Sant’Andrea l’isola che non c’è: sospesa tra cielo, mare e abbandono

L’idea originaria era quella di compiere una normale passeggiata naturalistica, armati di binocolo e macchina fotografica, per scoprire, accompagnati dalla biologa Paola Pino d’Astore, la fauna selvatica che ha colonizzato l’isola di Sant’Andrea, che, anche se ormai sono pochi i brindisini che lo sanno o che lo ricordano, un tempo era una vera e propria isola, staccata dalla terraferma, ma a cui, è stata unita a seguito della costruzione della diga foranea in località Bocche di Puglia.
Una volta sul posto, non è stato possibile resistere alla tentazione di dare un’occhiata intorno per vedere, purtroppo, non solo le vestigia di una antichità gloriosa, ma anche tanto degrado risalente all’ultimo decennio o poco più.
L’isola, per la posizione strategica, protesa verso il mare aperto, ha da sempre assunto un ruolo fondamentale per la protezione della città dagli attacchi via mare, tant’è che già i Normanni vi costruirono un avamposto militare; in epoca successivi gli Angioini eressero una torre cilindrica.

Quando si intensificarono gli attacchi da parte degli Ottomani, nella seconda metà del XV secolo, Alfonso, duca di Calabria, figlio di Ferrante d’Aragona cominciò l’edificazione del Castello e quasi un secolo dopo gli Asburgo costruirono anche Forte a Mare.
Per una migliore difesa delle postazioni militari, l’isola nel tempo è stata divisa artificialmente in tre parti: sulla più esterna sorge appunto il Castello Alfonsino, staccata dall’area del Forte a Mare con l’apertura della darsena; la porzione più a nord, conosciuta come Lazzaretto, fu separata dalla restante porzione con l’ampio taglio della roccia denominato Canale Vicereale, su quest’area nei primi anni del secolo scorso fu installata, a fini bellici, la batteria di cannoni denominata “Pisacane” a difesa dell’ingresso nel porto di Brindisi e dello specchio acqueo della litoranea nord.

Tralasciamo la parte più nota dell’isola, quella dove si stagliano il Castello Alfonsino e Forte a Mare con l’Opera a Corno, attualmente interessati da una poderosa opera di restauro del costo di svariati milioni di euro, che dovrebbe renderli fruibili al pubblico già nel corso del corrente anno, per occuparci, invece, della parte che, anche se è stata utilizzata fino ai primi anni del nuovo millennio, appare ora estremamente trascurata e gli edifici ivi esistenti, anche quelli di costruzione più recente, pericolanti e diroccate.
La nostra passeggiata ha inizio da quella parte dell’isola attaccata a nord alla diga di Punta Riso, col lato ovest che guarda verso il porto medio dirimpetto al Porticciolo Turistico ed il lato est, frastagliato di scogli, si affaccia sul porto esterno.
La prima meta che raggiungiamo, dopo aver camminato per alcuni minuti sull’ampia spianata che, all’epoca della costruzione della diga di Punta Riso, fu utilizzata per movimentare i mezzi ed i macchinari necessari al trasporto dei materiali ed alla costruzione dell’opera, ma di cui la natura si sta riappropriando facendo crescere vegetazione di macchia, è proprio la scogliera. colonizzata da diverse specie di uccelli marini che vivono in promiscuità, fra cui abbiamo potuto ammirare i grandi Cormorani dalle penne color ebano, Gabbiani reali, Gabbiani comuni, Beccapesci con la curiosa testa nera, Piovanelli pancianera ed altro ancora.

Stante la distanza dal nostro punto di osservazioni sono costretto a montare la macchina fotografica sul treppiedi e spingere lo zoom al massimo per poter immortalare questo mix ornitologico in un unico scatto.
Poco dopo, una elegante e candida Garzetta, dal lungo becco nero, infastidita dalla nostra presenza, si alza elegantemente in volo dalla spiaggetta sottocosta e, dopo un’ampia virata si posiziona, a distanza che reputa di sicurezza, su uno scoglietto in mezzo al mare.
Ancora più distanti, nel tratto di mare fra l’isola e la diga, quasi all’altezza delle boe che segnalavano un tempo gli impianti di cozze, uno Svasso maggiore ed uno Svasso piccolo sono intenti a nuotare placidamente e, di tanto in tanto, ad immergersi per catturare con estrema destrezza qualche pesciolino di cui sono particolarmente ghiotte
Girate le spalle al mare, diamo un’occhiata verso la pineta secolare che rappresenta un vero e proprio polmone verde in mezzo al mare, e scopriamo le antiche e meno antiche costruzioni militari presenti sull’isola, ma anche alcune costruzioni destinate sicuramente a civili abitazioni dei militari con le loro famiglie, tutte ormai dismesse, in uno stato di pericoloso ed assoluto abbandono: tetti e pareti crollate, infissi e cavi elettrici asportati, botole lasciate pericolosamente aperte e, dappertutto, ammassi di immondizia, sicuramente non trasportati dal mare, dal momento che invadono anche le zone più alte e centrali dell’isola.
L’isola di Sant’Andrea, propriamente detta, quella cioè che abbiamo appena visitato e descritto, è ancora sotto la competenza del Demanio Marittimo che, però, dacchè i militari hanno abbandonato le loro vecchie strutture, nessuno se ne è più occupato né per manutenerla e preservarla né, tanto meno, per vigilare su di essa; negli ultimi anni, sia il Comune di Brindisi che l’Autorità Portuale, hanno in qualche modo manifestato l’interesse ad ottenerla.

