Torre Guaceto, l’oasi diventa villaggio turistico: auto, bagnanti e beach-volley

di Gianmarco Di Napoli per il7 Magazine

Il campo di beach-volley è professionale: due pali da 2,80 metri in acciaio elettrozincato con sistema di interramento, rete regolamentare 8,5 m x1 bordata con nastro giallo nella parte superiore, tendirete con cavi in acciaio piantati nella sabbia: i ragazzi palestrati, tre per squadra, giocano in quel campo improvvisato sulla battigia in maniera spettacolare e sarebbe uno spot meraviglioso per un qualsiasi villaggio turistico sublimato dai suggestivi sfondi del mare del Salento. Ma qui siamo sull’arenile della “zona A”, quella denominata “Riserva integrale” nell’Area Marina Protetta di Torre Guaceto, gestita dall’omonimo Consorzio costituito dai Comuni di Brindisi e Carovigno e dall’Associazione Italiana per il WWF for Nature Onlus.

L’affollamento di ombrelloni nella zona A dell’oasi, dove è assolutamente vietata la permanenza e la balneazione

Ci troviamo alla foce del Canale Reale, corso d’acqua lungo 48 chilometri che dalla sorgente di Villa Castelli attraversa i comuni di Francavilla Fontana (città dove le sue acque iniziano ad essere inquinate, facendo diventare il corso d’acqua veicolo di scarichi, anche tossici), Oria, Latiano, Mesagne, San Vito dei Normanni, Brindisi, Carovigno e sfocia nella Riserva naturale statale Torre Guaceto, in località Iazzo San Giovanni, zona A dell’oasi. Qualche settimana fa Goletta Verde ha indicato questo tratto di mare come uno tra i più inquinati della Puglia. Per questo motivo la Regione e l’Acquedotto Pugliese hanno progettato una condotta sottomarina lunga tre chilometri che porterebbe l’acqua del depuratore consortile a tre chilometri dalla costa, lontano dall’Area Marina protetta.

Il campo di beach volley abusivo nel cuore dell’area protetta

Il campo di beach-volley dunque lì non ci potrebbe stare, così come la zona dovrebbe essere inibita ai bagni e alla permanenza sulla spiaggia. La zonizzazione consultabile sul sito internet dell’ente gestore spiega che nella zona A, riserva integrale, “è proibita la navigazione, l’accesso, l’approdo e la sosta di navi e natanti di qualsiasi genere e tipo, ad eccezione di quelli debitamente autorizzati dall’Ente gestore per motivi di servizio nonché per eventuali attività di ricerca scientifica e di visite guidata, precedentemente autorizzate dallo stesso ente gestore. Nell’AMP di Torre Guaceto sono presenti due zone A dove, dunque, è proibita qualsiasi attività antropica, che possa arrecare danno o disturbo all’ambiente marino perché tale zona rappresenta la “core area” dell’AMP”.
In realtà gli otto chilometri di costa compresi tra Punta Penna Grossa e gli scogli di Apani, uno dei tratti di mare più suggestivi della Puglia e ricadenti interamente nell’Area Marina Protetta di Torre Guaceto, sembrano essere diventati la più grossa industria turistica della provincia di Brindisi. Il che sarebbe tutt’altro che riprovevole, se l’obiettivo fosse stato raggiunto valorizzando gli aspetti naturalistici dell’area protetta marina e terrestre che – va ricordato – è stata istituita nel 2000 con Decreto del ministero dell’Ambiente. Chi ha frequentato nelle settimane di luglio e di agosto la riserva si è ritrovato invece davanti a scene come quella documentate dalle foto scattate il 23 agosto nella zona A, quella cioè che nella quale l’ambiente marino dovrebbe essere tutelato. Oltre al campo di volley e alle decine di bagnanti che utilizzano la spiaggia come se fosse un qualsiasi lido balneare, ci sono le auto parcheggiate a pochi metri dal mare (le foto sono del 24 agosto), sempre nella stessa zona A. Per arrivare in quel tratto di area protetta con un mezzo si possono utilizzare solo due vie d’accesso sbarrate da altrettanti cancelli: una appartiene al Centro Velico ed è escluso che chi lo gestisce possa aver autorizzato il passaggio delle vetture. Resta un secondo cancello, privo di qualsiasi indicazione e del quale ovviamente non si sa chi abbia la disponibilità delle chiavi. Sta di fatto che decine di auto, gran parte delle quali di grossa cilindrata e verosimilmente appartenenti a turisti, hanno avuto accesso liberamente nell’area più tutelata dell’oasi e sono rimaste parcheggiate lì per giornate intera, senza che nessuno intervenisse, a 10 metri dal mare.

