Ucciso a 19 anni: un mese fa un post che era un presagio. Ora i killer hanno le ore contate

Il 7 settembre una ventina di adolescenti si piazzano davanti alla questura di Brindisi e aspettano l’uscita, in manette, di due loro amici (uno di 14 e l’altro di 16 anni) arrestati poco prima di assaltare – armati di coltello – un supermercato del rione Bozzano. I due giovanissimi rapinatori vengono trasferiti con le auto della polizia nel carcere minorile di Monteroni, ma mentre sfilano davanti al corpo di guardia della questura sono salutati con applausi e sorrisi, quasi fossero eroi. Come boss.
Il 10 settembre, tre giorni dopo, a 500 metri dalla questura un ragazzo di 19 anni viene ucciso a colpi di pistola alla testa: l’esecuzione ricorda episodi cruenti che macchiarono di sangue questa provincia un quarto di secolo fa. Giampiero Carvone è il primo ragazzo della “generazione Z”, o “centennials”, a essere ucciso a Brindisi.
Probabilmente i collegamenti tra i due episodi sono soltanto temporali e logistici, eppure sembrerebbero andare oltre la semplice suggestione. Quella sfida lanciata così platealmente alle istituzioni da un gruppo di scugnizzi, quei due ragazzini cui è stato riservato il picchetto d’onore dopo aver svaligiato alcuni supermercati portando via barattoli di Nutella e pezzi di Parmigiano, ed essersi fatti beccare da un poliziotto fuori servizio a spasso col cane, non rappresenta un allarme solo per la società civile. Alzare il livello del confronto con le forze dell’ordine andandole a provocare in casa loro diventa un problema anche per quelle frange della malavita che preferiscono muoversi sotto traccia nella convinzione che ogni plateale sussulto provochi una inevitabile risposta da parte delle istituzioni, perché gli sbirri devono inseguire e i banditi scappare, e questo è da quando è stato creato il mondo. E se qualcuno pensa di ribaltare le regole inevitabilmente ne fa pagare le conseguenza a tutti gli altri.
Carvone forse aveva un presentimento. Il 16 agosto sulla sua pagina Facebook aveva pubblicato una sua foto con il casco e la scritta: “Non vivrò a lungo ma me ne andrò senza rimpianti”. Un mese prima, sempre su FB, aveva cambiato l’immagine di copertina della sua pagina, inserendo una delle ultime foto di Emanuele Sibilio, un giovane boss di Forcella. A dispetto della sua giovane età, vent’anni, Sibilio era a capo della cosiddetta “paranza dei bambini”, una sanguinosa guerra tra baby boss per il controllo della piazza della droga lasciate vuote dai capi storici, seppelliti in carcere dal 41 bis o pentiti. Giampiero aveva una vera e propria adorazione per lui, al punto da imitarne persino il particolare taglio della barba che ricorda quella di certi leader musulmani e che aveva rapidamente modificato i suoi tratti da ragazzino.
Il destino ha voluto che ne seguisse pure la tragica fine. Anche Sibilio fu ucciso giovanissimo, colpito alle spalle, morto in ospedale senza che i medici riuscissero a salvarlo. E forse per questo, con la consapevolezza più o meno acquisita che la sua vita era a rischio, aveva deciso che quel volto dovesse campeggiare sulla sua pagina. E lì è rimasto ora che è morto e nessuno può cancellarlo.
Il numero 19 è scritto a mano accanto al portone di via Tevere davanti al quale è stato ucciso Carvone. Anche questo un presagio sinistro in una catena di suggestioni e coincidenze. L’età di Giampiero, stampata per sempre.
Se temeva davvero per la sua vita non aveva preso troppe precauzioni per difenderla. Altrimenti non sarebbe uscito da solo, in piena notte, per incontrare qualcuno. Il papà Piero gliel’aveva detto: “Gigi, non scendere”. E poi si era affacciato al balcone assistendo impotente all’esecuzione.
I palazzoni del rione Perrino ricordano l’edilizia periferica più inquietante delle scene di Gomorra: scale esterne prive di vetrate, balconi in cemento, dedali che sbucano sotto i palazzi e che sembrano fatti apposta per fuggire, o anche per tendere agguati. Giampiero è stato ucciso vigliaccamente alle spalle, con un colpo di pistola alla nuca, forse senza neanche il tempo di vedere in faccia il suo assassino. Lo ha urlato il padre, in un post pieno di dolore e di rabbia: “Gigi mio, solo alle spalle hanno avuto la forza di spararti. Vuol dire che con le mani non erano in grado, così facendo anno dimostrato che il più forte eri tu. Vai amore di papà, vola”. E la foto del ragazzo che impenna su uno scooter, con lo sfondo di un fienile.
