Punta Penne, splendida in superficie e magica sott’acqua

L’idea originaria era solamente quella di approfittare della bella giornata domenicale estiva e del mare calmo per andare ad effettuare una immersione pomeridiana con un amico in località Punta Penne, sotto quella che a Brindisi viene chiamata comunemente la Torre del Granchio Rosso, dall’omonima vicina spiaggia.
Quella di Punta Penne, fino a pochi anni addietro, era il luogo preferito dai sub brindisini in quanto la scogliera carsica che la caratterizza ed il fondale che degrada subito fino a venti e più metri, lo rendono un luogo unico per chi, non potendo disporre di una imbarcazione che lo porti al largo, ama effettuare esplorazioni subacquee più in profondità, rispetto a quelle normalmente praticabili da terra, in un panorama mozzafiato pullulante di coralligeno e vita sottomarina.
Ho specificato “fino a pochi anni addietro” dal momento che da quando, nel luglio del 2014, è stato inaugurato il Parco del Serrone, anzi, e più precisamente, l’Area di Interesse Storico Naturalistico di Punta Penne-Punta del Serrone, non essendo più possibile avvicinarsi con l’auto alla Torre ed essendo il fondale della vicina spiaggia libera assolutamente basso, è divenuto molto più complicato arrivarci con le pesanti bombole e le altre attrezzature necessarie per l’immersione.
Dal momento che occorreva scegliere il punto migliore da cui calarsi in mare, per poter raggiungere l’agognata meta, mi sono recato di buon mattino nei pressi dell’ingresso sbarrato del vialetto che conduce alla Torre Costiera e, lasciata l’auto, ho proseguito a piedi mentre la spiaggia libera cominciava ad animarsi coloratamente di gente.
Nonostante fossero passate da poco le 9,00, erano già stati piantati due gazebi con tanto di tavolini di plastica e sedie, segno evidente dell’allestimento di una grande tavolata in cui, a base di parmigiana, polpette, pasta al forno e la mitica taiedda di riso, cozze e patate, il tutto innaffiato da buon vino o birra tenuta al fresco nel ghiaccio, si sarebbe santificata la domenica a mare.
Proprio all’ingresso del parco un brutto biglietto da visita per la città, costituito dal cartellone informativo deturpato di vernice verde da un qualche stupido ed incivile writer, neanche tanto abile ad armeggiare con la bomboletta spray.
La passeggiata è gradevole e l’area si presenta, come anche la vicina spiaggia libera, pulita e priva dei soliti rifiuti di plastica su cui siamo ormai abituati a camminare quando ci rechiamo a mare: merito sicuramente dei tanti volontari che nelle scorse settimane, senza tanti proclami e con tanto olio di gomito, hanno risposto positivamente all’invito delle associazioni che hanno curato la pulizia della costa e merito, anche, dei grossi cesti per la raccolta della spazzatura indifferenziata che, finalmente, sono stati installati nelle posizioni più strategiche davanti ai lidi ed alle spiagge libere.
Il boschetto di Tamerici e Lentischi, con i loro colori ed odori che in qualsiasi stagione rievocano il sapore del mare, la fanno da padrona mentre, nelle zone più lontane dal passeggio, il canneto nascondendo dalla vista sia la strada che le villette disordinatamente edificate in zona, contribuisce decisamente a rendere quasi selvaggio il paesaggio.
Anche i ruderi dei bunker e delle piccole costruzioni militari in rovina, risalenti alla Guerra Mondiale, riescono ad avere un loro fascino e la Torre Costiera di Punta Penne, risalente al XVI secolo, che si erge sul promontorio di roccia carsica, a pochi metri dal mare, quando ti appare di fronte, è uno spettacolo davvero mozzafiato.
Dette le cose belle, passiamo a quelle meno piacevoli: all’interno della Torre il degrado è assoluto: segni di recenti bivacchi su brandine improvvisate ed immondizia di ogni genere disseminata ovunque al piano terreno, mentre, salendo al piano superiore, un grosso albero di Fico, che ha messo radici nel carparo della costruzione fa capolino, senz’altro da molti anni, dal lucernaio, sia all’interno che all’esterno della Torre.