Ovviamente la soluzione migliore per i cittadini non può che essere il passaggio dell’isola, nella sua integralità, al Comune, già impegnato nella riqualificazione, valorizzazione e futura fruizione al pubblico dell’Opera a Corno e del Castello Alfonsino, anche perché per giungere a Forte a Mare si deve necessariamente passare dall’isola di Sant’Andrea e se non fosse un ricettacolo di immondizia costellato di trappole mortali e vecchi edifici pericolanti, sarebbe certamente un gran bene per la collettività. Un eventuale passaggio dell’isola all’Autorità di Sistema Portuale, invece, rischierebbe di togliere anche per il futuro la possibilità di pubblica fruizione, senza alcun reale beneficio per il territorio.
Certo è che la situazione di degrado, come dimostrano i pochi scatti effettuati nello scorso fine settimana, non è tollerabile, per cui ci si auspica un pronto intervento non tanto e non solo per mettere qualche generico cartello di pericolo, ma per risanare l’area eliminando ogni possibile insidia, ancor prima dell’apertura al pubblico del Castello.
Riprendendo la passeggiata naturalistica e tornando verso la vecchia diga dove avevamo lasciato l’auto, notiamo che un gruppo di una mezza dozzina di Garzette, che aveva preso il volo dal lato ovest dell’isola, si era andata a posizionare sul lato est, su alcuni scoglietti affioranti posti di fronte ai pontili del porticciolo.

Come di consueto, al termine della passeggiata, qualche domanda alla dott.ssa Pino d’Astore è d’obbligo, per meglio comprendere quello che abbiamo avuto modo di vedere e documentare fotograficamente.
Posso chiederti innanzi tutto qualcosa che esula dalle tue specializzazioni e dalle tue competenze, ma che sicuramente urta la tua sensibilità, vale a dire cosa hai provato a vedere e toccare con mano lo stato di degrado che regna sovrano sull’isola di Sant’Andrea, che tu hai avuto modo di visitare anche una decina di anni fa, quando ancora era attiva come base logistica-militare?
“Gli edifici militari abbandonati che si trovano sull’Isola di Sant’Andrea e che da Bocche di Puglia precedono il Castello Alfonsino, raccontano comunque una storia che appartiene alla città di Brindisi. Soprattutto gli edifici più antichi, quelli con la particolare architettura militare di tipo difensivo, potrebbero essere recuperati per una destinazione d’uso civile, turistico-culturale, conservando la naturalità della vegetazione spontanea, senza alterarla nella sua composizione, ben adattata a quel particolare ambiente. E’ un luogo unico ed affascinante per la sua privilegiata ubicazione tra “due mari”, ovvero il porto medio ed il porto esterno di Brindisi. In ogni caso, con amarezza, resta sempre il problema di facili atti vandalici, in assenza di custodia continuativa.”
Quali sono le peculiarità di questo sito e quali sono i frequentatori “selvatici” che abbiamo incontrato e che si possono incontrare tra Bocche di Puglia e l’Isola di Sant’Andrea?