Le auto parcheggiate sul mare nella zona A, quella più protetta dell’Oasi

Eppure l’articolo 27 del regolamento dell’Area Marina protetta, impone che “la sorveglianza è effettuata dalla Capitaneria di Porto competente, nonché dalle polizie degli enti locali delegati nella gestione dell’area, in coordinamento con il personale dell’Ente gestore che svolge attività di servizio, controllo e informazione a terra e a mare”. Nessuno però si è accorto che nel corso delle settimane, migliaia di bagnanti – muniti di reti beach-volley e altre amenità da villaggio turistico, hanno affollato la zona A della riserva, che centinaia di auto hanno violato ogni divieto e sono state parcheggiate a pochi metri dalla battigia della zona A della riserva o lungo la strada esterna al Centro velico.
Sulla spiaggia super protetta della riserva integrale hanno costruito capanne di legno, c’è persino un’altalena, ma l’ultimo sfregio alle norme che regolano questo spazio naturale che dovrebbe essere incontaminato è un gigantesco cuore realizzato sulla battigia con centinaia di conchiglie raccolte su un arenile dove non potrebbe essere spostato neanche un granello di sabbia. Tra le finalità del Consorzio di gestione (e per le quali arrivano ogni anno fior di quattrini dal ministero) ci dovrebbero essere la conservazione delle caratteristiche ecologiche, floro-vegetazionale, faunistiche, idrogeomorfologiche e naturalistico-ambientali; la gestione degli ecosistemi con modalità idonee a realizzare un’integrazione tra uomo e ambiente naturale. Ma anche in questo caso, nessun controllo.
Nella parte finale della spiaggia protetta, quella più pregiata in assoluto per la prateria di posidonia, da anni, c’è lo spazio che i nudisti che fanno riferimento al Fkk (Freikörperkultur) hanno colonizzato con tanto di apposizione di cartello e di divieto a chiunque voglia fare il bagno in costume di accedervi.
Il paradosso sembra essere che l’oasi è il luogo della provincia di Brindisi meno soggetto a controlli. Come se ciò che avviene lì dentro – invece di essere maggiormente verificato per la presenza di habitat naturali unici e di denaro pubblico investito – non riguardasse nessuno. Anche gli esposti cadono nel vuoto. L’ultimo è stato firmato dal prof. Elio Lanzillotti, ex presidente del Consorzio di Torre Guaceto. Lanzillotti ha scritto al comando della Guardia costiera e al ministero dell’Ambiente il 14 agosto scorso: “Si comunica alle Autorità in indirizzo quanto si sta verificando in questi giorni nella Riserva Marina di Torre Guaceto e segnatamente nella Zona A di riserva integrale, presso la foce del Canale Reale, zona peraltro dichiarata fortemente inquinata in virtù delle analisi ivi effettuate la settimana scorsa da “Goletta Verde”, nonché lungo tutto l’arenile ricadente in Zona A. Come si può evincere dalla foto allegata scattata in data odierna, in tale area vi è presenza di centinaia di persone che stazionano e si bagnano, con ombrelloni e natanti. Vengono quindi violate le regole del decreto istitutivo a tutela della riserva integrale; viene messo in serio pericolo la salute e l’incolumità delle persone che, ignare, si bagnano in acque fortemente inquinanti. Poiché vi è totale assenza di monitoraggio da parte del soggetto gestore, completamente impegnato sul versante della gestione di attività commerciali (lidi e parcheggi), si chiede alla Guardia Costiera un urgente intervento atto a salvaguardare la salute delle persone e l’ecosistema, o ciò che ne rimane, della Zona A della Riserva Marina”.
L’esposto finora pare non aver avuto alcuna conseguenza.

Il cuore realizzato raccogliendo conchiglie nell’area protetta

Le violazioni non avvengono solo in mare perché il vero business è a terra. Gli otto chilometri di riserva infatti, a parte chi riesce violando ogni norma, ad arrivare con l’auto sulla battigia, possono essere raggiunti in due modi: a piedi o utilizzando le navette. In ogni modo è obbligatorio parcheggiare in una delle due aree a pagamento: quella gestita dal Consorzio, 350 posti ufficiali ma in realtà utilizzati per il doppio della capienza. E quella del Boa gialla, autorizzata con notevole ritardo dal Comune di Brindisi nella zona più a sud della riserva. Entrambi i parcheggi si trovano molto lontani dalle spiagge e così una decina di navette fanno la spola tra le aree di sosta e le calette. Dal Boa gialla il servizio è a pagamento e viene effettuato utilizzando navette del Consorzio. A queste si aggiungono quelle autorizzate del villaggio turistico Meditur, che si trova appena all’esterno dell’oasi, nella zona nord, e della cooperativa Thalassia, quella che da anni organizza le escursioni e i campi scuola all’interno dell’Area protetta e che gestisce il sempre vuoto Centro Visite Al Gaw-sit di Serranova, costato un botto di quattrini e pressoché inutilizzato. Altre navette (in questo caso gratuite) fanno la spola tra il parcheggio ufficiale del Consorzio (quello posto sotto l’insegna di Meditur) e accompagnano i bagnanti sino all’ingresso della strada che porta alla spiaggia di Penna Grossa. Come documentato dalla nostra foto, scattata nel pomeriggio del 25 agosto, nessun distanziamento sociale alla fermata e soprattutto nei piccoli pulmini, carichi di persone senza alcun rispetto delle prescirzioni anticovid.
E comunque un traffico continuo di mezzi che immaginiamo non siano esattamente compatibili con la fauna protetta che nell’oasi si rifugia per avere tranquillità.
Anche sulla gestione dei parcheggi, il cui esubero di auto autorizzate a entrare ha portato al conseguente affollamento delle spiagge oltre il numero di persone consentite, è stata oggetto di segnalazione ed esposti. Due settimane fa il7 Magazine ha pubblicato foto scattate con il drone che documentano come il parcheggio del Consorzio (sul quale hanno dunque responsabilità anche i comuni di Brindisi e Carovigno e il Wwf), autorizzato dal prefetto Umberto Guidato, ospita un numero di auto ben superiore al doppio del consentito. Nel giorno della pubblicazione dell’articolo, sulla pagina della Riserva è apparsa magicamente una scheda per prenotare l’ingresso al parcheggio via web. Poi più nulla.

