Un omicidio e una catena di coincidenze: l’auto rubata forse non è il movente

Un omicidio terribile, quello di un ragazzo di 19 anni ucciso con un colpo di pistola alla testa sotto la sua abitazione, e un’inchiesta complicata, segnata da una catena di coincidenze e di intrecci che probabilmente l’hanno condizionata. Al punto che una testimonianza clamorosa in aula, quella di una giovane donna, chiamata a deporre per vicende apparentemente marginali in un processo «parallelo» all’indagine, ha aperto nuovi clamorosi scenari, svelando il nome del possibile autore del delitto che non era nella rosa dei sospettati ma tra quelli che erano più vicini alla vittima, e dunque apparentemente a sua volta in pericolo. Ci sono dunque due potenziali killer: quello individuato nella prima fase dell’inchiesta, che ha ricevuto (e questa è una notizia inedita) un avviso di garanzia per omicidio volontario, e quello il cui nome è emerso – quasi casualmente – nel processo e il cui alibi è stato sgretolato dalla teste che in aula ha fatto una rivelazione inattesa: «Mi ha confidato di aver ammazzato lui Giampiero durante una lite».
Il delitto è quello di Giampiero Carvone, avvenuto il 9 settembre 2019 sotto la sua abitazione al rione Perrino: un colpo di pistola 7.65 alla testa. Lo stesso calibro di un’arma che il ragazzo deteneva illegalmente e che non è stata mai trovata. Forse il killer non voleva ammazzarlo: la traiettoria del colpo, chiarirà la perizia, è dall’alto verso il basso come se istintivamente il ragazzo si fosse piegato mentre qualcuno gli stava sparando alle gambe.
Le indagini della Squadra mobile imboccano una direzione molto precisa e quasi inevitabile: scoprono che la mattina prima del delitto a casa del ragazzo erano piombati quattro giovani dello stesso quartiere: Giuseppe Lonoce, 37 anni; Stefano Colucello, 28, Aldo Bruno Carone ed Eupremio Carone, 22 e 21 anni. Avevano sfondato il portone del condominio e si erano presentati minacciosamente in casa, dove c’erano anche i genitori di Giampiero. Quest’ultimo aveva rubato l’auto di uno dei quattro e l’aveva poi abbandonata danneggiata per strada dopo un incidente. Pretendono il risarcimento del danno.
Poco dopo, di pomeriggio, in tre (Giuseppe Sergio, Giuseppe Lonoce e Stefano Colucello, secondo l’accusa) sarebbero scesi da un’auto nella piazzetta del quartiere ed esploso una fucilata in aria a scopo intimidatorio nei confronti di due ragazzi, considerati amici di Carvone e che vengono ritenuti a loro volta complici nel furto: anche in questo caso chiedono che il danno all’auto venga risarcito. La polizia si trova sul posto pochi istanti dopo e riesce a identificare i due giovani destinatari dell’intimidazione: sono in effetti molto vicini a Carvone. Quella stessa notte, poco prima delle 2, il ragazzo viene ucciso sotto casa. E’ evidente che la sequenza degli eventi porti gli inquirenti a ipotizzare che essi siano tutti concatenati, sino al tragico epilogo. Ma chi ha sparato?
In una prima operazione la Squadra mobile arresta Lonoce, i fratelli Coluccello e Carone per l’estorsione relativa all’irruzione in casa della famiglia Carvone. Poche settimane dopo Giuseppe Sergio, Stefano Coluccello e Lonoce per la fucilata esplosa nella piazzetta del Perrino. Terza ordinanza, per i fratelli Coluccello e Sergio per la detenzione di una pistola della cui esistenza si apprende durante una intercettazione ambientale. Ma che non viene mai trovata.
C’è un quarto fascicolo che viene aperto, nei confronti di uno dei personaggi sopra citati (del quale non indichiamo il nome in quanto l’inchiesta è ancora in corso e lui è indagato a piede libero) in cui si ipotizza il reato di omicidio volontario. Finora però sembra non siano emersi elementi probatori tali da far scattare l’arresto.
Tutta questa sequenza di ordinanze (esclusa appunto la questione dell’omicidio) è stata unificata in un processo in corso davanti al Tribunale di Brindisi che è giunto alla sua fase finale con le richieste dal pubblico ministero Raffaele Casto: 11 anni e 10 mesi per Giuseppe Lonoce, 5 anni e 10 mesi per Stefano Coluccello, 4 anni per Aldo Carone, 3 anni e sei mesi per Eupremio Carone, 7 anni e quattro mesi per Giuseppe Sergio, 4 anni e tre mesi per Alessandro Colucccello. Toccherà ora al collegio difensivo (avvocati Giuseppe Guastella, Gianvito Lillo, Cosimo Luca Leoci, Manuela Greco, Alessandro Gueli e Daniela D’Amuri) discutere le arringhe prima della sentenza.