“Innanzitutto osserviamo l’ambiente naturale. Sia dal lato esterno che da quello interno dell’arco della vecchia diga, denominato Bocche di Puglia, la scogliera è bassa e le correnti marine formano piccole insenature sabbiose e ciottolose. Qui è abbastanza frequente avvistare le Garzette, bianchi ed eleganti aironi, intenti a pescare pesci e molluschi e che poco prima del tramonto si radunano in un dormitorio tra le chiome della piccola pineta dell’Isola di Sant’ Andrea. La bassa scogliera intorno all’Isola è pattugliata da un andirivieni di Cormorani, Gabbiani comuni, Gabbiani reali e Beccapesci, slanciato uccello marino appartenente al gruppo delle sterne, tutti impegnati nella ricerca del cibo, fino a quando non scelgono sicuri scogli affioranti per dedicarsi al meritato riposo ed alla pulizia del piumaggio.
Tra i sedimenti delle insenature varie specie di limicoli setacciano minuziosamente le sponde alla ricerca di insetti, vermi, molluschi e crostacei. Si tratta di uccelli ripariali di piccole dimensioni, come il Gambecchio, il Piro piro piccolo, il Voltapietre, il Corriere grosso, il Piovanello pancianera, che si radunano anche in gruppetti misti, pronti a spiccare il volo al minimo disturbo.
In condizioni di alta marea, alcune giovani o subadulte tartarughe marine (Caretta caretta), seguendo le correnti ed i banchi di pesce, passano sotto l’arco di Bocche di Puglia, spostandosi dal mare aperto verso le calme acque del porticciolo turistico e dell’Isola di Sant’Andrea, strutture che tanto caratterizzano paesaggisticamente il porto medio di Brindisi e nelle cui acque sono stati avvistati anche esemplari di Tursiope, la specie di delfino più costiera presente nel mar Mediterraneo.

Nello specchio acqueo compreso tra l’Isola di Sant’Andrea e la diga nuova di Punta Riso, dove la bassa scogliera è rivolta verso il porto esterno, tra le anatre più interessanti vi è lo Smergo minore, migratore e svernante regolare, proveniente dall’Eurasia nord-orientale. Si nutre di pesce che cattura con brevi immersioni. Ha la base del becco sottile ed elegante ed un vistoso ciuffo occipitale che può sollevare a forma di cresta, comunicando in tal modo …. l’umore del momento! Da dicembre scorso è presente una grande anatra marina, avvistata anche durante la nostra passeggiata. Si tratta di una femmina di Edredone, specie del nord Europa, in Italia migratrice e svernante regolare con alcune decine di individui, per cui vederla a Brindisi mentre nuota placidamente tra la foce di Fiume Grande e l’Isola di Sant’Andrea è decisamente entusiasmante.”
Nella tua attività di responsabile del Centro di prima accoglienza fauna selvatica in difficoltà” della Provincia di Brindisi, che fra pochi giorni dovrebbe riaprire i battenti dopo quasi due anni di chiusura forzata, ti è capitato di soccorrere animali selvatici nei pressi dell’isola di Sant’Andrea, “terra di mezzo” tra il porto medio e porto esterno di Brindisi ?
“In effetti mi vengono in mente subito due casi in cui fu chiesto il nostro intervento.

Nel primo caso, risalente a circa dieci anni addietro, un giovane Gabbiano reale fu trovato in difficoltà da un maresciallo di Marina Militare, presente nel presidio all’epoca attivo sull’Isola di Sant’Andrea. Insieme a lui riuscimmo a contenere e soccorrere questo giovane gabbiano che essendo molto reattivo e combattivo non ne voleva sapere di collaborare. Durante la visita veterinaria furono rimossi, dalla cavità orale, due ami da pesca e trascorsi pochi giorni di controllo, questo grande e vivace uccello acquatico, al termine della sua breve degenza, ritornò sull’isola dove lo aspettava il maresciallo, felice testimone del suo volo in libertà.

Nel secondo caso, un pescatore amatoriale riuscì a recuperare, nei pressi della diga di Punta Riso, una giovane tartaruga marina della specie Caretta caretta che nuotava a fatica in superficie, con attorno alla pinna anteriore destra un cumulo di rifiuti galleggianti (un groviglio di lenza da palamito con annessa cassetta di plastica). Lui stesso la liberò da questo peso, consegnandola poco dopo al personale del Centro Fauna Selvatica della Provincia di Brindisi, allertato dalla Capitaneria di porto, a seguito della segnalazione fatta dal medesimo rinvenitore. La lenza aveva provocato una lesione da costrizione per la quale furono necessarie continue e amorevoli cure veterinarie, utili alla riabilitazione della piccola pinna, fino al giorno della sua guarigione e conseguente rilascio in mare del giovane esemplare da una delle belle spiagge del litorale brindisino. La speranza per queste creature è che possano pinneggiare senza incappare in nuovi ostacoli, che, purtroppo, costano la vita a tante tartarughe marine. Fortunatamente tante altre, con impegno e dedizione, siamo riusciti a salvarle.”