Primo anno dopo il Covid: il racconto dei primi drammatici giorni nel Brindisino

Il 15 febbraio 2020 decolla dalla base di pronto intervento Unhrd delle Nazioni Unite di Brindisi un volo, organizzato dal Ministero degli Affari esteri italiano, destinazione Pechino: sul cargo sono stipate 16 tonnellate di materiale medico-sanitario di protezione personale (mascherine, tute e occhiali protettivi, guanti e termometri) messo a disposizione dall’Ambasciata cinese in Italia, e 2 tonnellate di materiale sanitario (mascherine protettive specialistiche per operatori sanitari, tute di protezione per operatori sanitari, mascherine protettive) finanziato direttamente dalla Cooperazione Italiana. L’Italia vuole contribuire all’improvvisa emergenza sanitaria che si è verificata in Cina: migliaia di casi di polmonite ad eziologia ignota, poi identificata come un nuovo “coronavirus”, nella città di Wuhan, nella provincia cinese di Hubei. Si dice, innescato dalla carne di pipistrello venduta nei mercatini cinesi. La sera prima, il giorno di San Valentino, il ministero della Salute italiano ha diramato una circolare con le indicazioni per la gestione degli studenti e dei docenti di ritorno o in partenza verso aree affette della Cina.
Nel documento si legge: “Come riportato dal Centro Europeo per il Controllo delle Malattie, la probabilità di osservare casi a seguito di trasmissione interumana all’interno dell’Unione Europea è stimata da molto bassa a bassa, se i casi vengono identificati tempestivamente e gestiti in maniera appropriata”. L’unico rischio reale è in questo momento rappresentato dagli studenti italiani di rientro dalla Cina ai quali viene raccomandato solo di stare attenti all’insorgenza di eventuali sintomi, ma non viene imposto alcun obbligo di quarantena.
A metà febbraio, insomma, il virus viene visto come un problema cinese. A farne le spese infatti all’inizio sono solo i commercianti e i ristoratori asiatici. In Puglia risiedono ufficialmente circa 6.000 cinesi, in provincia di Brindisi 450, gran parte dei quali hanno avviato negozi o attività gastronomiche. Il 2020 è l’anno del topo, quello della prosperità secondo il calendario cinese. Ma sono costretti a chiudere tutti, per oltre un mese: pregiudizi, i sospetti, la disinformazione, la psicosi e le bufale su internet e la paura. Per questo scatta la solidarietà: da Brindisi partono scorte di mascherine per la Cina. Un atto di generosità per il quale presto si pagheranno le conseguenze. Perché in Italia le mascherine non ci saranno.
Non passa troppo tempo, poco più di una settimana. Il 24 febbraio, con un volo Easy Jet decollato da Milano Malpensa e atterrato a Brindisi, sbarca un uomo di 43 anni di Torricella, in provincia di Taranto. Il 21 febbraio era andato a trovare la mamma a Codogno, il primo comune in Italia in cui il Covid si era affacciato con violenza e che era stato perimetrato come «zona rossa». Al ritorno a casa risulta positivo e infetta la moglie e il fratello. Sul web si scatena la caccia all’untore: diventa il più odiato della Puglia.
In provincia di Brindisi ancora non c’è nessun caso. Il sindaco di San Vito dei Normanni, Domenico Conte, dispone la quarantena per una commerciante cinese ritornata da poco da un viaggio nel suo Paese. “La grande maggioranza delle persone affronterà questo virus come affronta l’influenza, senza particolari difficoltà e senza particolari strascichi, ma, in assenza di un vaccino e poiché – a differenza dell’influenza – il pericolo di polmoniti gravi è molto più alto, la nostra attenzione deve focalizzarsi su quanti, invece, per guarire avranno bisogno di assistenza intensiva”, spiega al nostro giornale il professor Pier Luigi Lopalco il 5 marzo 2020: da qualche settimana lui, come il più famoso Roberto Burioni, sono intervistati a tambur battente dalle testate nazionali. L’Italia scopre la figura del virologo.
Nei primi giorni di marzo ancora non si ha l’esatta dimensione del dramma che sta per iniziare: gli operatori turistici sono preoccupati del calo dei viaggi business e del rischio che possa saltare l’inizio della bella stagione che coincide con le festività pasquali. Alitalia e Ryanair del resto hanno iniziato a cancellare voli da e per l’aeroporto di Brindisi.
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Il 15 febbraio 2020 Piero Blonda è in auto sulla Highway 57, a Shannon, in Nuova Zelanda: ha 21 anni e da Casalini, frazione di Cisternino, ha deciso di andarsene dall’altra parte del mondo per cambiare vita. E invece trova la morte. Un camion, uno scontro frontale. Il telefono squilla a casa dei genitori quando in Italia è notte fonda. La sera del 29 febbraio la salma arriva a Casalini per la veglia funebre nella parrocchia di Maria Santissima dell’Immacolata. L’indomani alle esequie c’è quasi tutto il paese che fa 1.100 abitanti. Nei giorni successivi dei 14 positivi al coronavirus, i primi della provincia di Brindisi, 5 sono nella frazione di Cisternino. In due moriranno nelle settimane successive, zio e nipote. Quest’ultimo, 65 anni, era il diacono della parrocchia.
