Sveva, fine dello show: retroscena di un’inchiesta che lambisce anche la Chiesa

di Gianmarco Di Napoli per IL7 Magazine

Ci sono voluti esattamente 25 anni, perché la giustizia terrena mettesse (forse) fine alla carriera del “mistico” di Brindisi. Era iniziata nel mese di febbraio 1993 in un appartamento delle case popolari al rione Sant’Elia: Paolo Catanzaro, un introverso ragazzino di 17 anni, figlio di un netturbino, raccontava di vedere la Madonna e di riuscire a parlare con lei. Ed è terminata un quarto di secolo dopo con Paola Catanzaro (o Sveva Cardinale, nome d’arte dell’ex veggente divenuto show-girl, dopo un costoso intervento chirurgico per cambiare sesso): ricca oltre ogni possibile spiegazione, aspirante attrice, aspirante scrittrice, aspirante imprenditrice, arrestata e rinchiusa nella sezione femminile del carcere di Lecce con l’accusa di aver guidato un’organizzazione che ha accumulato milioni di euro (almeno quattro, ma la stima è molto approssimativa, e in difetto) fingendo di possedere doti di santità.
Di mezzo ci sono famiglie distrutte, coppie separate, bimbi a cui è stato impedito di nascere, uomini che hanno perso un patrimonio e anche la dignità, donne che sono finite in psicanalisi. Non si tratta però di poveracci, rastrellati nelle classi sociali più deboli, disperati che ricorrono a maghi e chiromanti per sciogliere incantesimi o farsi preparare filtri d’amore. Tutte le vittime di Catanzaro sono professionisti o imprenditori di altissimo livello, di cultura medio-superiore, in pieno possesso (apparentemente) delle loro piene facoltà mentali. Ciò che rende il caso unico in Italia è proprio questo: Paola Catanzaro, che negli studi si è fermata alla terza media, attorniata da un manipolo di suoi pari, sarebbe riuscita non solo a ingannare ma a rendere totalmente succubi di sé individui dotati di cultura e capacità professionali che avevano consentito loro di acquisire una posizione di prestigio, sia economica che sociale. In mezza Italia.
Ma la vicenda ha un’altra peculiarità: i raggiri, secondo la casistica criminale, vengono compiuti generalmente in un piccolo arco di tempo, quello necessario per circuire, incassare e fuggire. Le vittime di Catanzaro invece sono state agganciate al treno per anni, qualcuna per oltre un decennio. In questo lunghissimo arco di tempo sembra siano state totalmente annullate, ammaliate, del tutto incapaci di rendersi conto di quello che stava avvenendo. Smontando pezzo per pezzo la propria vita e arrivando spesso sull’orlo del baratro,
La controprova arriva non solo dallo spessore dei nove professionisti che hanno denunciato la truffa, ma dalla ostinata decisione di un’altra presunta vittima (uno dei più importanti e facoltosi commercialisti del Veneto) e della moglie non solo di non denunciare l’ex veggente, ma di disconoscere la figlia che aveva “osato” denunciare la Catanzaro. L’altra figlia, pochi mesi fa, è morta quarantenne per un attacco cardiaco proprio nei giorni in cui tentava invano di far uscire i genitori da questa specie di incantesimo.

