Quell’elmo di Giovanni un simbolo dei valori sportivi per i bambini

di Marina Poci per il7 Magazine

La sua associazione, quella che avrebbe dovuto portato il suo nome una volta che la sua vita fosse terminata, il giovane calciatore Giovanni Custodero l’aveva progettata, poche settimane prima di morire, esattamente com’è adesso: attività, finalità, iniziative benefiche. Aveva immaginato persino l’elmo di alluminio che dal 31 ottobre dello scorso anno, giorno in cui avrebbe compiuto 28 anni, campeggia nella villetta della sua Pezze di Greco a eterna testimonianza del coraggio con cui ha affrontato il tumore osseo che lo ha afflitto dai 23 ai 27 anni e che, il 12 gennaio del 2020, ne ha causato la morte: “I bambini lo guarderanno con curiosità, faranno delle domande, così i genitori saranno costretti a raccontare la mia storia e io non verrò dimenticato”, diceva, motivandone la collocazione in un luogo così centrale della frazione fasanese.
È nata così, nel corso del primo durissimo lockdown, l’”Associazione Dilettantistica Giovanni Custodero – Il Guerriero Sorridente”, con lo scopo primario di avvicinare i bambini ai valori dello sport, “perché quei valori, altruismo, collaborazione, sacrificio, sui quali aveva sempre basato la sua vita, sono stati ancora più importanti per Giovanni durante la malattia”, racconta la sorella Mariana, che ha fondato e gestisce l’associazione insieme alla mamma Elena e ad una cugina.
Custodero, pur essendo una persona molto riservata, aveva scelto di condividere la sua malattia sui social, interloquendo quotidianamente con decine di migliaia di persone che si sono sentite incoraggiate dal suo esempio e hanno tratto ispirazione dalla sua forza d’animo: affrontando nel dettaglio questioni mediche delicatissime (come l’amputazione della sua gamba sinistra e gli effetti delle terapie antitumorali) e problematiche di grande rilevanza sociale (i costi della malattia, tra trasporti, permanenza fuori dalla regione, esami e visite a pagamento, necessari per sopperire alle mancanze della sanità pubblica), ha avuto il merito di far conoscere ai malati terminali, cui troppo spesso questa scelta non viene proposta, la possibilità di avvalersi della sedazione assistita, un atto terapeutico destinato ai pazienti refrattari alle altre opzioni farmacologiche, che non procura né anticipa la morte, ma induce uno stato di abbassamento della coscienza tale da ridurre o eliminare la percezione del dolore. “Ho deciso che non posso continuare a far prevalere il dolore fisico e la sofferenza su ciò che il destino ha in serbo per me”, aveva scritto su Facebook poche ore prima di lasciarsi sedare, quando aveva ormai capito di essere a quella che aveva definito “la battaglia finale”. Anche questa eccezionale consapevolezza fa parte dell’immensa eredità spirituale che “Il Guerriero Sorridente”, che adesso è un marchio registrato, ha lasciato a tutti coloro che sono entrati nella sua orbita e hanno goduto della sua luce. “Quattro giorni prima di morire mi ha chiesto di promettergli di non essere triste e io gli ho risposto che era una promessa che non potevo fargli, perché sapevo che non sarei riuscita a mantenerla. Allora lui mi ha detto che avevo il dovere di vivere pienamente la vita, perché attraverso i miei occhi anche lui avrebbe continuato a vivere e perché soltanto con la mia collaborazione i suoi progetti, primo tra tutti l’associazione, si sarebbero realizzati”, ricorda la sorella Mariana.

L’associazione è sicuramente un’occasione per fare del bene ma è anche un modo per tenere vivo il ricordo di Giovanni: quale messaggio pensa che suo fratello potrebbe dare a chi è alle prese adesso con la malattia?
“Quello che ha fatto riportare sulla maglietta con l’elmo che abbiamo venduto per finanziare i costi della malattia: “basta solo aprire gli occhi e vedere più avanti delle nostre paure per accorgerci quanto di bello la vita ci dà”. In queste poche parole è racchiuso il senso della brevissima vita di mio fratello”.

Quali sono le vostre principali attività?
“Nasciamo come associazione sportiva, per cui organizziamo progetti laboratoriali di riscoperta della natura e di alfabetizzazione motoria, soprattutto in estate (lo scorso anno il ricavato è stato devoluto al reparto onco-ematologico pediatrico dell’ospedale di Taranto, per spedizioni di midollo osseo, mentre quest’anno abbiamo acquistato dei giochi inclusivi per la villetta di Pezze di Greco). Ma questa è solo una parte dei nostri progetti. Collaboriamo con Airc, Aido ed Emergency per sensibilizzare sui temi della salute; realizziamo bomboniere solidali; raccogliamo trecce di capelli veri da donare ad un’associazione di Altamura che crea parrucche per donne che hanno perso i capelli a causa delle terapie oncologiche; siamo in contatto con il Centro Antiviolenza dell’Ambito di Fasano, insieme al quale abbiamo intitolato una via ad una donna morta per mano del marito; sosteniamo famiglie in difficoltà donando beni di prima necessità; prestiamo a tempo determinato e gratuitamente presidii medici (stampelle, sedie a rotelle, letti) a persone che non possono permetterseli; abbiamo donato sedie all’ospedale Perrino e mascherine al reparto oncologico di Fasano e, naturalmente, per raccogliere fondi per tutte queste necessità, organizziamo eventi sportivi. Tengo a dire che ognuna delle donazioni che riceviamo può essere indirizzata ad un progetto in particolare: non siamo noi a destinare i soldi ad una esigenza piuttosto che ad un’altra, ma è la gente che sceglie di investire nella raccolta che sente più vicina”.

