La battaglia di Lepanto nelle chiese brindisine

La battaglia di Lepanto è considerata una delle più grandi battaglie navali della storia, che ha segnato la prima grande vittoria di un’armata cristiana contro l’Impero ottomano. Tutta la Cristianità festeggiò l’avvenimento con enorme entusiasmo, poiché si era riusciti finalmente a sconfiggere l’invincibile armata turca riunendo le forze sotto le insegne pontificie della Lega Santa.
Nonostante la battaglia ebbe in realtà un irrilevante valore strategico, il memorabile successo ottenuto quel 7 ottobre 1571 all’imboccatura del Golfo di Corinto, che riuscì a fermare temporaneamente il forte movimento espansionistico turco verso occidente, fu celebrato come il più grande trionfo sul mondo islamico, un risultato che assunse anche un profondo significato religioso, in quando l’esito del combattimento fu determinato dall’intercessione della Vergine Maria, invocata dalle truppe prima della battaglia con la preghiera del Rosario. Grande effettio si ebbero, inoltre, sotto l’aspetto propagandistico, infatti negli anni immediatamente successivi allo scontro navale vi fu una notevole produzione di documenti memoriali e numerosissime rappresentazioni artistiche a ricordo del grande evento: ovunque in Italia e in Europa, per celebrare il successo dell’eroica flotta cristiana, si realizzarono raffigurazioni pittoriche ed iconografiche, molte delle quali commissionate dai singoli reduci a noti artisti dell’epoca, come Paolo Veronese, Tintoretto, Giorgio Vasari, Lazzaro Calvi e Luca Cambiaso.
Anche nel nostro territorio esistono alcuni rilevanti richiami alla battaglia di Lepanto (l’odierna cittadina greca di Naupatto), uno è presente nell’antica chiesetta dedicata alla Madonna del Giardino, nella frazione di Tuturano, dove è visibile un affresco ritenuto risalente alla fine del cinquecento o i primi del seicento, sul quale sono rappresentati la Madonna del Rosario, il Papa Pio V, promotore della coalizione cristiana a cui fu attribuito il merito della vittoria navale, e altri protagonisti che determinarono il successo dell’impresa. La pittura murale, recuperata nel 1982 dopo quasi tre secoli di occultamento, è visibile sull’altare maggiore della chiesetta risalente al 1300 e quasi interamente riedificata nel 1598: all’interno di una ampia arcata spicca l’immagine di Maria Santissima con bambino sul trono di nuvole, coperti nella parte superiore dall’altare barocco posto successivamente. In basso a sinistra il Santo Padre raffigurato in atto di preghiera, riconoscibile dal piviale rosso sul vestito bianco e la tiara sulla testa; di fronte le figure di “due contadine dal volto rubicondo, in ginocchio in una lunga veste che sono senza dubbio le committenti di tutto l’affresco, se non proprio le pie donne che con l’aiuto delle offerte raccolte tra i fedeli costruirono o ricostruirono la chiesa” (Marco Fina). Alle spalle del pontefice sono rappresentati i due personaggi principali della battaglia navale, don Giovanni d’Austria – figlio di Carlo V – e Marcantonio Colonna, rispettivamente comandante e luogotenente generale della flotta cristiana, entrambi con un diadema sul capo. Sono inoltre raffigurati Santa Caterina, coperta dalla colonna dell’altare, e un personaggio ottomano in atteggiamento di preghiera, individuabile dal volto bruno e dal tipico turbante: secondo alcuni studiosi il turco potrebbe rappresentare un “convertito alla religione cristiana” dopo la sua cattura nella battaglia del 1571.
Al centro della scena un albero sul quale è appollaiata una civetta dagli occhi fosforescenti, l’uccello notturno che oggi simboleggia la frazione tuturanese. Secondo lo studioso Fina, l’artista ha voluto inserire nel paesaggio una “nota caratteristica”, ovvero “con un volo pindarico, da Lepanto sulla costa meridionale della Grecia passa in Egitto e rappresenta le piramidi di Cheope, Chefren e Micerino, con le sponde del fiume Nilo sulle quali vegetano le piante verdi di papiro, rappresentate come agave”.
Anche nella chiesa matrice di San Vito dei Normanni si conserva un’immagine, su tela seicentesca di probabile scuola veneta, in cui la Vergine Maria con il Bambino annunciano dal cielo la vittoria della battaglia di Lepanto. L’opera (cm 450 x 300), come molti quadri votivi, è suddivisa in due parti: sul livello superiore sono raffigurati alcuni Santi disposti intorno a Maria e al piccolo Gesù che reggono in mano un ramo di palme, emblema della vittoria, mentre nel livello inferiore sono rappresentati i principali personaggi storici della battaglia, con al centro il pontefice, a cui è rivolta la frase dell’angelo “Caelitus victoria” (dal cielo la vittoria), il capitano Colonna, il Doge di Venezia e il re di Spagna Filippo II con alle loro spalle i relativi Santi protettori. Sullo sfondo è riprodotto lo scontro navale.
La stessa chiesa, dal 1998 proclamata Basilica Pontificia Minore, fu portata a termine proprio dopo la battaglia di Lepanto, probabilmente grazie al contributo di alcuni reduci sanvitesi ritornati indenni dall’evento bellico, pertanto si decise di dare all’edificio sacro il nome di Santa Maria della Vittoria.
Secondo le note storiche di Ernesto Alvino, tra i tantissimi volontari imbarcati per combattere l’orda turca vi erano numerosi salentini, tra loro spiccano i nomi del brindisino Giovan Battista Monticelli e del sanvitese Ruggiero Danusci, entrambi a capo di compagnie di concittadini che si fecero molto onore fra le file cristiane, il primo fu anche nominato nobile ed ottenne dal sovrano una pensione vitalizia di quindici scudi al mese. Sono inoltre ricordati il mesagnese Valeriano Capodieci, già capitano di cavalleria sotto Carlo V che “in venerabile età lo riassalì la nostalgia delle battaglie e corse a Lepanto”, l’ostunese ed esperto di diritto Francesco Palmieri “più amante della spada che della toga”, e i francavillesi Antonio Cotogno e Colella Papatodero, “furono essi superati da alcuno in valore bellico e sprezzo di vita?”.
Anche in occasione della grande campagna navale si ribadì l’importanza del porto di Brindisi, infatti nel corso delle operazioni militari i veneziani scelsero il nostro scalo per l’armamento di venti galee, mentre gli spagnoli fecero della nostra città la loro grande base logistica (G. Maddalena Capiferro, 2014).
Le sanguinosa battaglia che si svolse nelle acque di fronte al Peloponneso, non lontano da Corfù, secondo le principali fonti storiche produsse circa novemila caduti cristiani, ben trentamila furono gli ottomani che persero la vita, tra loro anche il comandante della flotta Mehmet Ali Pascià, e alcune migliaia i musulmani catturati. Delle oltre 180 imbarcazioni turche, solo trenta riuscirono a fuggire, 117 furono catturate e divise tra gli stati membri della Lega, le restanti vennero distrutte.