L’INCHIESTA
L’inchiesta, condotta dai finanzieri Nucleo di polizia economico-finanziaria di Brindisi, è durata oltre sei mesi ed è stata particolarmente complessa perché sul tavolo del pm brindisino Luca Miceli (un passato nel pool anti ’ndrangheta in Calabria) sono giunte non solo le denunce presentate a Brindisi, ma anche quelle formalizzate a Padova e a Bari, le altre due province in cui si sarebbero verificate la maggior parte delle truffe. Le ordinanze di custodia cautelare sono state emesse dal gip Giuseppe Biondi: carcere per Paola Catanzaro, che oggi ha 42 anni, con l’accusa di essere a capo di un’associazione per delinquere finalizzata alla truffa. Arresti domiciliari per Francesco Rizzo, 40 anni, il compagno di Paola sin da quando era uomo e che ha sposato il 25 luglio 2015 con un matrimonio extralusso celebrato a Ravello in un hotel a 5 stelle, organizzato dal wedding planner più famoso in Italia, il conduttore televisivo Enzo Miccio.
Sette gli indagati a piede libero, in pratica tutto il “cerchio magico” della Catanzaro: le sorelle Pina (48 anni) e Addolorata (52), le sue collaboratrici più fidate. E poi Stefania e Anna Casciaro (rispettivamente di 40 a e 42 anni, originarie di Minervino di Lecce), Giuseppe Conte (41), di Poggiardo, sottufficiale dell’Aeronautica militare. Infine Anna Picoco (40), sampietrana trapiantata a Brindisi, e Lucia Borrelli (52), di Conversano. Queste ultime due avrebbero rivestito un ruolo centrale nell’organizzazione, in particolare la Borrelli era colei che materialmente si occupava di ritirare il denaro delle «donazioni». Entrambe – messe alle strette – avrebbero deciso di ammettere le loro responsabilità e i loro interrogatori sono divenuti un tassello fondamentale per fornire un riscontro alle accuse delle vittime.

IL CERCHIO MAGICO
Il ruolo del “cerchio magico” è stato fondamentale per attribuire al gruppo lo status di “associazione per delinquere”. L’ex veggente non avrebbe potuto stravolgere emotivamente le potenziali vittime se non avesse contato sulla collaborazione dei suoi uomini – e soprattutto donne – di fiducia. Erano loro che raccoglievano segretamente le informazioni sulla vita privata dei professionisti da spennare, per consentire poi a Paolo/Paola di sorprenderli con “illuminate” rivelazioni sul loro passato o su eventi che consideravano segreti. Ed erano sempre i complici ad allestire veri e propri teatrini di magia, durante i quali avvenivano fenomeni spacciati per soprannaturali: lacrimazioni di Madonne, sanguinamenti improvvisi, apparizioni di ostie, profumi celestiali. Tutto ruotava intorno a Paola, autentico Fregoli della sacralità: un giorno malato terminale di cancro, un altro trasformata in spirito santo, oppure in lacrime perché «picchiata a sangue dal demonio» e con le fasciature al volto (ma in realtà appena rientrata da costose operazioni di chirurgia facciale avvenute prima di cambiare sesso). Il tutto apparecchiato con scenografie cinematografiche e con una capacità recitativa che mandava in brodo il cervello anche a chi ce l’aveva bello e funzionante.
Milioni e milioni di euro il denaro accumulato negli anni, ma quello posto sotto sequestro finora è solo una minima parte: circa 120 mila euro in polizze-vita intestate alla Catanzaro e posti sotto sequestro. L’ex veggente possiede però (personalmente o intestate a persone a lei vicine) numerosi immobili a Brindisi e in località turistiche sparse per l’Italia che ora vengono monitorati dalla guardia di finanza.

