è di pochi giorni fa la pubblicazione di un importante ed interessante Report del “Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente” il cui acronimo è SNPA, una nuova entità operativa da pochi anni, finalizzata, soprattutto alla protezione ed alla ricerca ambientale, che ha destato la mia curiosità in quanto, fra gli interventi per la tutela e la valorizzazione delle aree di attrazione naturale, concede ampio spazio al progetto dell’architetto brindisino Mina Piazzo su “La Rete Ecologica Regionale dal Torrente Giancola al Bosco del Compare”.
Si tratta di un intervento proposto dal Servizio Parchi ed Aree Naturali Protette del Comune di Brindisi alla Regione Puglia, ammesso due anni fa ad un finanziamento di un milione e trecentomila euro, che si pone come obiettivo quello di riconnettere, sia ecologicamente che in chiave di fruizione lenta, i due elementi del patrimonio naturale, il Sito di Importanza Comunitaria “Foce Canale di Giancola” ed il “Bosco del Compare”, eliminando i principali detrattori paesaggistici e valorizzando il patrimonio naturalistico, storico, culturale e archeologico che caratterizza, nella sua interezza, Giancola.
Detta in soldoni, si tratta di realizzare un corridoio ecologico di circa un chilometro e mezzo, con alberature e sentiero tra la foce del canale Giancola ed il Bosco del Compare.
A sfogliare il progetto balza agli occhi oltre alla realizzazione di tre capanni per l’osservazione degli uccelli selvatici – preferisco tradurre nella lingua cara a Dante Alighieri l’abusato termine anglofono “birdwatching”, con cui troppo spesso ci si riempie la bocca pure in atti ufficiali -, anche un vero e proprio itinerario eco-turistico-culturale, sia pedonale che ciclabile, e, soprattutto e finalmente, aggiungo io, la demolizione dei manufatti dell’ex spiaggia della Provincia e di alcune baracche abusive presenti in zona che ammorbano, dal punto di vista non solo visivo, il paesaggio mozzafiato di cui, altrimenti, si potrebbe godere passeggiando da queste parti.
Da un progetto di tal fatta non potrà certamente essere esclusa una reale riqualificazione di Torre Testa di Gallico, che si trova da troppo tempo in uno stato di assoluto degrado ed abbandono, nonostante una buona quantità di soldi pubblici spesi dieci anni fa per effettuare dei lavori di messa in sicurezza “per salvare dagli effetti del degrado la torre di avvistamento costiero Torre Testa, in contrada Giancola” e che, una volta risistemata, potrebbe essere adibita a centro visite della nuova area protetta.
Soprassedendo, per ora, dal descrivere lo stato attuale in cui si trova il Bosco del Compare, anche perché si tratta di proprietà privata, pur essendone garantito l’uso pubblico per farvi passeggiate e anche, purtroppo, per andare a caccia nei periodi consentiti e aspettando la realizzazione del nuovo sentiero per farmi la camminata di mezza dozzina di chilometri prevista in progetto, mi voglio oggi soffermare, stante la stagione estiva, sulla parte litoranea sopra e sotto il pelo del mare, avendo avuto modo di percorrere sia sulla costa che sott’acqua ogni singolo centimetro di Giancola.
Parlarne compiutamente sarebbe un’opera titanica non realizzabile nelle poche pagine a disposizione in quanto Giancola, per chi la conosce, non è solo il canale che porta in mare plastica ed acqua puzzolente e che spesso viene ostruito dai rifiuti stessi, misti alla sabbia che il vento forte di maestrale sposta dal lido verso l’interno.
Giancola è storia, anche preistoria direi, in quanto uno dei primi insediamenti umani nel brindisino ebbe a sorgere, sicuramente, lungo le sponde di questo fiume, come tante testimonianze archeologiche comprovano, ma è anche un paesaggio costiero incantevole, una foce con due biforcazioni che abbracciano ed avvolgono il costone roccioso su cui sorge la torre, prima ancora che l’uomo intervenisse cementificando gli argini e canalizzando l’acqua. I suoi stagni temporanei ed i suoi pascoli inondati rivestono ancora una notevole importanza per la fauna e la flora.
