Andrea Merlo e la croce fantasma – II Puntata

Entrarono in una stanza in penombra, schiarita da una finestra che dava in un cortile interno, pieno di vasi fioriti. I colori spiccavano nel grigio della mattina autunnale. Un gatto dormiva su una poltrona e non fece cenno di muoversi. Sul muro una serie di foto di ragazzini con i grembiulini blu e rosa e una maestra che invecchiava ad ogni scatto. “Ho insegnato per tanti anni. Però non ho avuto figli miei. Purtroppo. Alcuni dei miei alunni mi vogliono ancora bene, per fortuna. Uno lavora al supermercato e mi ha insegnato a ordinare quello che mi serve e a pagare online, poi viene personalmente a consegnarmi la spesa” indicò un tablet in ricarica su una mensola. Li fece sedere intorno ad un tavolo, sul quale c’era ancora una tazza di latte piena a metà. “Venivano a fare chiasso quasi ogni sera, prima” cominciò, “in fondo alla strada c’è uno slargo con una panchina e si mettono lì. Bevono birra e lasciano bottiglie tutto intorno. Sono ragazzi, che dobbiamo fare. Qualcuno è più educato, altri non hanno rispetto. Certe volte quelli della strada hanno chiamato i vigili, ma non è che possono stare tutte le sere qua. Io, devo dire la verità, non ci faccio caso. Mi piace tenere un poco di vita intorno. Poi con la malattia, questa che c’è adesso, non sono venuti più. Solo le coppie. Io non vedo più tanto bene però ho un orecchio fino. Parlano sottovoce, ma mi accorgo quando passano”. “Conosceva questo ragazzo, signora maestra?” c’era rispetto, nel tono di Fusco, e una punta di simpatia sincera.
“Non di nome. La ragazzina forse abita un paio di traverse accanto, perché mi sembrava di averla già vista da queste parti. Lui arrivava prima, verso le otto, e si sedeva sulla sedia. Qualche volta mi ha aiutato con i sacchetti dell’immondizia. Li lasciamo all’angolo, così è più facile per chi passa a raccoglierli e, quando mi vedeva uscire si offriva di farlo lui. Gentile. Stavano insieme una mezz’oretta a darsi qualche bacio” esitò prima di continuare, “non li spiavo, che crede, mi facevano tenerezza. È una cosa bella, l’amore, a quell’età”. Merlo intervenne: “ricorda qualcosa di particolare di ieri sera?”. Scosse la testa: “Non ci ho fatto caso. Faceva freddo così ho chiuso le imposte già il pomeriggio e poi c’era un programma interessante in televisione. Magari fossi stata più attenta.” Era rammaricata, come sentisse ancora il dovere di vigilare sui bambini. Fusco si alzò, sul tavolo c’era un blocchetto e una penna, scrisse il suo nome e il numero del cellulare. “Grazie, signora maestra. Ecco, se ha bisogno di qualsiasi cosa, sono a disposizione. Mi chiami quando vuole”.
Un agente si stava attardando a fare gli ultimi rilievi, spargendo polverina per le impronte digitali sul bordo della sedia. Una doverosa quanto inutile procedura. La donna del bucato li aspettava davanti al portone, con un paio di buste vuote in mano: “Devo andare a comprare la frutta. Se mi dovete chiedere, fate ora per favore”. Fusco si limitò a fissarla e lei smorzò subito il tono indisponente. “L’ho visto solo stamattina, come ho detto. La sera ceniamo presto e poi stiamo a casa. La stanza da pranzo è dall’altra parte. Su questa strada c’è solo questo balconcino del bagno di servizio. E le camere da letto. Non è che ci affacciamo. Oggi mio marito ha turno di riposo e non è uscito e i ragazzi fanno lezione col computer. Quando facevano un sacco di chiasso abbiamo anche chiamato la polizia, qualche volta, ma ora non si sente più niente.”
Merlo si limitò a fare un cenno, poi tornarono all’auto. Micheli li aspettava: “Dai documenti, si chiama Simone Panelli. C’è una segnalazione di scomparsa fatta dai genitori verso le tre di stanotte. Ma il ragazzo ha appena compiuto diciotto anni e allora gli hanno consigliato di aspettare qualche ora. Però, in tasca, aveva il cellulare. Ha mandato un messaggio a una certa Daniela, alle otto e cinque, con scritto di non venire. Lei ha fatto almeno dieci chiamate e inviato non so più quanti messaggi. Ma lui non ha mai risposto”. I Panelli abitavano in un grande condominio all’inizio di Viale Aldo Moro. Capirono subito. Stranamente, fu il padre a crollare. Piangeva a singhiozzi. La madre non disse nulla, limitandosi a tenere una mano sulla spalla del marito. Merlo sapeva bene che il dolore ha strane forme e quella calma apparente non aveva niente a che vedere con l’intensità dello strazio provato. “Daniela non la conosciamo, ce ne ha parlato però. Sembrava felice. Una compagna di scuola, non della stessa classe. Lui è un anno avanti, si deve diplomare a luglio”, si bloccò, colpita dalla incongruenza dell’attesa di un evento che non avrebbe mai più avuto luogo. “Sapete se aveva problemi con qualcuno?” chiese Merlo. “No. Forse quando era più piccolo. Ma solo dispetti da bambini. Stava sempre a casa. Usciva solo quelle due ore per vedersi con la ragazza. Mi diceva di stare tranquilla, che Daniela era prudente come lui e non si sarebbero ammalati”.
La voce cominciò a vacillare: “Com’è potuto succedere? Chi può fare una cosa del genere? Non aveva soldi, il cellulare era vecchio. Glielo volevo comprare per il compleanno, ma mi aveva detto di conservare i soldi, che quando finiva questa storia della pandemia si vuole fare un viaggio con la ragazza. Si voleva…”. Fusco evitava di guardarla in viso, ogni volta che aveva a che fare con il dolore di un genitore faceva più fatica. Se fosse accaduto qualcosa a sua figlia, non sarebbe riuscito a sopravviverle. Il campanello squillò. Merlo si offrì di aprire la porta. Due donne, con gli stessi occhi della madre di Simone, irruppero nella stanza e corsero ad abbracciarla. Non avevano altro da chiedere. Non in quel momento. Merlo entrò in auto: “Dobbiamo parlare con Daniela”. Tardò a mettere in moto. Decantare era necessario, anche per loro.
(2 - Continua)