LA PRIMA DENUNCIA
Le dazioni di denaro sono iniziate ben più di dieci anni fa, probabilmente sin dai mesi successivi alle prime “visioni” e ai pellegrinaggi in massa nella chiesetta di Uggio, nelle campagne tra Brindisi e San Donaci, della quale arbitrariamente Catanzaro si impossessò facendola diventare il suo quartier generale mistico. Ma una fitta coltre di silenzio, in tutti questi anni, ha coperto la vicenda. Proprio da parte delle vittime, nonostante fossero state letteralmente spogliate di tutti i loro averi e spesso ridotte in miseria. Gran parte di loro non aveva il coraggio di venire allo scoperto per la vergogna, alcuni avendo persino nascosto ai più stretti familiari quelle vicende. Come giocatori d’azzardo dell’occulto.
Sino a quando Isabella, una ginecologa originaria di Conversano e che oggi vive nel Nord Italia non ha deciso, con estremo coraggio, di raccontare tutto con una dettagliata denuncia alla magistratura, corredata di fotocopie di assegni, mettendo a nudo anche le sue debolezze. Nel 2005 al padre era stato diagnosticato un cancro ai polmoni e lei, nella disperazione, aveva preso a frequentare la chiesetta di Uggio e il gruppo di preghiera di Catanzaro. Avendo una buona disponibilità economica, sia familiare che personale, fu preso adocchiata dal veggente che le promise la guarigione certa del padre. Non le spillò solo denaro. Molto di più: la convinse a lasciare il suo fidanzato e a sposare Giuseppe Conte (il militare dell’Aeronautica oggi indagato) assicurandole che quel matrimonio era voluto dal Signore. Negli anni Catanzaro riuscì a farsi consegnare da lei circa 300 mila euro con le quali avrebbe dovuto far costruire gigantesche croci di legno da collocare nelle città del mondo per salvare l’umanità. Ovviamente l’unica croce fu quella riservata alla donna: il padre morì di cancro e lei, quando si rese conto che anche il marito faceva parte della cricca, si separò da lui tenendo con sé il bimbo nato da quell’unione.
Isabella in questi anni ha tenuto duro, ottenendo ancora poco sul piano penale: un processo tuttora in corso e che rischia la prescrizione, davanti al Tribunale di Bari, in cui Paola Catanzaro e Lucia Borrelli sono accusate di truffa. Ma nel frattempo intorno a lei si è lentamente risvegliato il gruppo silente delle altre vittime che, incoraggiate da quel gesto, si sono confrontate per la prima volta tra loro e si sono rese conto di non essere sole, ma di poter condividere la loro devastante esperienza con altri protagonisti di una storia che all’improvviso si è rivelata per quello che era: allucinante. E allucinata.

LE NUOVE DENUNCE
Imprenditori, medici, farmacisti, avvocati: in nove hanno deciso di raccontare tutto, prima in famiglia, liberandosi di un mattone che li devastava da anni, e poi davanti agli investigatori. Tutti accomunati da due caratteristiche: importanti disponibilità economiche e un dolore apparentemente insolubile da affrontare. Gravidanze desiderate e non andate in porto, congiunti gravemente ammalati. Questo era il terreno in cui Paola Catanzaro si muoveva, variando ogni volta copione e riuscendo a cucire addosso ad ogni vittima un «abito» adatto a carpirne la fiducia, a demolirne qualsiasi inibizione, sino ad arrivare a far credere possibili le più assurde e irreali menzogne.