Ci sono, ancora in parte visibili anche se difficilmente visitabili, le antiche fornaci romane, addirittura un tratto col vecchio basolato della via consolare Appia-Traiana, che staccandosi a Benevento dalla Via Appia Antica, escludeva lo Jonio e Taranto per costeggiare il mare Adriatico e passare da Egnazia prima di giungere alla meta, cioè Brindisi che “della lunga via era la fine”.
Dal punto di vista naturalistico, come abbiamo già avuto modo in altra occasione di evidenziare, il vasto canneto ospita uccelli acquatici come la Folaga, la Gallinella d’acqua, il Tuffetto, il Tarabusino e svariate anatre di superficie come il Germano reale. Immancabilmente uccelli rapaci come il Falco di palude ed il Gheppio sorvolano la zona a caccia delle loro prede che possono essere piccoli mammiferi, uccellini ed anche i rettili e gli anfibi che popolano Giancola come la Raganella italiana, il Rospo smeraldino e serpenti come la Natrice dal collare, più nota come biscia d’acqua. E’ un habitat dove ancora vive e si riproduce l’Emys orbicularis, cioè la testuggine d’acqua dolce europea. Avventurandosi, con buone scarpe da trekking e calzoni di tela robusta tra la vegetazione un po’ più distante dall’acqua, è possibile scorgere tracce dei percorsi di mammiferi più grandi come la Volpe e forse anche il Tasso.
Conosciamo Giancola come una spiaggia con l’arenile di sabbia bianca e finissima, scelta alcuni anni fa da una Tartaruga marina per deporre le sue uova, anche se molti brindisini, purtroppo, la identificano con i ruderi abbandonati e in gran parte crollati del vecchio lido della Provincia.
Giancola è anche la falesia rocciosa che si va sgretolando sotto la furia del mare e dei venti e che con i suoi crolli rischia di far franare in mare i resti ancora in piedi dell’antica torre costiera.
Questa località è da molti associata all’amatissimo santuario della Madonna di Jaddico (Gallico, cioè Jaddico, e Giancola hanno la stessa assonanza fonetica), fondato su una chiesetta preesistente, lungo le sponde del canale Giancola, un paio di chilometri più all’interno.
Giancola contiene in sé molte delle contraddizioni del nostro tempo e della nostra terra: privilegiata dalla natura, glorificata dalla storia, ma abbandonata al degrado ed all’indifferenza in epoca moderna.
Eppure la voglia di rialzarsi rimane ed è questa, a mio avviso, la chiave di lettura, di questo intervento che, se dovesse andare concretamente in porto, ridarebbe dignità a questo luogo, anche perché si partirebbe dalla rimozione definitiva di tutti quei manufatti in completo stato di abbandono presenti nel sito, come il grande parcheggio asfaltato, le cabine e gli edifici in cemento del vecchio lido, ormai diroccate, per poter ricostituire il cordone dunale quasi del tutto scomparso e rinaturalizzare in maniera adeguata l’intero sito, riconsegnandola alla natura, ma anche ad un uso pubblico più attento e consapevole che in passato.
Quello che c’è sopra il livello del mare lo abbiamo, grosso modo, già accennato, per cui, a questo punto, metto le pinne ai piedi, le bombole in spalla, l’erogatore in bocca e la maschera da sub in faccia e, in compagnia della mia macchinetta fotografica scafandrata, faccio un tuffo partendo proprio da sotto la torre, dove il fondale meno sabbioso e più roccioso, le larghe e lunghe fenditure dei suoi tagli ricchi di pesce che si incontrano andando verso il largo e le sue secche appena qualche centinaio di metri più al largo, rendono certamente più interessante, divertente e variegata qualsiasi scorribanda sottomarina.
