Una lucida follia omicida – I retroscena di un delitto senza giustificazioni

di Gianmarco Di Napoli per il7 Magazine

C’era una persona vestita di nero che stava accovacciata sotto al muretto e che si è alzata e ha sparato. Papà mi ha gridato di correre e io ho aperto il cancello della zia e sono scappato in casa”: l’ultimo atto eroico compiuto dal maresciallo dei carabinieri in quiescenza Silvano Nestola, 45 anni, è stato quello di salvare la vita al figlio di undicenne, preoccupandosi di attirare su di sé le fucilate caricate a pallettoni esplose da distanza ravvicinata, senza tentare di proteggersi, per dare il tempo al ragazzino di trovare riparo in casa mentre perdeva nella corsa il suo smartphone che è stato trovato accanto al corpo del padre.
L’assassino si era appostato tra la vegetazione, in attesa che la vittima designata uscisse dalla villetta della sorella Marta, dove quasi ogni sera andava a cena con il figlio. Senza preoccuparsi che accanto a lui ci fosse il ragazzino che sarebbe potuto finire nella traiettoria delle fucilate: quattro in tutto, esplose con un’arma calibro 12 caricata a pallettoni da caccia grossa. Il corpo del carabiniere è stato devastato dai colpi a munizionamento multiplo: il fianco destro, l’addome, la spalla sinistra e l’avambraccio destro. La morte è stata istantanea.
Per l’omicidio avvenuto alle 10 di sera del 3 maggio scorso, in località Tarantini, nelle campagne di Copertino (provincia di Lecce) è stato arrestato Michele Aportone, 70 anni, piccolo imprenditore di San Donaci residente nei pressi della stazione dei carabinieri del paese, e risulta indagata a piede libero anche la moglie Rossella Manieri. Il movente è pauroso per la sua futilità: i coniugi Aportone volevano interrompere la relazione sentimentale tra Nestola e la figlia 36enne Elisabetta.
IL SOSPETTATO – Prima di approfondire la dinamica del delitto è opportuno fare un passo indietro per capire chi sia Aportone. In realtà un personaggio apparentemente quasi irreprensibile: un’ombra nera sul suo passato risale solo a 35 anni fa quando un pentito della Sacra corona unita, l’ex boss di San Donaci Gianfranco Presta, disse che era coinvolto nella sofisticazione dei vini, una delle attività criminali principali all’epoca gestite dalla Scu. “Aportone faceva da staffetta quando si andava a prendere lo zucchero a Brindisi, dietro il cimitero, per evitare i posti di blocco della guardia di finanza. La notte poi si trasportava il vino sofisticato da (…)”. All’epoca erano numerosi gli stabilimenti che creavano vino sofisticandolo con lo zucchero e lo cedevano poi alle cantine che lo imbottigliavano come proprio, spesso con etichette importanti.
Questa sua conoscenza degli ambienti criminali e la sua abitudine a muoversi di notte per svolgere attività illecite, anche se non recenti, avvalorerebbe secondo gli inquirenti un mosaico giudiziario che pare abbastanza solido.
Più recentemente Aportone aveva aperto alcune tabaccherie, una delle quali a San Pietro Vernotico, in via Cellino, in cui aveva lavorato la moglie Rossella. Un figlio invece gestisce tuttora un’altra tabaccheria a Veglie, nel Leccese. Più recentemente, sempre insieme alla moglie che è originaria di Copertino, aveva realizzato l’Area sosta per camper “Santa Chiara”, sulla strada provinciale Nardò-Avetrana, nei pressi del villaggio di Boncore. Circa 22mila metri quadrati di piazzole destinate a camperisti che frequentano le spiagge ioniche di Torre Lapillo e Porto Cesareo.
