Lettera del prof Ugo Libardo: “L’amicizia è una valle assolata, la vita una storia straordinaria, la morte non mi spaventa”

Uno struggente pensiero scritto dal prof Ugo Libardo qualche anno fa, durante un precedente ricovero, è stato pubblicato dalla moglie Daniela Curcio sulla pagina Facebook dell’insegnante scomparso. I funerali si svolgono questa mattina alle 9.30 presso la chiesa del Cimitero.

Eccomi a voi, per la prima volta dal profilo di Ugo.
Ci tengo a farlo da qui, perché quello che sto per inoltrarvi è uno scritto che Ugo ha prodotto qualche anno fa, durante una lunga degenza in ospedale.
E’ rivolto a tutti voi, ai suoi amici.
Grazie a tutti.

Cari amici,
Negli ultimi mesi ho avuto modo di riflettere sulla morte. Prima non mi era mai successo, tanto ero stato impegnato a vivere il minuto in corso.
Così come non ho mai pensato alla pensione, perché spero di poter lavorare fino all’ultimo giorno di vita. Non è masochismo, il mio. Semplicemente, mi riconosco l’abilità, tutta innata, di sapermi scegliere i lavori più entusiasmanti. Non mi attribuisco alcun merito, è così da sempre e non ho fatto nulla per guadagnarmelo. Dunque, mi ritengo un uomo straordinariamente fortunato.
Dicevo, … ho pensato e toccato la morte, ma non mi ha spaventato. La nera signora mi ha sorriso e ha deciso di passare avanti. Non so perché, se mai vi sia un perché. La maggior parte delle cose accadono perché ce le siamo lavorate, più o meno consapevolmente. Altre cose, proprio, non dipendono da noi, e dobbiamo avere la sportività di accettarle, sia quelle piacevoli, sia quelle meno piacevoli. O terribili.
È la straordinaria storia della vita. Di qualsiasi vita, umana, animale o vegetale. Un leone, una balena, come l’uccellino e il capriolo, ogni mattina non sanno se l’indomani saranno ancora vivi, per quanto possano essere in buona salute. Un cacciatore, una baleniera, un incidente possono interrompere la loro vita in qualsiasi momento. Così come l’ubbidienza ai loro istinti primordiali può ricompensarli con una progenie sana e una morte di vecchiaia.
Non so spiegare perché non ho avuto paura di morire. Spesso la ricerca di un perché in tutte le questioni che attengono all’umano comportamento sono insondabili o troppo sottili perché il nostro intelletto riesca a comprenderle. Le variabili sono troppe e troppo nascoste nei recessi del nostro subconscio.
Per esempio, mi piace credere che la mancanza di quella sana paura sia dovuta ad una generale gratitudine nei confronti della vita. Sono molto consapevole del tempo che passa ed è sempre stata per me una specie di ossessione cercare di sfruttare il minuto. Perché? Di nuovo, non lo so. E non si può passare la vita a chiedersi il perché di tutto. È uno spreco di tempo. A volte ho la sensazione di aver tanto usato il mio tempo da aver vissuto l’equivalente di due vite, non solo una. Ma, anche questa, è solo una congettura, non ne ho la certezza.
Quando un giorno non sarò più annoverato fra i viventi, da un mondo che non conosco e che ho la fervida speranza che esista, mi piacerebbe far sapere a chi ha condiviso con me la pur minima e insignificante esperienza, che ho gradito quella condivisione: in alcuni casi mi ha turbato; in molti casi mi ha incuriosito piacevolmente. In altri mi ha appassionato e l’ho amata.
Solo due o tre esperienze mi hanno recato un dolore significativo. Un dolore che si è sciolto a suo tempo come la neve in una valle assolata di amicizia. Di amore. Non è fortuna, questa?
Alle persone a cui ho fatto del male vorrei dire che l’ho fatto inconsapevolmente, perché troppo distratto, troppo immaturo, troppo preso a galoppare le ore e i minuti. Per l’eccessivo amore per la velocità. Non posso neanche chiedere loro scusa – perché troppo banale e persino troppo facile. Avrei solo desiderato, come desidero in questo momento, sinceramente, di poter riparare in qualche modo, risarcire il danno. Ma raramente ciò diviene possibile. Non so perché.
Vorrei dire grazie alle persone che mi sono vicine. Grazie per la vostra vicinanza, per la vostra presenza.
Persone meravigliose a cui volentieri bacerei le mani e le guance. Da cui tanto ho imparato. Vi sono così debitore.
Questo è il mio testamento. Certo.
Non che creda di essere vicino alla fine. Al contrario, spero di aver iniziato a vivere la mia terza vita. Chiamiamola pre-videnza, la mia, un puro e freddo calcolo in una vita fatta di passione. E vorrei gridarlo forte perché tutti voi conosciate la mia riconoscenza e la mia volontà.
Vi scongiuro di accettarla e rispettarla.
Vostro, infinitamente riconoscente,
Ugo