di Gianmarco Di Napoli
E’ una semplice coincidenza? Probabilmente ma, quantomeno, inquietante: a 30 miglia marine dal tratto di mare in cui alle alle 00:31 della notte scorsa è stato registrata una violenta scossa di terremoto (magnitudo 3.7), a poche miglia marine dalla costa di Villanova di Ostuni, è da tempo in funzione una piattaforma Eni, la “Firenze FPSO” (nella foto grande in alto) che effettua estrazione di petrolio a circa 900 metri di profondità. Inoltre da tempo alcune navi della Global Petroleum Limited (Gpl), la società australiana che è stata autorizzata dal ministero dell’Ambiente a effettuare ricerche di giacimenti di idrocarburi (petrolio e gas) in un’area marina di 745 chilometri quadrati, da Vieste (Foggia) sino a Brindisi, effettuerebbero analoghe ricerche.
In appoggio alla piattaforma operano a turno tre “supply”, navi più piccole che si muovono a distanza di sicurezza da “Firenze FPSO” e i cui equipaggi avrebbero funzioni soprattutto di pronto intervento. Nella giornata di ieri era in zona la “Med Dieci” che si alterna con la “Aline B” e con la “Odin Finder”. Quest’ultima, dal 5 marzo scorso risulta ormeggiata nel porto di Brindisi. E’ stato sempre negato che con queste navi vengano effettuate ricerche sottomarine.
La possibilità che scosse di terremoto possano essere provocate da trivellazioni o da attività di ricerca sono ventilate da anni ma non confermate scientificamente. La relazione tra la scossa di ieri notte e gli interventi sottomarini nei giacimenti di petrolio e gas non è suffragata da alcun supporto scientifico, ma è l’argomento di cui si parla con insistenza nelle ultime ore.
Alle 23 di ieri, circa un’ora prima della scossa di terremoto, “Med 10” era poco lontana dalla piattaforma e più o meno anch’essa a 30 miglia marittime dall’epicentro del terremoto.
Certamente la scossa avvertita a poche miglia dalla costa (a 28 chilometri di profondità) è apparsa anomala perché avvenuta in una zona a bassissimo rischio sismico (tra le più sicure del Mediterraneo). Inoltre essa non è stata seguita dalle consuete scosse di assestamento, una coda che gli eventi sismici di una certa rilevanza registrano frequentemente.
E’ bene chiarirlo, non esiste alcuna prova che durante le ricerche del petrolio venga utilizzata la tecnica dell’”air gun”, che permette, generando onde sismiche, di individuare la presenza di idrocarburi. E anzi le società che effettuano ricerche e prelievi negano qualsiasi attività considerata a rischio.
Certo è che la vicinanza della piattaforma e delle navi-satellite all’epicentro dello “strano” terremoto sollecita quantomeno qualche domanda e attende eventuali risposte.
Maria Rita D’Orsogna, ricercatrice della California State University, ha spiegato qualche tempo fa che è dimostrato scientificamente che i terremoti possono anche essere generati da attività di ricerca ed estrattive.
Onde sismiche si sono recentemente verificate in Calabria, anch’esse poco lontano dalle piattaforme petrolifere.
Ma non esiste alcun collegamento scientificamente provato. Restano l’inquietudine e qualche domanda aperta. Oltre alla paura per una tipologia di eventi cui – per fortuna – da queste parti non siamo abituati.