Quando i carabinieri del Nucleo operativo del comando provinciale di Lecce e quelli del Ros, con lo stesso team investigativo che lo scorso anno risolse il duplice delitto della giovane coppia massacrata a Lecce dallo studente-infermiere, sono giunti sul posto, il primo sospetto è stato ovviamente che si potesse trattare di una vendetta maturata nell’ambito dell’attività investigativa che Nestola aveva esercitato fino a qualche mese prima nel Nucleo di Lecce, dopo una lunga parentesi presso la stazione carabinieri di San Pietro Vernotico. Ma immediatamente le indagini hanno preso una direzione precisa.
LA VITTIMA – Nestola, separato dalla moglie, aveva intrapreso nell’estate 2020 una relazione con Elisabetta Aportone, 36 anni, conosciuta in spiaggia, a sua volta a un passo dalla separazione con il marito. A un certo punto a ostacolare la relazione si era intromessa la madre di lei e determinata al punto da aspettare per strada Nestola, aggredendolo verbalmente all’uscita della sua abitazione e intimandogli con toni accesi di non incontrare mai più la figlia, urlandogli “Lassa stare fijama”. La donna aveva poi iniziato a pedinare la ragazza, a fare il lavaggio del cervello a lei e persino alle sue amiche. «Deve tornare con il marito».
Il 20 aprile 2021, ossia poco più di due settimane prima dell’omicidio, la Manieri per la quarta volta si recò a casa dell’ex carabiniere accusandolo di aver distrutto il matrimonio della figlia. Nestola registrò la conversazione con il telefonino e quel file audio è parte integrante dell’indagine. Nel corso del litigio lui le dice: “Io non posso più uscire da casa perché ho l’ansia grazie a lei, con 30 anni di servizio nei carabinieri neanche i delinquenti mi hanno inseguito. Ha capito signora? Quindi la prossima volta la denuncio, lei mi sta facendo stalking».
IL GPS – L’assillante controllo sulla vita della figlia, ormai adulta, da parte dei genitori non si limitava alla vera e propria persecuzione messa in atto dalla madre nei confronti di Nestola. La coppia aveva fatto installare sull’auto della giovane un rilevatore gps che consentiva sia ad Aportone che alla moglie di verificare in tempo reale, attraverso il loro smartphone, i suoi spostamenti. Nel periodo tra il 27 marzo e il 2 maggio 2021 (vigilia dell’omicidio) sono stati registrati dai carabinieri 1.357 controlli effettuati sul gps da parte dei genitori. In particolare la vettura risulta controllata 571 volte dal telefono della madre (più di 16 volte al giorno, una volta ogni ora e mezzo) e 134 dall’utenza del padre (quasi quattro volte al giorno). L’esame sul cellulare di Aportone, sequestrato dai carabinieri il 12 maggio, ha consentito di accertare che questi dopo l’omicidio aveva cancellato dalla rubrica il contatto (salvato come “Fernando Lo”) associato all’utenza dell’apparato Gps, nonché l’intera sessione degli Sms di geolocalizzazione che il dispositivo aveva inviato al suo smartphone.
LE PROVE – Sin qui la parte oggettiva della vicenda, quella che non può essere messa in discussione perché ampiamente documentata da testimonianze e riscontri tecnologici. Inizia ora la parte che dovrà essere vagliata dalla magistratura, ossia l’ipotesi che Michele Aportone, istigato direttamente o in maniera indiretta dalla moglie, abbia deciso di porre fine in maniera drastica alla relazione tra i due giovani, uccidendo spietatamente Silvano Nestola davanti al figlioletto ed eseguendo il delitto con una preparazione meticolosa, con l’obiettivo di non essere scoperto.
Secondo i carabinieri di Lecce, i pm Alberto Santacatterina e Paola Guglielmi, e infine anche secondo il gip Sergio Mario Tosi che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere, sarebbe Aportone l’uomo vestito di nero visto dal figlio della vittima mentre faceva fuoco.