Si tratta di un’immersione che, compiuta quando il mare è calmo ed in compagnia di subacquei esperti, è consigliabile anche ai neofiti, in possesso del brevetto di primo livello, oltre che agli apneisti, dal momento che la profondità massima non supera mai i 18 metri e, partendo dalla riva, meglio se da sotto il costone roccioso, oltre alla bellezza del paesaggio, ricco di fauna marina, si possono scorgere anche segni dell’antico passato.
Immancabili le terracotte, oramai incrostate ed incastonate alle rocce sottomarine, tanto da divenire un tutt’uno con i fondali ricoperti di coralligeno.
Capita spesso che cocci di anfora e altri materiali finiti in mare nella notte dei tempi siano stati non solo colonizzati da tanti piccoli organismi, ma siano anche divenuti rifugi per alcuni animali marini stanziali come polpi, gamberi, granchi ma anche svariati pesci che amano vivere in tana e trovano soddisfacenti per i loro bisogni i vecchi laterizi.
Si tratta probabilmente di lavorazioni gettate in mare in quanto difettose o rotte, provenienti dalle varie fornaci che in epoca imperiale erano state impiantate nella zona di Giancola per riempirle del pregiato vino locale e del rinomato olio prodotto dai nostri ulivi, destinato al resto del mondo conosciuto, sfruttando a scopi commerciali la gran quantità di creta della falesia, quella stessa falesia che ai giorni d’oggi sta creando sempre più problemi di stabilità a causa dell’erosione della costa, tanto da mettere a rischio strade e costruzioni che lambiscono la costa. Basti pensare che ancor oggi, proprio in località Torre Testa, la litoranea ha un tratto semaforizzato che si percorre a senso unico alternato, a causa di un crollo della falesia sotto il manto stradale avvenuto due anni addietro.
Giungendo più al largo, lì dove il fondale degrada fino ai 18 metri, si giunge sul punto più bello, dal punto di vista naturalistico, della zona.
Qui il ciglio roccioso che si solleva dalla sabbia del fondo è zeppo di anfratti e fessurazioni densamente abitate da pesci di ogni genere, dalle giovani murene a quelle occupate da vere e proprie colonie di saraghi od occhiate anche di notevole pezzatura e, disseminate qui e lì, grosse stelle marine color porpora.
Non mancano, di passaggio, banchi di pesci anche di notevole stazza, come le ricciole, che da metà estate ad inizio autunno sono in perenne caccia di pescetti e che spesso scambiano le bollicine di aria rilasciate dai nostri erogatori per lo sbrilluccicare argenteo delle squame delle loro prede abituali e, allora, si avvicinano, ci girano attorno una, due o tre volte, per poi allontanarsi deluse lasciando chi, come me, è appassionato di fotografia subacquea, libero di scattare dieci, venti o trenta foto! Molto più facile, ovviamente, è immortalare in uno scatto gli animali che vivono in tana o a stretto contatto con le pareti rocciose, sempre presenti in qualsiasi periodo dell’anno e di giorno come di notte. Fra gli incontri più suggestivi che si può fare al Taglio di Giancola, c’è quello, sempre più raro con l’Aragosta, fino ad una ventina di anni fa abbastanza comune nei fondali brindisini e che è sempre emozionante trovarsi di fronte.
Grazie all’ottima visibilità di questo mare cristallino è facile e divertente scoprire mille cose, anche infinitamente piccole, come microscopici molluschi nudibranchi, piccoli crostacei e vermi, dai variopinti colori e belle cipreae dalla conchiglia tanto simile a luccicanti porcellane.
Insomma Giancola, che rappresenta già una vera meraviglia ampiamente godibile, con maschera e pinne, sotto il pelo dell’acqua si appresta, se tutto andrà per il verso giusto e quanto progettato realmente realizzato, potrà essere il punto di partenza per diventare anche in superficie, una meraviglia naturalistica, storica e paesaggistica di cui poter andare fieri.