Il laghetto appare all’improvviso. L’acqua è azzurra, lo stormo di fenicotteri si muove lentamente lungo la riva. Poco lontano ci sono alcuni aironi e altri uccelli acquatici. Ma è lo sfondo che colpisce come un pugno nello stomaco: non spicchi di macchia mediterranea, ma le ciminiere della zona industriale, la famosa torcia del Petrolchimico che sfiamma, i fumi delle aziende che occupano la zona portuale. E dall’altra parte si intravede, sinistro, il comignolo della più grande centrale Enel d’Europa, quella di Cerano. Ma è qui il miracolo, nel parco delle Saline: la natura non solo non ha deciso di arrendersi ma è riuscita a costruire un ecosistema così prodigioso che uccelli, mammiferi e rettili l’hanno eletta a loro rifugio privilegiato. Più che a Torre Guaceto, più che in qualsiasi oasi di verde in provincia di Brindisi.
Un’oasi che sopravvive da sola, affidata alla gestione del Comune di Brindisi che non ha le strutture e un’organizzazioni tali da affiancare il percorso della natura e tutelarlo. E uno spazio che, non garantendo business per lo «scomodo» vicinato industriale, viene snobbato persino dalle associazioni ambientaliste. Il risultato è che il Parco Naturale Regionale delle Saline di Punta della Contessa in pratica non lo conosce nessuno.
L’abbiamo esplorata, muniti di binocolo e macchina fotografica, insieme
a Paola Pino d’Astore, biologa e coordinatrice per oltre tre lustri del “Centro di prima accoglienza fauna selvatica in difficoltà” della Provincia di Brindisi, che fin dalla sua istituzione opera sul territorio provinciale a tutela degli animali, occupandosi di soccorso, cura e rilascio in natura di uccelli e mammiferi, ma anche di ogni altro genere di animale che abbia bisogno di cure adeguate.
Qui le sorgenti di acqua dolce provenienti dall’entroterra, risentono notevolmente della vicinanza al mare, dal quale sono separati da un esile cordone dunale, spesso superate dalle furibonde mareggiate, che rende queste acque salmastre davvero uniche.
Il primo tratto lo percorriamo su una strada sterrata che mette a dura prova le sospensioni dell’auto ma già nei campi posti a margini dello stradone ed appena dissodati dall’aratro si trovano a pasturare decine di aironi cenerini, grandi uccelli dall’apertura alare di quasi due metri che, appena infastiditi dalla nostra presenza, si allontanavano pigramente di appena qualche metro per mettersi a distanza di sicurezza da noi.
Lasciata l’auto nei pressi di una abitazione di gente molto cortese ed ospitale, percorriamo appena qualche metro e subito il rumore di un pesantissimo e rapido battito d’ali precede di qualche istante la visione del passaggio repentino di uno stupendo fagiano maschio adulto che si va a rifugiare nella vegetazione più fitta; poco dopo anche una grossa lepre europea ci attraversa la strada per sparire in mezzo alla macchia mediterranea.
Si tratta solo dell’antipasto: giunti, infatti, ai laghetti costieri situati nei pressi dei resti dell’antica “Torre del Sale” – un’antica costruzione che nel 500 veniva utilizzata per stoccare il sale raccolto nella zona e che su disposizione di re Ferdinando d’Aragona doveva essere donato ai brindisini per favorire il ripopolamento dopo il terremoto e la peste – la nostra biologa raggiunge la torretta di avvistamento per poter sbirciare con il binocolo tutto quanto c’è lì attorno: un numero incalcolabile di anatre di ogni specie, frammista a gabbiani reali e cormorani nuota sulla superficie della Salina Grande mentre qualche stormo si alza in volo e con la classica formazione a freccia si sposta verso un altro bacino, forse perché infastidito dalla nostra presenza o, semplicemente, per andare a cibarsi altrove.