Dal terrazzo lo spettacolo è da capogiro sia che si guardi verso le spiagge ed i lidi che si susseguono fino a Giancola, sia che si guardi verso i famosi campi carreggiati del “Geoparco” – vale a dire le rocce di scogliera frastagliate e solcate da profonde scanalature, dovute alla dissoluzione, nell’arco di centinaia di migliaia di anni, della piattaforma costiera a causa della variazione della linea di battigia – che arrivano fino al mare e che rendono unico questo posto, sia ancora che si guardi verso il Serrone, abbracciando in un unico sguardo tutta l’area del parco fino alla Batteria Menga (una incredibile opera di ingegneristica militare, con mura spesse in alcuni punti fino a 9 metri e nascosta dal lato mare da un terrapieno di 5 metri di altezza celato dalla macchia mediterranea, realizzata alla fine dell’ottocento per ospitare i cannoni a difesa della città contro i bastimenti nemici) e, ancora più a sud fino alle casematte ed i bunker di Punta del Serrone, seminascosti dalla copiosa Macchia Mediterranea
Una volta sceso dalla Torre ho voluto dare una occhiata alla vicina costruzione, che fino a metà del secolo scorso era sormontata da un imperioso faro alto circa trenta metri di cui ora non resta più alcuna traccia: anche questa costruzione, all’interno, è stata ripetutamente visitata da imbecilli di ogni genere che, non avendo di meglio da fare, l’hanno vandalizzata, sfondandone ed imbrattandone le pareti.
Tutto da gustare è anche l’affaccio sulla scogliera carsica dove le pozze di marea che si creano anche in occasione delle mareggiate e delle grandi piogge, si vengono a fondere con il mare.
Tornato all’auto, non senza aver evitato per un soffio di essere investito da un motociclista indisciplinato che, incurante della interdizione al traffico veicolare del parco, percorreva in velocità lo sterrato pedonale e pretendeva anche di avere ragione, è quasi mezzogiorno e sotto ai gazebi montati sulla sabbia della spiaggia libera fervevano frenetici i preparativi per la grande abbuffata domenicale.
L’appuntamento col mio amico Fabio, per l’immersione, è alle 18,00, nella speranza –risultata vana– che per quell’ora la costa si fosse un po’ spopolata: percorsa con difficoltà la strada che conduce verso il mare, a causa della auto necessariamente posteggiate su entrambi i lati, non avendo mai nessuno del Comune in tutti questi anni, pensato di sacrificare poche migliaia di metri quadri dei trecentomila a disposizione, per creare un parcheggio come si deve, fosse anche in terra battuta, giungiamo sul posto e notiamo che la gente sotto i gazebo è ancora a tavola, per cui abbiamo stimato che stava mangiando ininterrottamente da non meno di cinque ore.
Assemblate le attrezzature in riva al mare ci caliamo dall’ultimo lembo di spiaggia libera prima dell’inizio del parco e siccome l’ampio litorale sabbioso su cui insistono i lidi Oktagona, Risorgimento e Granchio Rosso e che prosegue, come spiaggia libera fin quasi a Punta Penne, fa si che anche il fondale degrada dolcemente, dobbiamo necessariamente sacrificare il primo quarto d’ora di immersione ed un bel po’ di aria per pinneggiare a bassissima profondità, tenendo alla nostra destra la linea della costa rocciosa, per avvicinarci il più possibile alla punta del promontorio.
Fino a che la profondità non supera i due metri, il fondale si presenta brullo e deserto e delle rinomate praterie di ricci che caratterizzano questa zona del brindisino non ce ne è quasi alcuna traccia, segno evidente che i “pescatori della domenica” imperversano in zona; non appena, invece, lo scalone roccioso degrada verso i 5-6 metri, esplode la vita sottomarina e, ovviamente, non solo per la presenza dei ricci.
Ogni specie di pesce presente nell’Adriatico meridionale ha una sua nutrita rappresentanza a Punta Penne: banchi di Salpe che brucano la vegetazione superficiale che incrosta gli scogli e la cui taglia, come anche succede per gli altri pesci, aumenta man mano che si scende più giù, nuvolette di nere Rondinelle di mare, insieme a coloratissimi Cazzi di Re, che ci nuotano attorno, giovani Saraghi ed Occhiate, allegramente in giro, mentre quelli di taglia più grossa preferiscono non allontanarsi troppo dai tagli nella roccia in cui si rintanano al nostro apparire.
