di Gianmarco Di Napoli per IL7 Magazine
Un giovane padre di Tuturano (41 anni), “già noto alle forze dell’ordine”, come si dice in gergo, qualche giorno fa ha chiamato i figli di 18 e 21 anni e li ha fatti salire su un’auto rubata. “Andiamo a fare una rapina”, ha detto ai due ragazzi, armandoli di pistola e coltello. Alessio e Andrea, che a differenza sua non avevano mai avuto guai con la giustizia, sono montati in silenzio sulla vecchia Fiat Uno trafugata a un pensionato di Carovigno e si sono diretti a Brindisi. Papà Cosimo aveva già scelto l’obiettivo della rapina: la tabaccheria-ricevitoria di via Bezzecca, al rione Santa Chiara, a 100 metri dal Tribunale.
Sono entrati con il volto coperto e armi in pugno, minacciando i clienti e i proprietari della tabaccheria. Hanno portato via un ottimo bottino: settemila euro in contanti e una macchinetta cambia soldi con altri 1.500 euro. Poi mentre fuggivano verso casa, imboccando la strada per Tuturano, li hanno intercettati i carabinieri. E’ nato un inseguimento, la Fiat Uno è finita fuori strada, sono stati arrestati tutti e tre e portati in carcere.
Davanti al giudice che lo interrogava, papà Cosimo ha cercato di alleggerire la posizione dei figli: “E’ colpa mia, li ho trascinati io, avevo bisogno di soldi per pagare un debito di quattromila euro, avevo perso il lavoro. Loro non c’entrano”.
I due ragazzi hanno ottenuto i domiciliari, ma solo perché erano incensurati. Lui invece è rimasto in carcere. Nonostante l’assunzione di responsabilità del padre (ma solo giudiziaria), il fatto di aver scelto i propri figli come complici per commettere una rapina li porterà molto probabilmente a una condanna e a macchiare la loro fedina penale. Oltre a ciò, i due ragazzi sono stati messi consapevolmente in condizione di rischiare la vita durante l’irruzione nella tabaccheria e nel corso del successivo inseguimento con i carabinieri, conclusosi con un incidente stradale che poteva avere conseguenze fisiche ben più gravi.
La storia della criminalità locale racconta ormai la terza generazione dei malavitosi che negli anni Settanta si spartivano il traffico delle sigarette e compivano le prime rapine. Molti figli e nipoti di banditi hanno seguìto le orme familiari, quasi sempre divenendo più spregiudicati e avidi di genitori e nonni. Del resto i cognomi degli arrestati, spesso, ricordano antiche vicende, anche luttuose. Quasi sempre si tratta di ragazzi cresciuti mentre i padri scontavano anni di galera e ne ereditavano – spesso per diritto e in maniera automatica – i galloni delinquenziali. In un sistema patriarcale in cui le madri continuano a non avere alcuna voce in capitolo.
C’è stato però anche chi, pur essendo un malavitoso di primo piano, se non addirittura un boss, ha scelto sin dal primo momento di allontanare i figli da quella strada, sperando in una sorta di rivalsa sociale, o forse semplicemente preoccupato che almeno loro potessero evitare il carcere e una vita che si incrocia troppo spesso con la morte.
Lo ha fatto Tonino Luperti, boss del contrabbando poi morto ammazzato negli anni Novanta, che impose al figlio Lino di restare lontano da quel mondo, ottenendo (postumo) un riconoscimento che neanche lui poteva sognare: il ragazzo sarebbe diventato assessore comunale nella città in cui il cognome Luperti fino a pochi anni prima era pseudonimo esclusivamente di malavita.
Ma ancor prima di lui lo aveva fatto un altro boss ben più quotato, il mesagnese Cosimo Persano, uno dei primi capi della Sacra corona unita. Persano volle a tutti i costi che il figlio che aveva avuto con la sua compagna Silvana Foglietta rimanesse lontano dai traffici che avrebbero insanguinato la provincia di Brindisi a partire dalla fine degli anni Ottanta, nella più spietata guerra di mafia che si ricordi in questa provincia. Il ragazzo non solo non è diventato un bandito, ma ha studiato, è diventato un professionista, lontano anni luce dal crimine: Persano e la Foglietta nel frattempo sono stati uccisi. Salvandogli la vita.
Nel complesso codice malavitoso in cui i princìpi seguono una loro logica (lontana da quella della Giustizia) si può scegliere se tollerare o meno che i figli seguano la cattiva strada dei genitori. Ma tentare di scagionarli dopo averli armati per compiere una rapina sembra davvero una tardiva e inutile assunzione di responsabilità. Di padre.