Continuando la passeggiata e volgendo gli occhi al cielo abbiamo avuto modo di ammirare uccelli rapaci, falchi grillai e gheppi, volteggiare elegantemente in cielo in attesa di scorgere un preda su cui calarsi in rapida picchiata e, a un certo punto, anche la Pino D’Astore, che di certo di questi animali ne ha visti e curati a centinaia, si emoziona a scorgere in alto un biancone, cioè una rara aquila dei serpenti, un animale così maestoso ed elegante che mai avrei pensato potesse vivere a due passi dalle nostre case.
Ma il bello doveva ancora venire e, come in ogni banchetto che si rispetti, il dolce viene servito alla fine; quando già credevo di aver visto più di quanto ottimisticamente mi sarei potuto aspettare dal punto di vista naturalistico e di fauna selvatica, ecco che giungiamo in una zona più defilata, fortunatamente di difficile accesso, recintata e vigilata giorno e notte, per cui al sicuro da malintenzionati, quando, attraversando gli arbusti di macchia mediterranea scorgiamo, dietro le dune seminascoste dalle canne, un laghetto colonizzato da splendidi fenicotteri rosa di una bellezza da toglierci il fiato e che mai mi sarei aspettato di poter vedere a pochi passi dalle grandi industrie che, anche loro, hanno colonizzato il nostro territorio.
Dovendo, necessariamente, mantenerci a debita distanza da loro, spingo al massimo lo zoom digitale della mia fedele macchina fotografica per poter fare qualche scatto accettabile e, talmente preso dalla messa fuoco dei fenicotteri, solo in seguito mi rendo conto della inevitabile quanto inquietante presenza di un ecomostro sullo sfondo.
Chiedo, allora, alla biologa cosa voglia dire dal punto di vista naturalistico la presenza di questi animali pressochè stanziali nelle Saline di Punta della Contessa, a due passi dalla Zona Industriale.
“Il Fenicottero rosa -spiega Paola- è una specie migratrice, svernante, parzialmente stanziale, distribuita in limitate località dell’Eurasia e dell’Africa, dove è sottoposta a tutela internazionale in quanto molto specializzata dal punto di vista ecologico e con uno stato di conservazione sfavorevole. Da qualche anno i fenicotteri frequentano, aumentandone il valore naturalistico, le lagune costiere delle Saline di Punta della Contessa con gruppi più numerosi durante i periodi migratori e con singoli individui svernanti e talvolta estivanti. Nelle basse acque salmastre della nostra zona umida hanno trovato il loro habitat dove sostare, rifugiarsi ed alimentarsi. L’osservazione di anelli applicati attorno alla zampa ha rilevato la presenza di fenicotteri provenienti dalla Spagna, ma anche dalla vicina colonia delle Saline di Margherita di Savoia (Foggia), dove nidificano su piccole isole di sabbia o fango appena emergenti dalla superficie acquatica. Steppe salate mediterranee, stagni temporanei, lagune costiere, tra Capo di Torre Cavallo e Punta della Contessa, sono uno scrigno di bellezza naturalistica e quindi di biodiversità, di cui i fenicotteri, insieme ad altre specie protette e prioritarie per la comunità europea, sono l’espressione più sorprendente”.
Ed è davvero un miracolo che, fra i comignoli del petrolchimico e la centrale di Cerano, il parco naturale Saline di Punta della Contessa, duemila ettari di lagune costiere, steppe salate mediterranee, dune mobili embrionali e pascoli inondati mediterranei, siano riusciti a sopravvivere, con non poche sofferenze alla grande colonizzazione industriale ed alla furiosa antropizzazione degli ultimi decenni: è come se qui la natura avesse deciso di prendersi una rivincita sull’uomo, non solo resistendo strenuamente all’invasività dell’industria, agli sversamenti continui e ai fumi delle fabbriche ma creando anche uno straordinario habitat, unico in tutta la provincia di Brindisi.
