di GIANMARCO DI NAPOLI per IL7 Magazine
Il 29 giugno 2009 il deragliamento di un treno merci che trasportava 14 vagoni di GPL, seguito da un incendio e da una forte esplosione, provocò 32 morti e 17 feriti nelle palazzine attigue alla stazione di Viareggio. Lo scoppio di una sola cisterna di “Gas di petrolio liquefatti” causò conseguenze mortali a centinaia di metri di distanza, devastando un intero quartiere. Da quel giorno drammatico, si guarda con grande attenzione al transito di convogli che trasportano materiale infiammabile. In pochi sanno probabilmente che nella stazione ferroviaria di Brindisi, esattamente sui binari più vicini a via Torpisana, almeno due volte alla settimana (il mercoledì e il venerdì) rimangono in sosta in attesa della ripartenza per il nord Italia treni merci con una trentina di vagoni, buona parte dei quali trasportano ognuno 60 metri cubi di GPL. Ma in molti incrociano i convogli quando attraversano via Porta Lecce, a poche decine di metri dalla questura.
Si tratta di potenziali “bombe” dagli effetti devastanti nel cuore della città.
Il GPL viene prodotto nella zona industriale presso gli stabilimenti della Ipem, dotati di binari che raggiungono direttamente i serbatoi: i vagoni-cisterna, una volta riempiti e agganciati al convoglio, percorrono tutta la zona industriale sul binario che divide in due viale Enrico Fermi, sbucano dal passaggio a livello privo di sbarre di via Provinciale per Lecce, attraversano il ponte sul Canale Patri ed entrano nella stazione ferroviaria.
Il problema doveva essere risolto da anni in maniera apparentemente semplice: la realizzazione di una bretella ferroviaria di meno di dieci chilometri che dalla zona industriale, invece di puntare verso il centro della città, dovrebbe dirottare i vagoni-merci in campagna, tra Tuturano e Brindisi, lontano dal centro abitato. Da qui, secondo gli orari prestabiliti e dopo tutti i controlli di routine, i treni sarebbero inseriti sulla rete ferroviaria nazionale per proseguire il loro viaggio verso le destinazioni previste. Senza sostare, pericolosamente, nel centro di Brindisi.
Ma il progetto, del valore di 30 milioni di euro, che doveva essere completato ormai da anni, è una delle più clamorose (e nascoste) incompiute che la pur tormentata storia brindisina ricordi.
Siamo andati a visitare i vari lotti del cantiere. I lavori infatti sono iniziati (e poi abbandonati) in vari punti di quella che dovrebbe essere la nuova linea.
L’unico in cui i lavori per la realizzazione del raccordo ferroviario, tutti iniziati e poi abbandonati in piena campagna, sono visibili agli automobilisti nella loro drammatica immobilità è il rondò che si trova sulla litoranea sud, quella che dalla zona industriale porta alla centrale di Cerano. E’ il punto in cui la nuova bretella (chiamata “baffo”) taglia verso le campagne in direzione Tuturano. Esiste in tutto circa un chilometro di ferrovia, tra la zona sinistra e quella destra del rondò. I binari si interrompono all’improvviso e le traversine (alcune datate 2015 e altre 2016) sono accatastate ai lati. Da mesi non ci sono né mezzi meccanici né uomini sul posto. Abbiamo percorso in un senso e nell’altro i binari: in direzione della zona industriale si interrompono all’improvviso verso un viadotto per il quale sono state create solo le basi e che resta più un intenzione che una struttura realistica. Dalla parte opposta, all’improvviso, i binari si perdono nella campagna. Campi ancora coltivati, che probabilmente non sono stati mai espropriati. Un altro lotto, ancora più breve, è stato avviato proprio nei pressi dello stabilimento Ipem. Anche qui binari che si spezzano all’improvviso e scompaiono tra le pietre bianche tipiche della ferrovia.