LA SVOLTA – Il primo elemento è venuto fuori dalla visione degli impianti di videosorveglianza installati lungo il percorso dell’area di campeggio gestita dal 70enne di San Donaci porta al luogo in cui è stato compiuto il delitto, circa 30 chilometri più lontano. Una verifica che, soprattutto nel percorso di ritorno, è stata facilitata dal fatto che in quel periodo era in vigore il coprifuoco dopo le 22 e dunque il furgone che gli inquirenti ritengono essere quello utilizzato per una parte dello spostamento da Aportone era facilmente individuabile con le varie videocamere. Soprattutto durante il percorso inverso, compiuto dopo le 10 di sera.
Secondo questa ricostruzione, il furgone Iveco Daily di colore bianco si allontana dall’area di sosta camper alle ore 19.23 del 3 maggio. A bordo del mezzo ha anche caricato un ciclomotore Piaggio 50 modello Free. Il tragitto del mezzo viene seguito sino a Leverano dove arriva venti minuti dopo, parcheggiando in via Ancona, nelle vicinanze di un’autofficina. Cinque minuti dopo scarica dal mezzo il ciclomotore blu, appoggia il fucile sul pianale tra le sue gambe e si dirige alla periferia di Copertino dove, secondo gli inquirenti, compie il delitto. Sei minuti dopo l’orario in cui si sa che è stato ucciso Nestola, il ciclomotore compie il percorso inverso, raggiunge Leverano e poi il furgone riprende la marcia di ritorno verso l’area di campeggio sulla marina di Nardò dove giunge alle 22.36. Trentasei minuti dopo l’omicidio.
Quattro giorni dopo il delitto Aportone abbandona in tre distinti punti del comune di Porto Cesareo le parti appartenenti ad un unico ciclomotore dato alle fiamme e sezionato con una smerigliatrice. Durante l’abbandono dei pezzi, il 70enne (che ha una microspia nella sua Bmw) dice ad alta voce: “Scientificame stu cazzu”, riferendosi probabilmente al fatto che quell’azione avrebbe potuto cancellare ogni residuale prova nei suoi confronti. Del resto era abbastanza tranquillo visto che il suo telefono cellulare la sera del delitto non risultava essersi mai mosso dall’area di sosta. Una scelta precisa per sviare le indagini, ipotizzano gli inquirenti. Tutti i pezzi del ciclomotore vengono recuperati.
C’è un altro aspetto che sembra far convergere in maniera decisa i sospetti sull’uomo: i carabinieri del Ris hanno effettuato analisi su una serie di indumenti e oggetti sequestrati ai coniugi Aportone e su alcuni di essi sono state rinvenute particelle tipiche dello sparo di colpi d’arma da fuoco. In particolare su un berretto “Terranova” rivenuto nella Bmw e su una camicia mimetica sequestrata in un autocarro dell’indagato.
Nessuna traccia invece sui fucili legalmente detenuti da Aportone: per commettere il delitto avrebbe utilizzato un’altra arma della quale probabilmente si sarebbe disfatto subito dopo l’omicidio.
Venerdì 29 ottobre i carabinieri del Nucleo operativo del comando provinciale di Lecce lo hanno tratto in arresto in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere con le accuse di omicidio premeditato aggravato dai futili motivi e detenzione e porto abusivo di arma da fuoco. La moglie Rossella Manieri, che insieme al marito era indagata da mesi per l’omicidio, non è stata raggiunta da alcun provvedimento restrittivo. Non esiste al momento alcuna prova che abbia avuto un ruolo nella pianificazione del delitto.
Durante l’interrogatorio di garanzia svoltosi nel carcere di Lecce si è avvalso della facoltà di non rispondere. Il suo legale, l’avvocata Francesca Conte, ha ribadito che Aportone è assolutamente estraneo alle accuse e ha annunciato ricorso al Tribunale del Riesame. La difesa contesta sia le immagini dei circuiti di videosorveglianza, affermando che non esiste alcuna prova che si tratti del mezzo di Aportone, che l’attendibilità delle prove scientifiche che sarebbrie state individuate sui suoi indumenti. Per questo si è affidata a una controperizia dell’ex generale dei Ris di Parma, Luciano Garofano.