A Carovigno in un bar del centro la sera si gioca a scopa, si sorseggia una birra e si guardano le partite di calcio in tv. Il notiziario parla del virus di Whang, l’epidemia sembra lontana, si fanno battute sull’Inter che è di proprietà di un miliardario cinese. Non sanno che uno tra loro è positivo, un contatto avuto una settimana prima con la Lombardia, il covid che si insinua silenziosamente nel gruppo di amici e da qui si diffonde del paese. Alla fine del mese di marzo saranno già 21 i contagiati e quattro persone muoiono a pochi giorni di distanza l’una dall’altra.
Alla fine di febbraio all’ospedale di Ostuni viene ricoverato un commerciante di Carovigno: ha 33 anni e una brutta polmonite che va ad aggravare una situazione già compromessa. Prima che venga sottoposto a test e che si scopra che in realtà è affetto da coronavirus trasmette il covid a un medico e un infermiere e poi anche un’infermiera dell’ufficio igiene. E’ un effetto a catena: dopo Casalini e Carovigno, Ostuni diventa il terzo cluster della provincia di Brindisi.
L’ospedale Perrino è sotto pressione. Mancano mascherine, guanti e tutti gli strumenti di protezione che si scopre via via sono necessari per contenere i rischi di contagio. Gli accessi non sono separati e così chi è malato di Covid segue gli stessi percorsi degli altri pazienti. Cinque medici e un’infermiera risultano contagiati. I risultati dei tamponi arrivano lentamente perché vengono esaminati solo nel lontano istituto Zooprofilattico di Foggia. E nel frattempo, nel limbo dei risultato, i pazienti infettano altri pazienti e medici.
Oltre cento sanitari brindisini mettono da parte vita privata, famiglie, turni di lavoro e diventano il primo argine, quello decisivo, al propagarsi dell’epidemia. Prima ancora che arrivino mascherine, visiere e tute che li proteggano dal contagio, nonostante i troppi errori commessi dalla direzione della Asl che non isola adeguatamente l’area covid dal resto dell’ospedale. La Rianimazione è il campo di battaglia, la trincea come la definiscono tutti, insieme al Pronto soccorso, la Pneumologia e le Malattie Infettive, a questi si aggiunge anche l’Otorinolaringoiatra. Alcuni alla fine del turno non tornano neanche a casa per il timore di infettare i congiunti. “Il sentimento che stiamo provando? La paura, sì la paura. Non mi vergogno a dirlo ho paura. Ho paura di sbagliare, di non reggere il carico di lavoro, ma anche quello di ammalarmi e di dovermi fermare. E poi c’è la paura di poter contagiare i miei cari di tornare a casa e contagiare mia moglie. Ma è il mio lavoro, e tocca a me. Tocca a noi”: è il racconto che fa al nostro giornale, in quei momenti, Pierpaolo Peluso medico anestesista rianimatore della Terapia Intensiva dell’ospedale Perrino.
Il 9 marzo l’Italia diventa “zona protetta” e nel nostro vocabolario entra per sempre un termine nuovo: “lockdown”. I primi giorni hanno quasi il sapore dell’avventura. La riscoperta dello stare in casa, i balconi che diventano luoghi di aggregazione frazionata, le bandiere tricolori esposte come durante i mondiali di calcio, gli altoparlanti che diffondono la musica trasformando i condomìni in discoteche con i privè con improvvisate cubiste e improbabili deejay. Non si trovano mascherine e al rione Commenda un gruppo di donne formano un comitato per cucirle e donarle. Si chiamano Alma Ingrosso, Roberta Petrone, Romana Tarì, Vanessa Di Giulio, Elvira Guadalupi e Mina Morella, di seguito tante altre ancora.
Ma la musica dai balconi finisce presto, e iniziano i morti. Quelli in solitudine, senza un funerale, senza un fiore, senza essere accompagnati al cimitero. A 34 anni muore Angelo Mameli, di Carovigno, dopo venti giorni di Rianimazione. E sempre a Carovigno se ne va a 54 anni il perito agrario Raffaele De Giovanni, paladino nella lotta a un altro batterio, quello che uccide gli ulivi. E ancora il sindacalista Salvatore Laghezza e l’ex dipendente della Provincia Pinuccio Tateo. Gaetano Carrassi, barese di nascita ma trasferitosi a Brindisi con la famiglia quando aveva 7 anni, era un pescatore 89enne che sino all’ultimo istante di vita chiede di tornare al mare per sistemare le sue reti. E poi se ne va Romeo Tepore, l’inventore della “Brindisi in bicicletta”. Tutti questi, solo a marzo.
Un anno dopo saranno diventati 197 i «decessi’ in provincia di Brindisi collegati al Covid: 156 casi tra persone che hanno tra 70 e 90 anni e più; 23 tra i 60 e 69 anni, 14 casi tra i 50 e i 59, 2 casi tra i 40 e i 49, e 2 nella fascia 30-39. Nel periodo compreso tra il 24 febbraio 2020 e il 21 febbraio 2021 sono sottoposti a tampone molecolare 80.225, di questi 10.331 (12,9%) sono risultati positivi al test, con una incidenza cumulativa stimata pari a 264,6 casi x 10.000 residenti. I positivi comprendono 5.303 donne (51,3%) e 5.028 uomini (48,7%) con un’età media di 45 anni.
Non c’è più musica sui balconi, l’economia – anche in questa provincia – è in ginocchio, negli ospedali i sanitari continuano a battersi come leoni. Da un lato l’incubo di uno nuovo lockdown, dall’altro la speranza che il vaccino possa presto fermare l’epidemia. Ma ci vorrà tempo, tanto, anche solo per dimenticare.