Il progetto è stato avviato addirittura al 2007 e prevede la realizzazione di una nuova linea per circa nove chilometri, oltre ad altri tre chilometri di binari necessari per attrezzare la zona di presa in carico finalizzata alla composizione dei treni da immettere poi sulla linea nazionale. Per realizzarlo furono stanziati 30 milioni di euro di cui oltre 16 provenienti dalla Misura 6.1 della Regione Puglia per l’adeguamento e miglioramento delle reti di trasporto, oltre 12 milioni a valere sulle risorse di cui all’ Accordo di Programma Integrativo del febbraio 2006 tra Ministero delle Infrastrutture, Regione Puglia, Comune di Brindisi, Consorzio Sisri di Brindisi e Autorità̀ Portuale e un altro milione rinveniente da risorse POR 2000-2006.
Si arriva al 2011 quando viene aggiudicata definitivamente la procedura di gara al “Consorzio Stabile ECIT Engineering Costruzioni Infrastrutture Tecnologiche. Il Consorzio risulta composto dalla “Rossi Renzo Costruzioni”, dalla “Ferraro Spa” e dalla “2 Dv Costruzioni srl”. Amministratore unico è Antonio Ferraro di Lamezia Terme (Cosenza), insistitore Angelo Ferrato. Il direttore tecnico è il leccese Giuseppe Latino.
Dovranno trascorrere altri anni, tra rinvii, varianti del progetto e presunte sopravvenute difficoltà di carattere tecnico, prima che il cantiere venga effettivamente avviato. La ditta appaltatrice ottiene una serie di proroghe sull’ultimazione dei lavori, sino a quella firmata dal Settore Lavori Pubblici del Comune di Brindisi il 23 ottobre dello scorso anno con cui si determinava la nuova scadenza di ultimazione dei lavori per il 31 marzo 2018.
Secondo il nuovo cronoprogramma, approvato dai tecnici del Comune di Brindisi, dovevano essere realizzati in 194 giorni complessivi l’intero corpo ferroviario: un ponte metallico sul canale di Levante, uno sul Fiume Grande, un viadotto di 150 metri e un altro di 370 metri, la posa in opera dei binari e delle traversine, la posa degli scambi.
A marzo 2018 la situazione era pressoché al punto di partenza, ossia quasi zero. Nonostante questo, proprio negli ultimi giorni, pare che il Consorzio abbia ottenuto, non si comprende bene sulla scorta di quali garanzie, un’ulteriore proroga da parte del Comune di Brindisi. Il nuovo termine è fissato per marzo 2019, ma chi ha una minima conoscenza della complessità dei lavori che dovrebbero essere svolti, assicura che il tempo necessario è molto superiore. Servono anni.
La vicenda è anche resa ancora più complessa perché ha una sua appendice giudiziale.
Nell’aprile 2016 il Consorzio Stabile Ecit ha presentato un ricorso al Tribunale di Brindisi sostenendo di avere crediti nei confronti del Comune di Brindisi per oltre 14 milioni di euro in quanto nel corso dei lavori sarebbero emerse molteplici problematiche tra le quali alcune interferenze con le strutture già esistenti nel territorio. Tali circostanze avrebbero provocato ulteriori esborsi al Consorzio e l’impossibilità di portare a termine i lavori nei tempi stabiliti. Il Comune, all’epoca amministrato dal commissario Cesare Castelli, diede mandato al suo ufficio legale di resistere in giudizio. Sempre dall’albo pretorio del Comune risulta che già nel 2015 lo stesso Consorzio aveva adito il Tribunale di Brindisi in quanto dalla somma complessiva di quasi 450 mila euro ad esso dovuta quale anticipazione contrattuale, sarebbe stata detratta, in via compensativa, la somma di 30 mila euro. Certamente una tale conflittualità non fa ben sperare in una rapida soluzione della vicenda.
Insomma il rischio che il raccordo ferroviario non venga più realizzato, o che comunque trascorreranno ancora molti anni prima che esso venga completato, è forte.
Non si tratta però solo di una questione di viabilità ferroviaria ma di sicurezza della città. Mentre in queste ore per la famosa “circolare Gabrielli” viene annullato per questioni di ordine pubblico il concerto musicale del gruppo Boomdabash in un tranquillo centro commerciale, si consente la presenza di autentiche “bombe” nel cuore della città che potrebbero essere a rischio incidenti ma anche obiettivo di attentati.
In un caso e nell’altro è la burocrazia a stabilire ciò che è pericoloso e ciò che no. Ma la realtà, purtroppo, è diversa. E basta affacciarsi da una qualsiasi palazzina di via Torpisana per comprenderla.