Un vero e proprio paradiso per gli uccelli migratori che qui nidificano e trascorrono placidamente la bella stagione, cibandosi nell’area umida, a due passi dal mare. Oltre agli splendidi fenicotteri, la zona ospita aironi, falchi, gallinelle d’acqua, usignoli di fiume, il cavaliere d’Italia, il gufo di palude e, poi, rettili quali la tartaruga palustre europea, il cervone, il colubro leopardiano e mammiferi come la volpe, la donnola, la faina e il tasso.
Queste lagune costiere, infatti, sono di un grande valore naturalistico anche per la grande varietà delle specie avicole presenti, in quanto si trova lungo le principali rotte degli spostamenti migratori dall’Europa all’Africa e viceversa, per cui non solo si presta alla sosta, allo svernamento ed alla nidificazione di diverse specie, ma molte di esse, gradendo il clima mediterraneo particolarmente mite della nostra terra baciata dal sole, oramai sono divenute stanziali.
Ma va detto anche che, purtroppo, non è tutto rose e fiori, dal momento che lo stato di abbandono acuitosi negli ultimi anni e la mancanza di adeguata sorveglianza fanno si che il silenzio e la quiete dell’oasi protetta vengono spesso interrotti dagli spari dei fucili dei bracconieri che violano l’area e che a volte organizzano delle battute di caccia muniti di grandi reti per la cattura degli animali. Altre volte è capitato di assistere a vere e proprie gare di motocross illegali tra gli sterrati dell’oasi, senza che nessuna autorità intervenga
Il parco naturale, in forza di una convenzione sottoscritta all’epoca del Sindaco Domenico Mennitti è stato affidato dalla Regione Puglia all’Amministrazione Comunale di Brindisi ma senza che questa abbia fino ad ora creato una struttura in grado praticamente di gestirlo e di tutelarlo.
Non vengono effettuati controlli di polizia faunistica né verifiche periodiche sulla condizione dei luoghi, non esiste una cartellonistica aggiornata né sono stati creati percorsi utili ai visitatori.
La riprova dello stato di abbandono che regna sovrano è rappresentato dalla Masseria Villanova, sorto – come ci insegna lo storico prof. Giacomo Carito – come Abazia Greca di Santa Maria de Ferulellis, già nota nel XII secolo, di poi inglobata nella masseria, con al centro l’antica torre di guardia che nel rendono l’aspetto simile ad un vecchio maniero. Un luogo fantastico e purtroppo oggi deturpato da incuria e vandalismo, dopo che la struttura, acquisita nel 2013 al patrimonio comunale e ristrutturata a caro prezzo per essere adibita a centro visite del parco, ma, di fatto, mai utilizzata è stata lasciata abbandonata a se stessa ed incustodita, fatta oggetto di furti, depredazioni e beceri atti vandalici che l’hanno resa, allo stato, inutilizzabile ed inutili i denari pubblici spesi.
Paola Pino d’Astore, da vera esperta in materia e con cui abbiamo continuato la chiacchierata, ha ben chiare le idee su come andrebbe organizzato e gestito un parco naturale dell’importanza e peculiarità delle Saline di Punta della Contessa per poter salvaguardare le specie presenti e consentire, contemporaneamente, la fruizione almeno parziale da parte del pubblico.
“La perdita di habitat ed il disturbo causato dall’uomo sono tra i fattori più importanti per allontanare le specie animali dal loro ambiente naturale. Nella fruizione naturalistica delle aree protette sarebbe opportuno preparare i partecipanti ad una visita guidata con personale esperto e qualificato che fornisca un approccio corretto all’esperienza da vivere in natura, soprattutto se vissuta durante il delicato periodo riproduttivo della fauna selvatica presente. Penso, inoltre, ad una sentieristica e cartellonistica adeguata, capanni o torrette di osservazione dotati di attrezzatura, accesso sicuro e schermato. La corretta fruizione naturalistica avviene nel rispetto della giusta distanza dagli habitat e dai siti riproduttivi delle specie animali e pertanto alcune aree dovrebbero essere riservate solo ad attività di monitoraggio e ricerca scientifica. Una prioritaria azione di salvaguardia è quella della sorveglianza, fondamentale per contrastare possibili fonti di inquinamento, il bracconaggio e la distruzione della vegetazione e dei siti riproduttivi con uova e pulli attraverso il passaggio di automezzi, trattori e motocross”.