LA CHIESA BRINDISINA
Ma quasi nulla del suo progetto lo pseudo veggente avrebbe potuto realizzare se per anni il suo ruolo e la sua integrità morale non fossero stati certificati proprio da chi avrebbe dovuto immediatamente prenderne le distanze: la Chiesa brindisina.
Questo è lo stralcio di una delle denunce presentate in procura e che hanno spalancato le porte del carcere a Catanzaro. A sottoscriverla, la moglie di un imprenditore la cui esistenza è stata per sempre segnata: “Quando io e mio marito cominciammo a frequentare la chiesetta di Uggio, Catanzaro, per conquistare la nostra piena fiducia, più volte ci invitò a particolari celebrazioni presso la parrocchia di San Lorenzo di Brindisi nella quale lui stesso svolgeva (sotto l’imprimatur del parroco) servizi liturgici di vario genere – tra cui la responsabilità del coro parrocchiale. Per molti anni, seppur con silenziosa circospezione, Catanzaro veniva seguito in ogni sua attività da monsignor Rocco Talucci, vescovo di Brindisi, tanto è che abbiamo assistito alla sua consacrazione da laico officiata con la presenza e la benedizione dello stesso vescovo. Questo normalissimo rito ecclesiastico lo stesso Catanzaro, successivamente, lo millantò come uno speciale mandato vescovile inesistente, con cui poteva esercitare il sacramento della confessione pur non essendo un sacerdote. Lascio immaginare, a quante notizie riservate abbia potuto attingere per i suoi scopi questa astuta trovata, almeno per quelle persone che come noi ci hanno creduto fino in fondo”.
La presenza di Talucci è costante in buona parte della storia di Catanzaro. Al punto che, proprio nel processo in corso a Bari in cui per la prima volta il veggente veniva accusato, l’ex arcivescovo di Brindisi scrisse due lettere (agli atti del processo) in cui prendeva esplicitamente la sua difesa: “Paolo coltiva una bella spiritualità ed è ora che venga lasciato tranquillo”, ammoniva Talucci rispondendo per iscritto alla magistratura. «L’accusa nei suoi confronti è alimentata non da senso di Chiesa ma da risentimento non giustificato». Talucci si spingeva oltre: “Non esiste a Brindisi nessuna comunità religiosa denominata ‘Il mistico di Brindisi’ e quindi non si pone il discorso della legittimazione ecclesiastica. Devo aggiungere che conosco la posizione della famiglia D.B. (quella di Isabella, cioé la vittima, ndr) e il risentimento, e insieme l’accusa, di uno di loro, al quale ho chiarito personalmente tutto da tempo. E’ anche ora che il signor Paolo Catanzaro venga lasciato tranquillo perché la sua posizione è stata definita da anni. Opera nella sua parrocchia con il beneplacito del parroco per la direzione del coro”.
La lettera di Talucci venne depositata in procura dallo stesso Catanzaro (circostanza questa abbastanza singolare) ed era indirizzata per conoscenza a don Francesco Caramia. Quest’ultimo, per cinque anni segretario particolare di Talucci, è l’ex parroco del rione Bozzano, condannato in primo grado a otto anni di carcere per abusi sessuali nei confronti di un chierichetto. Proprio nella chiesa di San Giustino de Jacobis, al rione Bozzano, Paolo Catanzaro e la sua cerchia di fedelissimi si erano trasferiti dopo aver abbandonato Uggio. L’ex veggente, cominciando ad alimentare il suo sogno di entrare nel mondo dello spettacolo.
Per dodici anni, dal 5 febbraio 2000 al 20 ottobre 2012, il prelato originario di Venosa ha retto la diocesi di Brindisi. Il suo predecessore Settimio Todisco aveva sconfessato ufficialmente Catanzaro e interdetto tutti coloro che avevano a che fare con lui. Anche il successore di Talucci, Domenico Caliandro, ha emesso un decreto durissimo, quasi di scomunica nei confronti dell’ex veggente. Ma Talucci, rinnegando ciò che aveva disposto Todisco, non si limitò a soprassedere sulle attività di Paolo ma ne certificò l’attendibilità nominandolo addirittura diacono e accreditando la sua carriera artistica, salendo sul palco insieme ai “Signum”, il gruppo musicale del quale facevano parte l’ex veggente e alcuni degli odierni indagati.
Ecco perché appare quasi come una provocazione o uno sberleffo la scelta del nome d’arte con il quale Paola Catanzaro ha deciso di affacciarsi nel mondo dello spettacolo: Sveva Cardinale. Cardinale, ossia il prelato più importante dopo il Papa, molto di più dell’arcivescovo. Con quel nome è stata la protagonista di due film (pagati profumatamente dagli stessi imprenditori che hanno inconsapevolmente finanziato i suoi costosi interventi per cambiare sesso in Thailandia), autrice di un libro la cui diffusione è stata prudenzialmente bloccata dall’editore e la «creatrice» una linea di abiti da sposa il cui atelier venne aperto a Fasano con tanto di cerimonia ufficiale alla presenza del sindaco e delle massime autorità cittadine. E che oggi è chiuso.

LA FAMIGLIA
Anche una delle sorelle, oltre ad affiancare Paola nelle sue attività pseudomistiche, sembra si fosse messa in proprio. O almeno così racconta una delle vittime in una denuncia: “Man mano che lo frequentavamo, il mistico ci mise a conoscenza dell’estrema povertà in cui versava lui e la sua famiglia. Mi parlò in particolare di sua sorella Pina, anche lei, a suo dire, presunta veggente in contatto mistico con Gesù e la stessa Madonna. La misticità della sorella, avveniva (a suo uso e consumo…) presso la sua abitazione di Cellino San Marco e con apparizioni di Gesù nella sua sala da pranzo. In molte e ripetute occasioni, la stessa donna mostrava orgogliosamente i suoi quaderni personali dove aveva annotato i dialoghi con Gesù e finanche un contenitore di vetro nel quale conservava un pezzo di carne che millantava essere un miracolo eucaristico e che Gesù stesso gli aveva fatto apparire dal nulla. La sua casa presso Cellino San Marco era diventato un mini santuario dove tutti frequentatori della chiesetta, a turno, si recavano per vedere da vicino il punto in cui Gesù gli appariva 2 volte al mese. L’unico vero miracolo a cui ho assistito in questi dieci anni di frequentazione della sua abitazione, sono state le continue modifiche strutturali della stessa con l’aggiunta di acquisti di mobili costosi, poiché, l’iniziale povertà di cui andava fiera si è miracolosamente trasformata nel frattempo in una condizione sociale medio alta, pur facendo affidamento solo su di un singolo reddito”.

