Sveva, anche il «papà» le volta le spalle: “Pensavo di darle soldi per i bambini poveri”

Quando io ho scoperto un mucchio di altre cose devo ammettere che forse il mio giudizio, le dico è stato molto doloroso digerire questa cosa, però, sa, i giudizi te li fai complessivamente, in quel momento non avevo neanche la capacità ma dopo ho sentito una cosa, l’altra, sono andato a fondo di una cosa, dell’altra e devo dire sì̀, la mia versione sarebbe un po’ quasi come uomo offeso nella sua dignità perché mi ha offeso nella mia dignità; compreso quel signor Rizzo che se permettete una parola è un infame perché, scusate, perché sono tante bugie, capito? E allora forse l’attore è una persona intelligente etc. ma chi gli tiene botta è proprio un infame. Scusate, è una mia valutazione”: è stato un autentico colpo di scena quello avvenuto nel processo che vede alla sbarra Paola Catanzaro, alias Sveva Cardinale, il marito Francesco Rizzo e altre sette persone componenti la presunta banda che spalleggiava la finta veggente.
L’unico tra i tanti che avevano “donato” ingenti somme di denaro alla Catanzaro e che si era sempre rifiutato di accusarla di averlo circuito, il noto commercialista padovano Vittorio Boraso, in aula ha fornito una versione sostanzialmente diversa rispetto a quello che aveva dichiarato in sede di interrogatorio davanti al pubblico ministero Luca Miceli e ai militari del Nucleo di polizia economico finanziaria della guardia di finanza. Ha ammesso di aver finalmente compreso che il denaro che lui inviava a Catanzaro, convinto che servisse per mantenere bambini poveri di Brindisi, finiva nelle tasche di chi a un certo punti aveva persino pensato di adottare. E ha puntato il dito contro il marito di Paola, definendolo infame.
Si tratta di un colpo di scena che fa vacillare una delle poche certezze su cui sperava di fare affidamento la difesa nel difficilissimo compito di smontare un quadro accusatorio documentato sia sul piano delle testimonianze che degli accertamenti patrimoniali. Finora il professionista non solo aveva difeso la veggente, ma aveva continuato ostinatamente a inviarle denaro anche quando l’inchiesta era stata avviata, e aveva persino nominato come avvocato (la cosa è emersa nell’ultima udienza) Cosimo Pagliara, ossia uno dei difensori della Catanzaro. Per chiarire il ruolo avuto finora da Boraso basti ricordare che tra i i beni posti sotto sequestro dalla procura alla veggente, l’unico restituito dal Tribunale del Riesame era stata una villa da 300 mila euro situata ad Asiago. Furono proprio i coniugi Boraso a chiarire che la villa intestata a Catanzaro le era stata donata per i rapporti affettivi nei confronti della donna che avrebbero voluto adottare come figlia. I Boraso, come aveva rilevato il Tribunale, non avevano mai presentato denuncia contro Sveva e le avevano donato il denaro spontaneamente in attesa che portasse il loro stesso cognome. Ma poi le cose evidentemente sono cambiate. Sino al clamoroso epilogo
Il7 Magazine è in grado di documentare le dichiarazioni di Vittorio Boraso virgolettandole in maniera precisa, grazie alla trascrizione del verbale di udienza redatto con il sistema della fonoregistrazione. Un atto pubblico.
Il commercialista padovano, quasi settantenne e tra i più quotati professionisti in Veneto, ha iniziato a far trasparire il cambiamento d’atteggiamento già mentre rispondeva agli avvocati di parte civile (in particolare gli avvocati Giovanni De Cataldis, Valerio De Cataldis, Michele Iaia) ma ha poi definitivamente deciso di spiegare la sua graduale assunzione di consapevolezza quando è stato interrogato dal pubblico ministero Luca Miceli.
Ecco i passaggi essenziali della sua deposizione, durante la quale Boraso ha spiegato di essersi reso conto di quanto gli era successo dopo aver superato il dramma della morte della figlia e le difficoltà di un intervento chiurgico.
Pubblico ministero – Lei prima ha parlato, ha riferito del fatto che il Catanzaro le riferisse che si occupava di bambini?
BORASO – Sì.
P.M. – Ma Lei ha mai visto qualcosa di concreto? Le hanno mostrato mai delle opere? Ha visto questi bambini dove vivevano qui a Brindisi? Ha visto qualcosa?
BORASO – No, dove vivevano no, perché mi parlava sempre della San Vincenzo.
P.M. – Lei c’è mai stato alla San Vincenzo, alle suore?
BORASO – No.
P.M. – Quindi questi bambini non li ha mai visti?
BORASO – Quando sono venuto giù che mi ha ospitato a Ostuni sono venuto in centro e avevo chiesto andiamo a vedere, anche mia moglie, andiamo a vedere questi bambini, incontrare questi bambini.
P.M. – E non glieli ha fatti vedere? Ha addotto delle scuse? Le ha detto qualcosa?
BORASO – E va be’, sempre solite cose dai. Ascolti…
P.M. – No, se può essere un po’ più preciso, lo so che è difficile però Lei ha chiesto…
BORASO – Scuse, scuse, c’era sempre qualche scusa, c’era sempre qualche scusa.