Le navette prive di qualsiasi norma di rispetto del distanziamento sociale anticovid

Anche in questo caso c’è stato un esposto, firmato dall’avvocato carovignese Giovanni Francioso. Ma come ogni segnalazione che riguarda presunte irregolarità commesse all’interno dell’Area Protetta, anch’esso sembra finito inspiegabilmente nel nulla: “Il Consorzio, avendo ottenuto impropria autorizzazione ad esercitare attività di parcheggio a pagamento per un massimo di 350 veicoli – e ciò in deroga alla destinazione urbanistica (agricola) dell’area interessata, parzialmente ricadente nel citato S.I.C. – quotidianamente ospita, contemporaneamente, oltre 700 veicoli, così contravvenendo alla ridetta autorizzazione in deroga al PdF vigente. L’illecita attività tutt’ora in pieno svolgimento, in assenza di qualsiasi previa valutazione di impatto e di incidenza ambientale, nonché in assenza di adeguato piano antincendio e di evacuazione, arreca danno all’ambiente e costituisce seria minaccia all’incolumità delle persone. Poiché le violazioni suddette – con il conseguente reale e non potenziale danno ambientale – persistono, e poiché l’area di sosta non è dotata di idonei dispositivi di sicurezza (antincendio, piano d’evacuazione ecc.), si chiede il Vostro urgente intervento ed il conseguente sequestro dell’area, atti ad interrompere tali condotte illecite e scongiurare gli ulteriori danni, e che l’Amministrazione Comunale in indirizzo, per i motivi suddetti, proceda con l’immediata sospensione/revoca, come per legge, dell’autorizzazione evidentemente disattesa”, ha scritto Francioso alla Procura della Repubblica di Brindisi e per conoscenza ad altri enti. Nessuna risposta.
Alle porte dell’oasi, nell’area nord-ovest, è tutt’ora sotto sequestro la struttura turistica in costruzione in contrada Scianolecchia, di proprietà di imprenditori di San Vito dei Normanni che volevano realizzare un villaggio turistico nel terreno di una masseria abbandonata, proprio ai confini con la zona protetta. Nel dicembre 2018 l’area di 30 mila metri quadri fu posta sotto sequestro dal Nucleo operativo di polizia ambientale della Guardia costiera. Ogni tentativo di revoca è stato respinto mentre è stata restituita ai proprietari l’attigua struttura balneare costituita da chiosco bar, piscina, servizi igienici, spogliatoio e camminamenti in legno.

Il parcheggio del Consorzio con un numero di auto doppio rispetto alle 350 per le quali è stato autorizzato

La guardia costiera di Brindisi è intervenuta nell’oasi ancora nello scorso mese di maggio per il sequestro di un cantiere di bonifica del Comune di Carovigno. Probabilmente era destinato alla realizzazione di un chiosco (da parte del Consorzio o di chi per esso), lo si può intuire sia dagli scavi allineati al limite del terrapieno, oltre il perimetro di intervento, sia da un elaborato progettuale depositato con il logo del Consorzio.
Nei mesi successivi invece non si hanno notizie di interventi sulle irregolarità documentate all’interno dell’area protetta e compiute senza alcun tipo di azione di contrasto.
Può una delle oasi naturali più importanti del territorio italiano essere trattata come un qualsiasi villaggio turistico perdendo di vista gli scopi di tutela dell’ambiente per i quali è stato creato? I Comuni di Brindisi e Carovigno, il WWF, la prefettura, la Guardia Costiera e, ovviamente, il Consorzio, diano – se lo ritengono – diano una risposta ai cittadini.