IL BIMBO MAI NATO
Le denunce raccolte in questi mesi raccontano vicende terribili, nelle quali il fiume di denaro passato dalle mani delle vittime a quelle della Catanzaro diventano addirittura di secondo piano. Come il racconto di una madre convinta ad abortire. E’ una delle storie più terribili tra quelle finora emerse dalle paludi del rimorso e della vergogna in cui sono rimaste sepolte per anni. L’ha ricordata la stessa protagonista, una ragazza brindisina che il mistico utilizzava per le “relazioni sociali”. Accompagnava i suoi amici, spesso intrattenendoli sessualmente. Perché in questo cocktail di rapporti intrecciati, la componente sessuale e quella della promiscuità erano fondamentali per mantenere gli equilibri secondo i piani di Sveva. La quale, come se fosse la regista di Beautiful, faceva e disfaceva coppie, provocava crisi coniugali, creava intrecci sentimentali, non lesinando di inserire in questi strani circuiti persino il marito.
“Lo facevo perché credevo in lei”, ha confidato l’ex adepta di Paolo. Finché non rimase incinta di un bimbo che voleva tenere: “Andai da Paolo e gli mostrai i vestitini che avevo comprato. Lui mi guardò, con la sua faccia da mistico, e mi disse che la bambina era un vegetale e che dovevo abortire”. Nonostante gli esami ginecologici non indicassero alcuna irregolarità, la donna decise di credere in quello che le diceva Catanzaro. E pose fine alla vita del bimbo che aveva in grembo.

IL MINIAS
Tre erano gli ingredienti intorno ai quali si sostenevano gran parte degli intrecci messi in piedi: la fede, la disperazione e il sesso. Ma laddove non fossero sufficienti, Catanzaro e i suoi complici ricorrevano a metodi meno empirici. Tra le vittime c’è l’uomo di mezza età che si è separato dalla moglie e che vive con 500 euro al mese che i genitori, pensionati, gli consegnano dopo aver bloccato i suoi conti correnti per evitare che continui a regalare denaro a Catanzaro, come se fosse un’ossessione. In una decina di anni avrebbe donato al veggente circa 700 mila euro dei quali possiede, e ha messo a disposizione della magistratura, le fotocopie degli assegni intestati al mistico, ognuno da 10/20 mila euro.
Racconta di aver pagato sino allo scorso anno, poi quando ha finito i soldi Sveva si è volatilizzata e lui, uscito all’improvviso da uno stato di torpore ipnotico, ha tentato il suicidio due volte.
Un torpore che sarebbe stato dovuto alla somministrazione frequente del “Minias”, un farmaco ad azione ansiolitico-ipnotica.
Un’altra delle vittime ha raccontato che Paolo gli raccomandava di prendere queste gocce prima di andare a dormire «perché gliele avevano date gli angeli». E in effetti di Minias si parla nella registrazione di un colloquio, ora a disposizione degli inquirenti, in cui un farmacista si lamenta con un amico che Catanzaro aveva ordinato in breve tempo una trentina di confezioni del farmaco: “Ma che c… se ne fa di tutto ‘sto Minias?”, si chiede il farmacista nella telefonata. La risposta ora c’è.