Uno degli ultimi progetti nei quali siete impegnati è “La stanza sospesa”: di cosa si tratta e a chi è venuta l’idea di promuoverlo?
“È venuta a mia madre, che in prima persona ha vissuto le difficoltà, anche economiche, di chi deve necessariamente spostarsi per offrire ad un proprio caro le migliori cure possibili. Alleggerire le famiglie delle spese di alloggio è sempre stato uno dei suoi obiettivi, per cui raccogliamo fondi per poter pagare, nella Residenza Marotta di Firenze, le stanze per i parenti di pazienti in cura negli ospedali Careggi, C.T.O. e Meyer, che si trovano nelle immediate vicinanze. Per fare richiesta per accedere al fondo si possono contattare direttamente i titolari del residence, oppure l’associazione che, per il tramite di mia madre, valuta lo stato di bisogno e di volta in volta bonifica i soldi raccolti sul conto del signor Marotta”.

Quando ha comunicato alla famiglia, Giovanni, la decisione di affidarsi alla sedazione assistita?
“Lo abbiamo saputo la mattina del giorno stesso in cui l’ha annunciato su Facebook. Per non dare un dolore a mia madre e farle vivere un’ultima volta insieme a lui le nostre tradizioni famigliari, ha aspettato che passassero le festività natalizie prima di attuare qualcosa che, sono certa, aveva già deciso da tempo. Non saprei nemmeno dire dove e come abbia fatto a documentarsi. Sospetto che abbia cominciato a pensarci quando, dopo l’ultimo intervento, i medici gli hanno sospeso le terapie e gli hanno detto chiaramente che non sarebbe guarito. Giovanni era un vulcano di energia, tanto che dopo l’amputazione aveva preteso di affrontare il volo dell’angelo, legato ad un cavo d’acciaio e sospeso nel vuoto. Ed era un grande sportivo, conosciuto da tutti, al punto che è già stata lanciata da alcuni pezzaioli una petizione per intitolare il nuovo palazzetto dello sport di Pezze di Greco proprio “PalaCustodero”. Il dolore lo stava abbattendo fisicamente e psicologicamente e ne stava minando la dignità. Per questo ha scelto di trascorrere i suoi ultimi giorni dormendo, salutandoci quando ancora aveva e forze per farlo”.

Dai post di Giovanni traspare un grande coraggio: voi in famiglia l’avete mai visto triste o arrabbiato?
“Pochissime volte… e di questa apparente calma mi sono anche chiesta spesso i motivi. Sicuramente non voleva dare ulteriori preoccupazioni a noi famigliari, ma credo che dipendesse più che altro dall’avere accettato totalmente la sua malattia. Quando gli ho domandato se si chiedesse mai “perché proprio a me?”, mi ha risposto che non aveva il diritto di farsi quella domanda, visto che non ci sono vite più degne di altre e persone più meritevoli di altre”.

Quando ha deciso di rendere pubblica la sua malattia e di raccontarla sui social?
“Immediatamente dopo la diagnosi, stupendoci tutti, vista la sua notoria discrezione. Credo che quella condivisione gli sia servita molto per elaborare la malattia e sia servita a chi lo seguiva per elaborare i propri dolori. Abbiamo scoperto, infatti, che la gente gli chiedeva consigli e si confidava con lui non soltanto riguardo per problemi di salute, ma per qualsiasi altra questione. Ricordo addirittura che una ragazza sposata da anni gli ha scritto che era disperata perché non riusciva ad avere figli e lui la consolava e le infondeva coraggio. Diceva che risucchiare il dolore degli altri gli dava la forza per gestire il suo. È per questo che come frase guida dell’associazione abbiamo scelto “perché dal dolore possa nascere l’amore”. È quello che ci ha insegnato Giovanni”.

State programmando le prossime attività dell’associazione?
“In questi giorni ci è venuta in mente l’idea di organizzare iniziative sportive a favore delle persone disabili. Siamo sicure che Giovanni ne sarebbe molto felice, visto che per un certo periodo della sua vita è stato lui stesso disabile. Ci vorrà del tempo, ma speriamo di arrivarci. Per ottobre, che è tradizionalmente il mese della prevenzione e del benessere psicologico, offriamo gratuitamente, in collaborazione con vari professionisti, un incontro con una psicologa che abbiamo voluto intitolare “Sulle orme del dolore”, ecografie per prevenire noduli alla tiroide, studi dei nei con dermoscopio manuale e persino una sessione di pilates all’aperto”.

Pochi giorni prima di farsi addormentare Giovanni aveva chiesto alla sua fidanzata Luana di rendere il suo profilo commemorativo: secondo lei quale messaggio voleva lasciare a chi lo avrebbe letto dopo la morte?
“Giovanni ci ha lasciato un’eredità non semplice da gestire, tanto che spesso io mi chiedo se sono all’altezza del suo grande esempio. Era diventato un’icona di resilienza e il suo messaggio è arrivato lontanissimo. Credo che quello che ha detto a me valga per tutti coloro che lo hanno amato e sostenuto: vivete la vita, voi che potete, anche quando è dolorosa, apprezzando le piccole cose e lasciando che io continui a vivere attraverso ognuno di voi”.