brindisi e che in più di una occasione era stato notato assumere atteggiamenti morbosi nei confronti dei bambini che frequentavano la chiesa e i corsi di catechismo. Quando il ragazzino, allontanato dalla parrocchia, decise di seguire un percorso autonomo per farsi prete, il parroco che ne aveva individuato gli atteggiamenti chiaramente equivoci scrisse per due volte all’allora arcivescovo, Rocco Talucci, per segnalare l’indole dell’aspirante prese e sconsigliarne l’ordinazione. Ma non servì a nulla. Il vescovo decise la sua ordinazione presbiterale. Il suo nome è comparso in recenti inchieste giudiziarie.
Più volte, in questi anni, la Curia arcivescovile di Brindisi ha ricevuto segnalazioni – sia provenienti da ambienti religiosi che laici – di situazioni incompatibili con il ruolo di sacerdote così previsto dalla Chiesa cattolica. Ben due hanno riguardato un prete, presente nel presbiterio brindisino, effettuate (in tempi diversi) da donne il cui marito ha abbandonato la famiglia per una relazione sentimentale con il parroco. Una delle due vicende ha anche avuto un appendice giudiziale. Inutile dire che il sacerdote ha continuato regolarmente a svolgere il ministero sacerdotale. Un comportamento identico a quello adottato quando furono segnalate alla Curia le tendenze pedofile di don Giampiero Peschiulli e questi fu lasciato alla guida della parrocchia di Santa Lucia sino a quando non andarono a bussare da lui i carabinieri.
Esiste poi un caso, gravissimo, di una minorenne che frequentava gli ambienti giovanili parrocchiali e che venne abusata da un educatore. Il caso, avvenuto diversi anni fa, non giunse mai nelle aule di giustizia, forse perché i tempi non erano maturi ma soprattutto perché la famiglia preferì non denunciare all’autorità giudiziaria, limitandosi a informare dell’accaduto quella clericale. L’educatore responsabile di quella violenza è rimasto impunito continuando a ricoprire i ruoli assegnati.
Nell’armadietto più inaccessibile negli uffici della Curia, quello contenente i fascicoli di ogni singolo sacerdote e operatore religioso, esistono molte segnalazioni, alcune anche documentate, che però non hanno mai sortito alcun effetto. E’ stata sempre l’autorità giudiziaria a porre fine a ciò che quella religiosa non è mai riuscita ad arginare, nonostante spesso nel fosse a conoscenza.
Dieci anni di silenzi e intrecci inquietanti che partono da quella lettera “firmata” e che arrivano alle connivenze tra don Caramia e l’ex veggente Paola Catanzaro. Ma questo è un altro, lunghissimo e ancora in parte oscuro, capitolo della storia.