I GEMELLI DI FATIMA
Tra le storie che dimostrano il grado di subordinazione che Catanzaro riusciva a imporre alle sue vittime, portandole oltre i limiti della ragione e della logica, c’è quella di una coppia che, a differenza di altre, è riuscita a ritrovarsi proprio nella situazione di prostrazione e difficoltà economica scatenata dalla “dipendenza” da Sveva. Lei non riusciva ad avere bambini, ma è il racconto di lui che è il termometro dello stato “ipnotico” in cui vivevano gli adepti del veggente: “Un giorno mi disse di essere lo Spirito Santo”, racconta il marito. “Mi disse che lui, Paolo, avrebbe partorito due bambini. Mi fece mettere la mano sulla pancia, lo so che è incredibile, ma percepivo due battiti cardiaci diversi”.
I bambini “nacquero” ma ovviamente nessuno li vide. Paola spiegò che li avevano portati a Fatima per difenderli dal Male. All’uomo non restava che mantenerli con una sorta di adozione a distanza: “Mi chiese 700 euro al mese e ogni tanto mi mostrava le foto dei bambini che crescevano”.
I bambini esistevano, ma ovviamente non erano stati partoriti da Paolo, bensì da una sua complice che ogni tanto gli forniva foto aggiornate dei due inconsapevoli piccini.

L’INCHIESTA PADOVANA
Dal Veneto, dove Paola Catanzaro è riuscita a infiltrarsi in ambienti altolocati sfruttando alcune amicizie, sono giunte a Brindisi altre denunce, una delle quali però è stata stralciata e riguarda la vicenda forse più angosciante. Nello scorso di mese di luglio a Padova è morta a 40 anni una donna che chiameremo Milena. Causa del decesso un improvviso malore. Era in procinto di partire per le vacanze. Lavorava in uno studio, era impegnatissima nel sociale e soffriva di una leggera forma di diabete. Milena era la figlia di un noto professionista veneto che da circa sette anni dona (per sua stessa ammissione) ingenti somme di denaro a Catanzaro. La moglie ha già annunciato ad uno dei tre figli (un maschio e due femmine) di volerli estromettere da qualsiasi linea ereditaria, chiarendo che tutti i suoi averi, un patrimonio milionario, andranno a Catanzaro “perché i figli non sono quelli che nascono dai genitori ma quelli che ci scegliamo”. Le due figlie, Milena e l’altra che chiameremo Federica (imprenditrice), sin dal 2010 hanno saputo della sempre più pressante frequentazione di Catanzaro, insieme al suo solito gruppo di adepti, nella villa dei genitori: diecimila metri di terreno, vigneti tutt’intorno e campo da tennis. Per intere settimane la comitiva si trasferiva da Brindisi nei confort della splendida residenza veneta. Non solo. Da quel momento i figli sono stati progressivamente allontanati dai genitori, sino al punto che questi ultimi, sul citofono di casa, hanno stampato l’etichetta “Casa di Paolo Catanzaro”.
Nello scorso mese di dicembre, quando grazie a un articolo su internet, hanno saputo della svolta improvvisa di quello che ricordavano come un mistico e che nel frattempo aveva cambiato sesso e tentava di sfondare del mondo dello spettacolo, le due figlie sono tornate alla carica con i genitori, per tentare di aprire loro gli occhi, ma sono state messe alla porta. Certa che i genitori siano totalmente nelle mani di Catanzaro, Federica si era rivolta alla procura per formalizzare una denuncia per circonvenzione d’incapace nei confronti dell’ex mistico di Brindisi, nutrendo dubbi sulla reale capacità di intendere e di volere dei genitori. Nel frattempo la sorella è morta all’improvviso. Quando la Finanza ha contattato il professionista veneto per chiedergli conto dei suoi rapporti con Catanzaro, egli ha ammesso di avergli regalato molto denaro, compresi immobili, in totale accordo con la moglie e di essere intenzionato a continuare a farlo. La denuncia è stata così stralciata e non inserita nell’ordinanza di custodia cautelare: oltre ai quattro milioni di euro, dunque potrebbero essercene almeno altrettanti donati a Padova.
Intanto in carcere, interrogata dal giudice, Paola Catanzaro respinge tutto. Con quello stesso tono di voce con cui ha ammaliato decine di persone ma che potrebbe non bastare a convincere chi, in un Tribunale terreno, dovrà giudicarla per quella che è, non per chi voleva far credere di essere.