Una strada al maresciallo Galeone: per Francavilla un emblema della «retta via»

Via maresciallo Antonio Galeone. A metà degli anni Novanta la proposta di toponomastica non c’entrava nulla. Il Maresciallo era vivo e vegeto, ma finalmente, dopo anni di tentativi, erano riusciti a mandarlo via da Francavilla Fontana. Dava fastidio.
La “sua” Francavilla, la città che aveva amato di più, ancor di più di San Giorgio Ionico dove era nato, o di Rocca Imperiale, in Calabria, dove aveva comandato la sua prima stazione dei carabinieri, e più anche di Locorotondo dove si era trasferito a malincuore riuscendo in breve tempo a diventare un eroe così amato da ottenere per acclamazione la cittadinanza onoraria, la quarta che il Comune avesse mai concesso nella sua storia.
Francavilla no, è sembrata dimenticarlo quasi subito, persino quando era in punto di morte, dopo aver combattuto la sua battaglia più dura contro un nemico invisibile ma terribile, l’unico che l’abbia mai sconfitto. Chissà quanto sarebbe stato fiero di un riconoscimento, lui che viveva per le istituzioni e che da quelle stesse istituzioni ebbe poco, e negli ultimi mesi di vita ha atteso invano un segnale dalla «sua» Francavilla.
Dieci anni dopo la sua scomparsa, avvenuta il 7 ottobre 2009, quando aveva solo 57 anni, la città sembra all’improvviso ricordarsi di lui, grazie all’iniziativa di Antonio Andrisano, capogruppo di Forza Italia, e appena ventenne quando Galeone lasciò il comando della stazione di Francavilla per spostarsi a Locorotondo. Andrisano propone all’Amministrazione comunale di intitolare al Maresciallo una piazza, una via o un parco della città. La legge (che risale al 1927) prevede che strade e piazze possano essere intitolate a persone decedute dal oltre dieci anni, ma consente anche ampie deroghe. Che nessuno ha mai pensato di sfruttare.
Galeone ne sarebbe fiero sino alle lacrime, sensibile a dispetto del suo animo burbero e degli occhi nascosti perennemente dietro i Rayban verdi a goccia. E Francavilla salderebbe – almeno in parte – un debito morale nei confronti dell’uomo che riuscì a mantenere fuori dalla porta (unico comune della provincia e forse anche del Salento) la Sacra corona unita.
Ma c’è qualcuno che anche ora, dieci anni dopo la sua morte e a quasi un quarto di secolo dal suo agognato allontanamento da Francavilla, rema contro. Giudicando la scelta di dedicare una strada al Maresciallo azzardata.
Per raccontare Galeone bisogna rituffarsi nel clima degli anni Novanta, i più sanguinari mai vissuti in provincia di Brindisi: decine di omicidi di mafia, lupare bianche, attentati, ferimenti.
Il territorio era nelle mani della Sacra corona unita, suddiviso geograficamente in maniera militare, con i vertici annidati nelle roccaforti di Mesagne e Tuturano, e le truppe a presidiare ogni comune, anche il più piccolo. Ciascun paese aveva un capozona e le sue batterie di scagnozzi pronti a seguire le indicazioni dei boss. Pagare il pizzo era la regola, chi non lo faceva subiva attentati o rapine. Lo spaccio di droga (soprattutto eroina, con decine di casi di overdose all’anno) era una delle attività più redditizie della Scu che imponeva ai pusher di approvvigionarsi solo dall’organizzazione. Anche qui chi non si allineava pagava, spesso con la pelle. Avveniva ovunque, in provincia di Brindisi. Ovunque tranne che a Francavilla Fontana.
A Francavilla esisteva una sola legge, quella del maresciallo Galeone, detto Baffone. Su di lui circolavano varie leggende tra cui quella della presenza di un grosso nerbo di bue sotto la sua scrivania, utilizzato spesso contro i malavitosi colti con le mani nel sacco. Non era una leggenda, era vero. Così come era vero che in molti hanno trascorso notti insonni nella cella di sicurezza delle vecchia caserma che si trovava a due passi da palazzo Imperiali. Il Maresciallo non aveva modi spicci e oggi certi sistemi non sarebbero stati ammessi, ma in quegli anni furono decisivi per tenere lontane la criminalità organizzata, la droga e le estorsioni da Francavilla. E per far mettere la testa a posto a più di qualche ragazzo scapestrato che ancora oggi lo ringrazia.
La mafia brindisina non ebbe mai il coraggio di affrontarlo direttamente. In un casolare abbandonato un giorno disegnarono la sua sagoma, con tanto di berretto baffoni e divisa dei carabinieri e la crivellarono di pallettoni. Lui si fece una risata così come quando gli dissero che con le sue foto in carcere facevano certi giochini.
Quando non cacciava delinquenti spariva per condurre la sua seconda vita, quella che solo pochi conoscevano. Assisteva tossicomani che tentavano di uscire dalla droga nelle comunità, molti che lui stesso aveva arrestato, aiutava le ragazze-madri e famiglie disagiate, spesso proprio quelle alle quali aveva portato via uno dei componenti catturandolo. Fu un nemico viscerale dei caporali che sfruttavano le donne nei campi e pianse quando nel 1993 tre braccianti di Oria morirono schiacciate nel pulmino che le trasportava. Destestava quegli aguzzini e li combatteva alzandosi spesso prima dell’alba, organizzando posti di blocco, tentando di sfiancarli. Un Maresciallo contro i caporali, prima ancora che questa diventasse una piaga nazionale.
Pianse, in silenzio, quando riuscirono a farlo sloggiare da Francavilla dove non era mai stato amato dai potenti. Perché non guardava in faccia nessuno. Fu trasferito a Locorotondo portandosi dietro le collezioni di pipe, di sciabole e di modellini d’auto. Viveva in una villetta immersa nel verde della Valle d’Itria e ovviamente divenne anche lì il carabiniere più amato della storia. Qui morì 10 anni fa.
Avrebbe dato ancora tanto, molti ufficiali che hanno comandato la sua caserma hanno fatto carriera anche grazie ai risultati che lui era riuscito a ottenere. A Francavilla è amato ancora, e molti di quelli che lo ricordano con affetto sono gli stessi che da ragazzini hanno provato quel dolorosissimo nerbo di bue. Che li ha ricondotti, in un tempo in cui si andava di lupara, sulla retta via.
Ecco, una strada dedicata al maresciallo Antonio Galeone nella “sua” Francavilla, sarebbe proprio questo: l’esempio più autentico di ciò che può essere la “retta via”. Tuppe tuppe, Marescia’.