P.M. – Okay. Quando Lei è stato sentito da me ma anche nel prosieguo ha anche depositato una lettera di sua moglie.
BORASO – Sì̀.
P.M. – Nella quale anche sua moglie esprimeva la volontà di adottare la signora Catanzaro.
BORASO – Paolo.
P.M. – Paolo. Lei ha proceduto all’adozione, avete proceduto
all’adozione? Immagino di no. Ci sono dei motivi per cui
non avete proceduto alla adozione?
BORASO – Il mondo è cambiato per me dal 2017, ho aperto un po’ gli occhi.
P.M. – Ecco, in che termini è cambiato il mondo e in che cosa consiste questa apertura diciamo?
BORASO – È come un collage, ti mancano dei pezzi e ti cominciano ad arrivare da varie fonti questi pezzi e dopo cominci anche a capire il perché, ad esempio, quando sono venuto qui perche Paolá mi ha ospitato ad Ostuni? Perché non potevo venire a Brindisi? Perché quando sono venuto da Paola nel 2017 mi ha ospitato in un agriturismo e io ero andato a casa sua a suonare il campanello e lei ha addotto la giustificazione che c’era quello de “Le Iene”; a me il problema de “Le Iene” a un certo punto… ma il problema forse, e penso nella mia ignoranza, se accedevo in quell’appartamento vedevo una realtà forse diversa. Le dirò di più, noi aiutando gli altri siamo un po’ parchi verso noi stessi, non siamo scialacquatori, l’ho incontrata a Milano un giorno che doveva non lo so cosa alla mattina si è presentata con giubbino ultima moda firmato che sarà costato va be’, nel pomeriggio ne aveva… Cioè cominciava a non quadrare la faccenda, capito? non stavo più parlando del Paolo povero che avevo visto sul letto con un pigiama tutto bucato, dopo vedevo una donna che andava alla spa, pitturata etc. etc., all’ultima moda; evidentemente era il problema del film, non lo nego, poteva essere il film che conduceva questa vita ma non era più la mia. Lì ho voluto fare l’affare perché non è la mia vita, cioè io preferisco andare a mangiare con gli operai piuttosto di andare a mangiare… Ho saputo, scusi, ho saputo che si è anche comprato una barca e l’ho saputo casualmente. Una barca? Con cosa? Con i sacrifici che dovevi dare i soldi ai bambini?
P.M. – E piano, piano se si ricorda ce lo dice. Questa questione della barca. Poi?
BORASO – La vita che conducevano, le falsità, mi era stato detto che faceva un viaggio in Terra Santa e dopo qualcuno mi ha mandato, è andata nei Paesi arabi a divertirsi. Ho visto. Ho saputo durante un interrogatorio, non lo so etc., che aveva anche un’auto Mazda. Mia moglie ha dodici anni la sua auto e io undici l’auto. Chiaro? E questi andavano via in fuoristrada e aveva anche un’altra macchina, l’altro aveva la barca, cioè si sono accumulati delle cose. I giornali, mi hanno fatto un bell’articolo anche a Padova, per fortuna io ho le spalle grosse e la gente crede in me però non ho avuto un buon servizio da questo e soprattutto noi stavamo a casa a fare da mangiare la domenica perché il lunedì alle otto ero in Posta per mandare via i pacchi. Quando ho saputo che i bambini non c’erano, mi conceda!
P.M. – È chiaro. Ma ad oggi Lei tutto questo denaro ha un riscontro delle opere caritatevoli che sarebbero state fatte con questo denaro oppure Lei dice mi sento offeso perché non ha fatto niente con tutti quei soldi?
BORASO – Zero di zero, pensavo che ci fosse un trullo, almeno un trullo per fare le vacanze qui e l’Avvocato in una telefonata mi dice: “lì c’è terra”.
P.M. – E come opere caritatevoli non ce ne sono? Non ha visto? Non conosce?
BORASO – Io non lo so, i bambini non ci sono.
P.M. – Altri tipi di attività?
BORASO – La casa niente, il trullo no, il cinema va be’, poteva essere, è andato…
P.M. – No, va bene, quella è attività diciamo diversa, lasciamo stare…
BORASO – Il cinema è una storia.
P.M. – Lasciamo stare la questione del film. Io sto dicendo
tutte queste elargizioni che Lei ha fatto prima del film per sostenere, come le veniva detto, attività caritatevoli.
BORASO – Zero.
P.M. – Ha avuto riscontro di queste attività?
BORASO – Zero.
Poco prima, rispondendo alle domande dell’avvocato Pagliara, difensore della Catanzaro, Boraso aveva spiegato di essersi recato nella casa di Assisi che attraverso un leasing era di fatto a disposizione della veggente: «Qualcuno aveva anche preso un appartamento ad Assisi per la signora, si immagini di andare dentro e trovare stanze vuote. Sono andato dentro e mia moglie a momenti sviene e trova mobili che neanche io ho firmati in casa, pentole che neanche io ho firmate in casa, una cosa… Cioè ci siamo guardati: ma questa era la povertà? Questa era la povertà? E poi ho saputo anche casualmente, chiedo scusa, ho saputo parlando con un vicino etc. che quella signora frequentava la spa per farsi i massaggi etc., capito? Questa era la cantonata che ho preso».