Ma nel corso del processo è avvenuto un episodio che in qualche modo ha innescato un’altra ipotesi investigativa che attualmente è al vaglio della procura e della Squadra mobile. E’accaduto che nel corso del dibattimento sono stati ascoltati come testimoni, in quanto parte lesa, i due amici di Carvone che erano stati vittima della fucilata intimidatoria nella piazzetta e che erano stati identificati grazie al fulmineo intervento della polizia, giunta sul posto prima che potessero allontanarsi. Uno dei due, considerato molto amico di Carvone, è stato a lungo esaminato dal pm Raffaele Casto che gli ha contestato una serie di divergenze tra quanto stava raccontando in aula e quello che aveva dichiarato prima alla polizia e poi allo stesso magistrato che lo avevano ascoltato dopo la sparatoria. In sostanza il ragazzo ha riferito che la fucilata era stata esplosa perché sia lui che l’altro che era in sua compagnia, venivano considerati complici di Carvone nel furto dell’auto, cosa che ha dichiarato non essere vera. Rucostruendo i i fatti, ha poi affermato che quella sera andò a dormire a casa della sua fidanzata, che abita sempre al rione Perrino, e che qui durante la notte sentì le detonazioni dei colpi d’arma da fuoco con i quali veniva ucciso Carvone. Ha ricordato che subito dopo decise di lasciare la casa della giovane donna e, spaventato, di essere andato prima a casa della madre in via Cappuccini e poi dalla nonna.
In una delle udienze successive è stata quindi chiamata a deporre in aula la giovane donna indicata dal ragazzo per il suo alibi. Nel corso dell’esame, non solo ha smentito che quella notte si trovava in compagnia del giovane, ma ha affermato che questi le aveva confidato di essere lui l’autore dell’omicidio. La testimone ha raccontato che il 9 settembre 2019, il giorno del delitto, lui quel ragazzo neanche lo conosceva e di aver intrattenuto con lui una breve relazione iniziata solo nel novembre 2019 e durata un mesetto perché quello fu arrestato, per motivi che non hanno a che fare con questa vicenda. E poi ha fornito la sua ricostruzione, che ovviamente deve essere verificata.
Ha spiegato che nell’agosto 2019, un mese prima del delitto, insieme a un’amica si trovava a fare il bagno alla Conca e c’era un ubriaco che le molestava. Il ragazzo, che lei non conosceva, intervenne in loro difesa picchiando il molestatore. Una settimana dopo l’omicidio di Carvone, quel ragazzo l’avrebbe fermata per strada, chiamata in disparte e informata che aveva raccontato alla polizia di aver trascorso la sera dell’omicidio a casa sua: “Vedi che io ho dichiarato che stavo a casa tua perché tu sul quartiere Perrino sei l’unica ragazza sola con due bambini, quindi io non potevo dire che stavo a casa di Tizia che tizia – un esempio – è sposata, tu sei l’unica ragazza sola che è a casa sola al Perrino quindi ho dovuto dire che stavo da te. E mi disse che in caso mi dovessero chiamare io dovevo dichiarare che lui stava con me e che al momento degli spari lui è scappato e se n’è andato sotto dove noi chiamiamo “grattacieli” o comunque sia i palazzi rosa, quelli che stanno proprio di fronte casa mia”. Ricordo benissimo che lui mi disse che era o perché aveva avuto una colluttazione con il Carvone».
La giovane donna ha raccontato di essersi spaventata per quella situazione e che il ragazzo le parlò di aver avuto una lite con Carvone. Successivamente ha spiegato che iniziarono a scriversi sul social Instagram e che a novembre tra i due era nata una relazione. E che il ragazzo le avrebbe rivelato di aver ucciso lui Carvone: “Mi ha raccontato che è andato sotto casa di Giampiero, che aveva avuto questa colluttazione, che ci sono stati questi spari; che io poi, altra cosa che mi sto ricordando, gli dissi: “Ma tu non lo volevi uccidere? Lui mi ha confessato questa cosa qui”.
La giovane donna ha aggiunto che durante la loro relazione aveva riprovato a parlare dell’argomento, ma lui glissava: “ogni volta che si apriva il discorso lui o mi tagliava in tronco e diceva “basta, quella storia chiudiamola, dimenticala”, oppure quando tentavo sempre di aprirlo, perché c’era sempre questo pallino che tutti mi dicevano “ma tu, com’è che sei fidanzata con Tizio”.
La testimonianza, molto singolare e coraggiosa – se dovesse rivelarsi attendibile – apre un nuovo filone d’indagine, parallelo a quello precedente, in cui si vuole verificare se il movente dell’omicidio non sia direttamente legato al furto dell’auto (e dunque compiuto da qualcuno tra gli imputati del processo in corso) ma che comunque il caos provocato da quell’episodio potrebbe aver innescato reazioni impreviste.
L’inchiesta procede sui due fronti dunque, ma si ha la sensazione che la verità sia molto vicina.