Ad un certo punto, lì dove il fondale è costantemente sui dieci metri di profondità, viriamo verso destra, continuando a seguire i principali costoni rocciosi che non sono più costituiti dalle caratteristiche “franate” di rocce di carparo presenti in gran parte del litorale nord, ma assumono la ben più dura e scolpita consistenza delle rocce carsiche, dello stesso tipo di quelle che si possono ammirare in superfice, ricche di anfratti e rifugi adatti ad animali marini di ogni taglia.
D’improvviso provo una sensazione strana, mi sento quasi come una tartaruga marina che “fiuta” la strada di casa, cioè della spiaggia dove è nata, per andare a deporvi le uova e prendo con decisione una certa direzione, non studiata a tavolino, che mi porta in breve proprio sotto al taglio della roccia carsica da cui, quasi un quarto di secolo addietro, ho cominciato ad effettuare le mie prime immersioni.
Fabio, che non ha avuto, da questo punto di vista il mio stesso vissuto ed a cui a gesti e da dietro una maschera era assolutamente impossibile far capire il perché di tanta mia eccitazione, resta giustamente interdetto e rimane a distanza quando entro dal taglio e penetro nella grossa pozza, quasi un lago, fin quasi sotto la Torre del Granchio Rosso e metto la testa fuori dall’acqua per contemplare, quasi commosso, quella visuale che mi mancava da anni, insieme al ricordo di quando eravamo più verdi e ci caricavamo senza problemi in spalla bombole ed attrezzature per percorrere un centinaio di metri di tagliente scogliera a piedi, infagottati nella muta ed in situazione di equilibrio precario, per giungere nel nostro luogo di immersione prediletto e mi convinco che, ora che gli anni cominciano a pesare, anche se ricordo con piacere ed una punta di nostalgia quelle antiche camminate sugli scogli, è stata la scelta più giusta quella di raggiungere Punta Penne partendo dalla spiaggia e costeggiando via mare il promontorio.
Essendo trascorsa circa mezz’ora dalla nostra discesa in acqua ed avendo ancora sufficiente aria, ci concediamo un bel giretto fra i corridoi e canyon sottomarini creatisi fa i grossi massi di roccia e tocchiamo nuovamente il fondo a -15 metri: sulla sabbia c’è un bell’esemplare di Tonna Galea, la più grossa conchiglia esistente nelle nostre zone, nell’atto di depositare le uova, ispezionando i tagli di roccia troviamo una bella tana di Corvine e, poco più avanti, in un altro anfratto, la strana coabitazione fra un polpo di discrete dimensioni ed una dozzina di vivaci Perchie, mentre un grosso Scorfano, appena infastidito dal nostro passaggio, fa quasi da sentinella.
Dopo un’altra mezzoretta di girovagare, siamo costretti, a malincuore, a tornare verso la spiaggia pinneggiando con la parete rocciosa alla nostra sinistra e, per non rischiare di rimanere senza aria, evitiamo ulteriori tappe esplorative fino a quando la distesa di ricci e la poca profondità del fondale ci fa comprendere che eravamo ormai giunti in prossimità della spiaggia; nel frattempo incontriamo un “Polmone di mare” la più bella ed inoffensiva medusa del Mediterraneo, attirata dalla corrente calda sottocosta, resa simile ad una luminosa abatjour dal taglio della luce solare che, penetrando in mare, la colpiva.
Ancora qualche minuto e mettiamo la testa fuori dall’acqua che son quasi le 20,00 ed il sole sta calando nel mare alle nostre spalle e, di fronte a noi osserviamo sbigottiti la grande tavolata sotto i gazebi con la gente che, proprio in quel momento, stava terminando il tour de force del “pranzo” domenicale mentre i lidi, alla nostra destra, si stavano lentamente svuotando ed anche per noi era giunta l’ora di rimettere a posto le nostre carabattole e fare ritorno a casa.