“La paranza dei bambini”, risuona tristemente profetica ora che quella foto del giovane boss di Napoli farà per sempre da copertina alla pagina Facebook di Carvone. Perché è probabile che la mano omicida, quella che ha esploso tre o quattro colpi con una pistola calibro 7,65, appartenga a un altro di quei ragazzi che sono andati a occupare le caselle lasciate vuote dalla malavita brindisina. Negli ambienti si dice che l’omicidio sia avvenuto per una cazzata, una vendetta per una questione di poco conto e dunque con un movente che – neanche nei perversi codici della criminalità – potrebbe giustificare un’esecuzione così spietata. Una situazione che con ogni probabilità costituirà un aggravante per i killer quando saranno catturati: i futili motivi. L’anticamera dell’ergastolo.
Un omicidio pianificato ed eseguito con modalità mafiose, anche se la mafia non c’entra nulla, semplicemente perché in questo momento a Brindisi probabilnente non c’è e questa ne è la prova. Mai in passato sarebbe stato consentito a nessuno di entrare con una pistola nel cuore del rione Perrino, mai sarebbe stato autorizzato l’omicidio di un ragazzino, mai sarebbero stato permesso di far accendere i riflettori su via Tevere. Ma questo, paradossalmente, rende la situazione ancora più preoccupante perché se si arriva a uccidere con un colpo di pistola alla testa un 19enne per un motivo banale, così come se un gruppo di ragazzini si piazza davanti alla questura per applaudire gli amici arrestati, considerati eroi dopo aver saccheggiato la Nutella dai supermercati, vuol dire che la linea di demarcazione è stata ampiamente superata.
Sarebbero almeno tre gli schieramenti criminali che si contendono in questo momento il controllo di Brindisi, tutti composti quasi esclusivamente da giovanissimi. Uno con base nella zona popolare del rione Paradiso, un altro nelle case parcheggio del Sant’Angelo e il terzo al rione Sant’Elia. Batterie composte da ragazzini di età compresa tra i 16 e i 25 anni che si dedicano alle rapine, allo spaccio di droga e ai furti d’auto. Ognuna di loro ha un capo riconosciuto, ma privo di un carisma tale da poter pensare di indossare i galloni del boss assoluto. E così i tre gruppi si fronteggiano, non più solo con minacce o “dispetti”, ma utilizzando le armi.
Il business più diffuso, quello che vede in campo il maggior numero di “soldati” resta lo spaccio di sostanza stupefacente. La zona della stazione ferroviaria di Brindisi rimane uno dei punti principali di smercio ma non sono gli extracomunitari a gestire la rete di pusher: la vendita al dettaglio viene svolta da giovanissimi brindisini, ragazzi e ragazze. Le dosi del resto sono a buon mercato: cinque euro a grammo per la marijuana, dieci euro per l’hascisc, dai 70 a i 110 euro (a seconda della qualità) per la cocaina. Di giorno si spaccia in quasi tutti i quartieri della città: case parcheggio di Sant’Angelo, Sant’Elia, Perrino, Centro, Bozzano. La sera l’attività si concentra nei pressi del Nuovo teatro Verdi, dove si trovano la maggior parte dei locali frequentati da giovanissimi.
E poi ci sono i furti e le rapine, compiuti (come dimostrato da quelli della Nutella) anche dalla stessa batteria: prima ripulire i supermercati della merce e poi, con il sellone carico di generi alimentari, fare l’ultimo giro dalla cassa. Giampiero Carvone non era mai stato indagato per rapine ma per due volte era stato arrestato per furto. Prima a bordo di uno scooter rubato, poi nel cortile di un condominio in cui – con un gruppo di complici – rubavano biciclette di bambini.
“Non vivrò a lungo ma me ne andrò senza rimpianti”: una di quelle frasi che viaggiano sui social facendo perdere le tracce di chi l’ha scritte per primo e che non solo resta il testamento di Giampiero (o Gigi, come lo chiamava il padre) ma di tutta questa generazione borderline di chi come lui hanno iniziato a guardare alla vita come una sfida quotidiana, imboccandola però la strada dalla parte sbagliata. Il pm Raffaele Casto e la Squadra mobile, diretta da Rita Sverdigliozzi, stanno lavorando sotto traccia in queste ore per catturare agli assassini. Ci riusciranno, è molto probabile e sembra persino imminente, perché gli errori commessi per fortuna sono stati tanti.
Ma c’è quasi un certo timore a scoprire chi è stato e soprattutto perché l’ha fatto. Di appurare con certezza per quale motivo sia stata strappata la vita a un ragazzo di 19 anni e con la sicurezza che esso sarà così banale da far venire i brividi. Ucciso per una cazzata.
Il papà non si dà pace, vive e rivive quei momenti in cui con il figlio tra le braccia sperava in un miracolo: “Stella mia, mi hai sentito urlare, ho fatto l’impossibile a salvarti e tu lo sai ma alla fine tu sei volato via”, scrive ancora.
Su Facebook, luogo in cui come spesso accade si condividono il dolore e la rabbia, circola un appello lanciato dagli amici: «Il giorno del funerale del nostro caro amico Giampiero Carvone, in richiesta del padre, siete tutti invitati a far esplodere la piazzetta circostante la chiesa a bordo di qualsiasi tipo di moto o scooter».
E tornano alla mente la foto col casco di meno di un mese fa e quel post che sembrava sprezzante e che invece si è rivelato un terribile e realistico presagio.