L’assessore all’Ambiente e ai Parchi del Comune di Brindisi, Roberta Lopalco, che ha avuto modo di vedere dal vivo i danni causati dai vandali alla storica Masseria Villanova, il cui restauro era costato €.850.000,00 di soldi pubblici, è ben consapevole della sfida che l’attende per rendere fruibile non solo questa struttura ma l’intero Parco delle Saline di Punta della Contessa: “in assenza di un piano di gestione – ammette l’assessore – la struttura a fine lavori è stata vandalizzata; c’è un residuo di finanziamento di 150.000 euro con cui verranno ripristinate le finiture e gli impianti per rendere fruibile l’immobile e stiamo lavorando anche per una idea di gestione perché non si ricada nello stesso errore e che la masseria sia vandalizzata nuovamente. Questo fa parte di un progetto complessivo di valorizzazione dell’intera area protetta per cui c’è già un altro finanziamento che riguarda la tutela della biodiversità con il consolidamento del cordone dunale per circa €.300.000 e, inoltre, abbiamo candidato sempre questa area protetta ad un progetto che prevedere la riforestazione per circa 39 ettari con la piantumazione di 6.000 alberi di alto fusto come roverelle e pioppi in grado di assorbire CO2 e polveri sottili”.
Qualche dubbio nasce per la scelta di piantumare alberi di alto fusto non certamente da macchia mediterranea, ma più che altro da pianura padana, come sono i pioppi, all’interno del parco e, personalmente, nel corso delle due giornate dedicate a passeggiare fra le dune costiere e le paludi ho avuto modo già di vedere qualche filare di pioppi che sembra stonare non poco con la bassa vegetazione stepposa della zona e dello stesso avviso sembra essere anche la biologa secondo la quale: “La piantumazione di piante di pioppo in un campo all’interno dell’area parco può essere percepita come una presenza insolita ed estranea all’ambiente circostante. In effetti il pioppo è una pianta arborea igrofila che nel nostro territorio è per lo più associabile alla vegetazione ripariale dei canali d’acqua e dei suoli depressi soggetti ad allagamenti. Il piano di gestione del Parco Naturale Regionale Punta della Contessa prevede azioni di riqualificazione ambientale e azioni di rinaturalizzazione in un contesto ambientale dove gran parte della superficie dell’area protetta è di natura agricola e dove è necessario rispettare le peculiarità biologiche del Sito di Importanza Comunitaria. Sono fiduciosa che la piantumazione circoscritta di specie arboree finalizzata, ad esempio, alla fitodepurazione per la bonifica di alcuni terreni o alla produzione di biomassa, sicuramente rispetterà le caratteristiche della parte più naturalistica del parco, ben diverse dal bosco ad alto fusto, ovvero quelle di un ambiente aperto di tipo steppico dove prati umidi attorno alle lagune costiere e la bassa macchia mediterranea si mescolano e fondono con coltivazioni ad ortive, incolti ed aree di pascolo: è questo il regno dei passeriformi, degli aironi e territorio di caccia dei falchi”.
La visita guidata ci ha insegnato come la natura sappia sempre reagire nel modo migliore e che, nonostante l’azione invasiva dell’uomo non tutto è compromesso e che se alla capacità della natura di adattarsi ai traumi e ai cambiamenti si abbina una maggiore consapevolezza da parte dell’uomo, una maggiore sensibilità riguardo le necessità della natura ed un maggiore impegno non solo economico ma anche organizzativo e gestionale, non solo il Parco delle Saline di Punta della Contessa potrà sopravvivere, ma questo incredibile ecosistema potrà anche cominciare a prosperare. Nonostante l’uomo.